Gregorio Aversa – The Sanctuary of Hera Lacinia at Capo Colonna (2023)

Scheda Bibliografica

Scheda Bibliografica (BDG-Biblioteca Digitale del GAK)

TitoloThe Sanctuary of Hera Lacinia at Capo Colonna
Autore(i)
Data rilascio2025
Contenitore, TitoloSanctuaires et paysages. La (re)découverte des lieux de culte en Méditerranée centrale et orientale. Actes du colloque international Strasbourg, 21 - 23 novembre 2023
Riferimentipp. 102-115, ISBN : 978-2-494259-18-8
Wordcat ID10616623010
Casa editriceUniversité de Strasbourg - Institut thématique interdisciplinaire HiSAAR
TipoAtto di convegno
Classificazioni Biblioteca GAK
Categorie [Kroton, Le Aree Sacre], 
Tag [Hera Lacinia],
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Altre Informazioni Biblioteca GAK
ID Archivio: 16247
Data inserimento: 22-04-2025 12:40
Data ultima revisione 01-05-2025 00:09
Permalink: https://www.gruppoarcheologicokr.it/biblioteca/gregorio-aversa-the-sanctuary-of-hera-lacinia-at-capo-colonna-2023/
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SanctuairesPaysage_Atti-2023-Copertina

ABSTRACT:
Questo articolo tratta di uno dei principali siti archeologici della Calabria, legato alla storia della città di Crotone. In epoca greca e romana, il promontorio era chiamato Lakinion (Lacinio) e ospitava un grande santuario dedicato alla dea Hera, rinomata e ricca, come riportato da fonti antiche come Strabone, Licofrone e Livio. Il mito menziona un bosco sacro e il passaggio di Eracle con i buoi di Gerione, oltre a un culto in memoria di Achille, eroe della guerra di Troia.
La venerazione di Hera Lacinia attirava devoti di diverse origini, che offrivano ricchi doni votivi.
Il santuario fu frequentato anche dal filosofo Pitagora e acquisì tale fama da diventare probabilmente la sede della Lega Italiota, una confederazione politica e militare che nel IV secolo a.C. univa i Greci della Magna Grecia.
Da qui partì Annibale, grande nemico di Roma, che tornò a Cartagine lasciando traccia delle sue imprese su un’iscrizione bilingue in greco e punico. La posizione sul promontorio faceva del santuario un punto di riferimento fondamentale per la navigazione e un porto sicuro, tutelato dalla dea.
Hera proteggeva anche la natura, in particolare il bestiame che pascolava nel bosco sacro, ed era venerata come divinità liberatrice e protettrice nei viaggi marini. Il santuario assumeva quindi un ruolo centrale nel contesto naturale e paesaggistico. L’articolo si propone di delineare gli aspetti del culto della dea attraverso l’analisi dei materiali e dei resti monumentali.

SINTESI

L’articolo “The Sanctuary of Hera Lacinia at Capo Colonna (Crotone)” di Gregorio Aversa, inserito negli atti del convegno “Sanctuaires et paysages”, offre spunti e ipotesi innovative che arricchiscono la nostra comprensione del Parco Archeologico di Capo Colonna e, in particolare, del Santuario di Hera Lacinia. L’analisi proposta va oltre le conoscenze consolidate, suggerendo interpretazioni inedite basate sull’esame dei dati archeologici e delle fonti letterarie.

Uno degli aspetti maggiormente enfatizzati nell’articolo è il ruolo centrale e poliedrico del santuario nel suo contesto naturale e paesaggistico1. La sua posizione strategica su un promontorio non rappresentava unicamente un elemento geografico, ma si configurava come un riferimento cruciale per la navigazione e come un approdo sicuro, sotto la protezione diretta della dea Hera, garante di questi aspetti1. Oltre alla sfera marittima, Hera esercitava la sua protezione sulla natura circostante e sul bestiame che liberamente pascolava nel bosco sacro a lei dedicato2. Un’ulteriore sfaccettatura del suo culto la vedeva venerata quale divinità liberatrice, invocata per la salvezza durante i viaggi per mare2.

