Il dolium dei Romani (pl. dolia), corrispondente al πίϑος dei Greci, volgarizzato in dolio (pl. dolii) è un contenitore di grandi dimensioni, in generale di terracotta, destinato a contenere derrate alimentari di liquidi (vino, olio, ecc.) o anche di aridi (grano, legumi) da trasportare e poi conservare nei magazzini.
La forma del πίϑος è prevalentemente quella di un tronco di cono rovescio, con larga bocca; quella del dolio invece è globulare, con base abbastanza ampia.
Le dimensioni erano tali che entro il vaso (botte) poteva bene entrare un uomo, come, secondo il mito, vi entrò Euristeo, spaventato alla vista del cinghiale di Erimanto, o, come si narra, vi abitò Diogene. L’altezza era compresa fra 1,50 e 1,60 metri e larghezza superiore a 1,50 metri nel punto di massima espansione.
Nell’Italia meridionale sono oggetto di particolare studio per l’archeologia locale, in particolare per il bronzo recente e finale (XIV-XI sec. a.C.), anche per stabilire gli interscambi con il mondo egeo, in particolare mercanti micenei, da dove provenivamo originariamente tali manufatti, prima di venire realizzati localmente, ad imitazione dei prodotti d’importazione. Quella dei dolii c.d. “cordonati” è una classe di palese derivazione egea, che, iniziata nel corso del Bronzo Recente proprio a seguito del processo di influenza e di acculturazione esercitato dalle comunità del Mediterraneo orientale sulle popolazioni indigene dell’Italia Meridionale, perdura almeno per tutto il Bronzo Finale.
Sintesi– Un numero elevato di frammenti di grandi dimensioni impasto pithoi protostorico è stato rinvenuto in diversi siti della zona, e principalmente nelle Serre di Altilia (centro Calabria). Questi frammenti sono stati studiati con altri pithoi di Tropea (Calabria meridionale), al fine di ricostruirne le forme, la tipologia, la cronologia, la tecnologia e la funzione.
È stato possibile definirne cinque tipi, con cronologie che possono variare dal bronzo finale alla prima età del ferro, e con paralleli in diversi siti del Sud Italia, in Sicilia e a Lipari. Analisi petrografiche su frammenti della Calabria centrale hanno mostrato una produzione piuttosto variabile, localmente e / o regionale. Sono state eseguite anche analisi chimiche eseguito su due campioni di residui, al fine di identificare quale tipo di alimento era originariamente conservato in questi pithoi.
I risultati delle analisi mostrano la presenza di resine terpenoidi, come Pistacia o Pinus, che possono suggeriscono l’utilizzo per la conservazione di vino.
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