ABSTRACT: Petelia 2 is a curse text written on a leaf-shaped lead tablet, 0.028m high and 0.184m wide. It was found on the surface at loc. Cassana, north of modern Strongoli, by Luigi Mazza. The inscription was first published by Lazzarini (2004), with a small amount of further discussion in Lazzarini (2009); it was subsequently re-edited by Crawford (2011: 1475-77) without autopsy. Lazzarini dates the tablet to the fourth or early third century BC (Lazzarini 2004: 674), while Crawford dates it to c. 300 BC (Crawford 2011: 1475). The tablet is now in the depositi of the Museo Nazionale Archeologico di Crotone (inventory no. 4016/M), where the members of the ‘Greek in Italy’ project examined it on the 16th September 2014.3 As a result of our autopsy we propose a different reading in column 4 and several possible reinterpretations of this section of the text.
SINTESI.
L’articolo riesamina la misteriosa maledizione rinvenuta in superficie in loc. Cassana, a nord dell’odierna Strongoli, da Luigi Mazza.
M.L.Lazzarini data la tavoletta dal IV all’inizio del III secolo a.C.; Crawford la data al 300 a.C. circa. La tavoletta si trova ora nel deposito del Museo Nazionale Archeologico di Crotone.
Le defixiones sono delle tavolette di piombo (tabellae defixionum) che venivano utilizzate nel mondo antico, sia nella cultura greca che che latino, per lanciare maledizioni contro nemici o rivali, sia in ambito agonistico, che amoroso, politico o giudiziario. Queste tavolette venivano spesso sepolte in luoghi pubblici o privati come templi, tombe o abitazioni. Spesso scritte in greco o latino e contenevano formule magiche e invocazioni a divinità infernali per danneggiare il nemico o proteggere il possessore della tavoletta.
Il termine defixio deriva dal verbo defigere (= inchiodare), alludendo alla volontà dell’esecutore di immobilizzare le capacità fisiche e mentali della persona oggetto della maledizione, dall’altro alla modalità con quale veniva attuata la maledizione, attraverso l’atto di trafiggere il supporto scrittorio con chiodi, attuando così una sorta di effetto simpatetico (di identificazione tra l’atto fisico della trafittura e l’invocazione del castigo divino) 1 vedere anche Giuseppe Cardinali, Defixiones, in Enciclopedia Italiana Treccani, 1931)).
La tabella defixionis di Petelia, che è tra le più lunghe e complesse che coinvolgono l’osco la scrittura si dispone su quattro colonne in cui è sezionata la superficie della striscia di piombo2. L’iscrizione di Petelia è scritta in alfabeto greco, e contiene un elenco di quattordici nomi in stile osco, scritti con morfologia osca; l’impressione è che «l’iniziativa di maledizione converge su un gruppo consistente di individui appartenenti allo stesso clan gentilizio, intorno ai quali ruotano altri personaggi» 3.
Ci sono una serie di apparenti errori, anomalie o incongruenze nell’ortografia dei nomi. Non è chiaro se si tratti di errori deliberati scritti per offuscare il testo e renderlo più magico, oppure se siano frutto di confusione tra lettere e suoni da parte dello scrittore.
Parte del testo rimane misterioso, anche perché una parte della maledizione è in osco. Lo scrittore passa ad un testo in greco solo nella formula finale, nella quale si rivolge direttamente al dio greco Hermes.
La defixio evidenzia la competenza bilingue del redattore. Il testo sembra rispecchiare una condizione in cui osco e greco erano sicuramente compresenti ed attivi nel repertorio socio-linguistico dei parlanti. Va da sé che era sicuramente il greco ad occupava la scala più alta del repertorio, ma collocandosi in un continuum et gradatum rispetto all’osco 4. Questo straordinario documento ci dimostra anche come “le categorie del plurilinguismo e del ‘mistilinguismo’ all’interno non solo di un ambiente urbano, ma anche di ciascun testo siano estremamente graduabili, sfaccettate ed articolate”. A Petelia l’uso del greco, che fuor di ogni dubbio rivestiva in quella società il ruolo di maggior prestigio, anche in un contesto informale, quale quello della formula di maledizione, in cui, però, non è assente l’osco, sembra più appropriatamente iscriversi entro un quadro di “dilalia” 5.
L’identità culturale italica di Petelia, segnalata dalle designazioni personali, per quanto riguarda tanto il repertorio quanto la struttura binomia, rimane intatta fino all’età romana.
Questa conclusione si inserisce perfettamente nel quadro storico più generale sintetizzato da A. Mele per cui «la grecità della Crotoniatide sopravvive alla guerra annibalica, ma in mano brettia». Ma è anche il il quadro sociolinguistico che tra III e II secolo Ennio e Lucilio ritraggono con la formula sintetica e proverbiale di bilingues Bruttaces 6.
Note
- Lorena Cannizzaro – Le defixiones – Antiche maledizioni su lamina, 2020;[↩]
- Paolo Poccetti – Bilingues Bruttaces: il caso di Petelia, 2014, p. 87[↩]
- Paolo Poccetti, Op. cit., 2014, pp. 89-90[↩]
- Paolo Poccetti, Op. cit., 2014, pp. 99-100[↩]
- Diglossia indica la coesistenza nel parlante di due codici linguistici, di cui uno è considerato inferiore all’altro; per es., si ha d. quando coesistono nel parlante il dialetto nativo e la lingua ufficiale appresa a scuola (si distingue perciò dal bilinguismo, che indica la coesistenza di due codici linguistici di pari prestigio) (rif. Enciclopedia Treccani)
La dilalia si differenzia dalla diglossia per l’estrema facilità con cui avviene il passaggio dall’uno all’altro idioma, sia all’interno della stessa interazione verbale, sia all’interno della stessa frase, e tanto in contesti informali, quanto in quelli di media formalità (Francesco Avolio, Dialetti, in Enciclopedia dell’Italiano, 2010) [↩] - Paolo Poccetti, Op. cit., 2014, p. 102[↩]