L’articolo approfondisce il legame intrinseco tra la dea Hera, il mondo vegetale e i cicli naturali3. Questa connessione viene interpretata come una chiara manifestazione del suo ruolo nei cicli di vita e di rigenerazione, caratteristica peculiare di una divinità legata alla sfera generativa3. L’aspetto “curotrofico” di Hera, ovvero la sua funzione di protettrice dei neonati3, evidenzia inoltre il suo significativo ruolo sociale legato alla salvaguardia della maternità all’interno della comunità.

Una delle ipotesi più stimolanti avanzate da Aversa riguarda la possibile esistenza di un tempio arcaico antecedente al Tempio A, l’edificio più noto caratterizzato dalla presenza dell’ultima colonna dorica in elevato4. Questo tempio più antico, qui denominato Tempio C5 si troverebbe nascosto nascosto dal giardino Albani, ancora più arcaico dell’organismo architettonico più antico della fase classica del tempio A, sotto il quale Dieter Mertens e Giorgio Rocco avevano già ipotizzato fosse nascosta una fase più antica (Tempio A1). Il materiale architettonico dei tetti di questi templi più arcaici (A1 o C) sono stati recuperato nell’importante scarico, individuato a nord della villa Albani durante gli scavi del 20036; la discarica, chiusa all’inizio del V secolo a.C., ha permesso di recuperare anche molti elementi fittili del tetto B, un sistema di copertura di produzione siceliota datato anch’esso tra il 540 e il 530 a.C. Questi due templi primordiali (Tempio A1 e Tempio C)7 sarebbero stati sostituiti dal Tempio A e si inserirebbe nel quadro di una radicale ristrutturazione del santuario, databile tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C., periodo che vide anche la realizzazione dell’Edificio B e della via sacra7.

L’Edificio B assume particolare rilevanza nell’economia del santuario7. Posizionato strategicamente al margine dello spazio circolare individuato dagli horoi7, è interpretato come una struttura specificamente destinata ad accogliere oggetti di culto di particolare valore e significato7. Il rinvenimento al suo interno di importanti doni votivi, tra cui un prezioso diadema d’oro e un’elegante piccola barca nuragica, in stretta prossimità della pietra di confine inglobata nella struttura, sottolinea la sacralità e l’importanza di quest’area e degli oggetti in essa deposti7.

Un elemento che getta nuova luce sulla portata del santuario di Capo Colonna è la documentazione archeologica che attesta una fitta rete di relazioni internazionali8. La presenza, tra i materiali votivi, di aegyptiaca, in particolare scarabei di origine egiziana, e di altri reperti provenienti da diverse aree del Mediterraneo (Attica, Chio, Samo, Mileto, Siria, Urartu)9, suggerisce l’inserimento del santuario in una “rete internazionale femminile” legata alla circolazione di amuleti e oggetti legati alla protezione e alla fertilità femminile8. Questa dimensione mediterranea del luogo di culto evidenzia legami non solo con il mondo greco, ma anche con civiltà orientali, come l’Egitto9.

Infine, l’articolo suggerisce affascinanti paralleli tra le molteplici funzioni attribuite a Hera Lacinia e quelle di altre importanti divinità femminili del Mediterraneo, quali Astarte e Afrodite10. La compresenza nel culto di aspetti legati al mondo femminile, al mare, alla guerra, all’asylìa (intesa come protezione e liberazione), alla vegetazione e al potere generativo riflette caratteristiche comuni a queste grandi dee madri mediterranee, suggerendo una possibile parentela o, quantomeno, significative influenze reciproche tra i rispettivi culti11.

In conclusione, l’articolo di Gregorio Aversa offre una rilettura approfondita del Santuario di Hera Lacinia, proponendo nuove chiavi interpretative che ne evidenziano l’intimo legame con l’ambiente naturale, il suo ruolo cruciale nelle rotte marittime del Mediterraneo antico e la sua partecipazione a una vasta rete di scambi culturali e religiosi che travalicavano i confini del mondo greco, aprendo nuove prospettive per future ricerche sul sito di Capo Colonna12.

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Note

  1. pag. 102, 105[][]
  2. pag. 102[][]
  3. pag. 105[][][]
  4. pag. 106[]
  5. pag. 106, 107[]
  6. Gregorio Aversa – Un tempio arcaico al Lacinio, 2011[]
  7. pag. 107[][][][][][]
  8. pag. 109, 110[][]
  9. pag. 110[][]
  10. pag. 109[]
  11. pag. 109, 111[]
  12. pag. 111[]