L’Alessandra di Licofrone. Testo, traduzione di Emanuele Ciaceri (1901)

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TitoloL’Alessandra di Licofrone. Testo, traduzione di Emanuele Ciaceri (1901)
Autore(i)
Data rilascio1901
Casa editriceGiannotta
TipoLibro
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ID Archivio: 15426
Data inserimento: 23-07-2024 07:08
Data ultima revisione 10-10-2024 02:33
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Introduzione

Emanuele Ciaceri è stato uno storico dell’antichità siciliano. “Uno de’ più operosi e sagaci discepoli, usciti dalla scuola pisana dello Zambaldi e del Pais, dal quale specialmente ebbe ad apprendere, ne’ lieti e fecondi anni della istituzione sua pisana, non solo l’indipendenza del giudizio, ma pur l’amore della ricerca, tanto più degna d’essere affrontata e tentata, quanto più ardua e aspra ne sembra la via che conduce alla soluzione. L’argomento inoltre, per quanto non commendato da soavità o leggiadria di concezione, come ben nota il Wilamowitz, ha una singolare importanza per le questioni d’indole mitologica e geografica e topografica: e il Ciaceri lo studia in particolar modo sotto questo aspetto, essendovisi accinto con intendimenti storico-geografici“.
Cosi viene introdotto il lavoro di traduzione di Emanuele Ciaceridell’Alessandra di Licofrone nella recensione del libro scritta da G.Dotti nella “Rivista di filologia e di istruzione classica” Volume XXIX-1901.

L’Alessandra è un poema che narra le profezie di Alessandra figlia di Priamo, meglio nota come Cassandra, scritta da Licofrone di Calcide, nel III secolo a.C. in piena età ellenistica. Non si hanno molte notizie sulla vita di Licofrone né sulle sue opere. Secondo la Suda, l’enciclopedia storica bizantina del X secolo, Licofrone era nato a Calcide, in Eubea, attorno al 330 a.C. da Socle (Σωκλῆς), ed era stato adottato dallo storico Lico di Reggio, una delle fonti delle sue opere. Nella stessa Suda si ricorda il Λαχίνιον: Lacinium. Mons Crotonis et Lacinia, locus1.

L’opera è costituita da un monologo di 1474 trimetri giambici che può essere idealmente suddiviso in tre momenti narrativi abbastanza autonomi l’uno dall’altro, legati tuttavia da un’unica voce vaticinante, quella di Alessandra.

  • Nel primo, versi 31-364, sono descritti gli avvenimenti relativi alla guerra di Troia, le sue cause, la distruzione della città-stato e gli attori che ne furono protagonisti.
  • Nel secondo, versi 365-1282, particolarmente importante dal punto di vista storico-geografico, sono descritte le conseguenze dirette e indirette della distruzione di Troia, le peripezie dei greci nel ritorno alle loro case, la diaspora di molti di loro nel bacino occidentale del Mediterraneo, la sua colonizzazione e gli eventi che riguardarono i profughi troiani.
  • Nel terzo, versi 1283-1450, sono descritte la cause della contrapposizione tra l’Europa e l’Asia sotto l’aspetto etnico-geopolitico e le loro guerre reciproche.

La poesia di Licofrone è nota per il suo linguaggio oscuro e simbolico, usa metafore ed enigmi, quindi diverse interpretazioni sono possibili, ma tutti concordano nel riconoscervi ricercatezza stilistica, originalità, uso sapiente della parola, conoscenza profonda dei miti, erudizione storica, tensione emotiva.

Crotone ed il Lacinio nell’Alessandra

I versi 851-869 riferiscono: del viaggio di Menelao in Iapigia, nella Siritide e a Crotone; del giardino del Lacinio; delle donne di Crotone che commemorano la morte di Achille; della nereide Teti, madre di Achille, che dona il giardino del Lacinio ad Hera.

In questi versi, Licofrone elenca una serie di luoghi geografici e mitologici importanti, ciascuno associato a storie e simbolismi distinti. Questa enumerazione sembra voler dipingere un quadro delle molteplici e disparate regioni coinvolte nelle profezie e nei miti che circondano il destino di Troia e le sue conseguenze.

852 – Sulle tracce della tradizione omerica. Licofrone fa dapprima viaggiare Menelao nei mari d’Oriente; da questo verso secondo un ulteriore svolgimento del mito lo fa venire nei mari dOccidente, sulle coste d’Italia e di Sicilia. L’eroe, ritrovata Elena, non riesce a prendere direttamente la via di Sparta (cfr. n. al v. 820). Simile agli antichi naviganti che costeggianno l’Italia inferiore, egli tocca il promontorio Iapigio, la costa della Siritide e il capo Lacinio. Menelao, già sin da Omero è considerato come re di Sparta, ed è l’eroe proprio della Laconia, dove diffusissimo era il suo culto: onde è naturale pensarlo come fondatore delle colonie doriche della Magna Grecia, e particolarmente Taranto, che vantava origini spartane.

Testo in greco dell'Alessandra di Licofrone, vv. 851-869

E vagando qua e là giungerà presso la bellicosa gente di Iapigia e dedicherà in dono a Pallade Scilletina un cratere di Tamasso ed uno scudo rivestito di cuoio e le calzature della moglie.

E giungerà pure alla città di Siris e al golfo Lacinio (Λακινίου μυχούς), dove Teti farà crescere alla dea Oplosmia (θεᾷ Ὁπλοσμίᾳ) un bosco tutto ornato di belle piante come un giardino.

Già sarà sempre costume delle donne di quel paese piangere il nepote di Eaco e di Doride, lo smisurato eroe fulmine di guerra; e non ornarsi, allora, le candide membra (li aurei vezzi, nè cingere molli vesti tinte di porpora: e per questo l’una dea darà all’altra, come dimora, il grande promontorio.

856 – Seguendo le tracce di Timeo, Licofrone fa viaggiare Menelao lungo la costa orientale dell’Italia meridionate e lo fa giungere nella città di Siris e sul Capo Lacinio, e cioè a Crotone (…). Crotone era di origine achea, ma gli interessi politici più volte l’avranno spinto a fare buon viso alla tradizione spartana. Così ai buoni rapporti corsi tra Crotone e Sparta nel VI secolo VI (al tempo di Pitagora quando, verso il 511 a. C., gli Spartani che accompagnarono Dorieo alla volta della Sicilia aiutarono i Crotoniati contro i Sibariti, mentre già tre anni avanti l’esule Filippo Crotoniate s’era aggiunto ai coloni che Dorieo conduceva nella Libia (Erodoto V. 44-47) ) si deve l’origine della tradizione riferita da Pausania (III. 3 I) secondo cuì gli Spartani avrebbero fondata la città di Crotone. E così, in conseguenza di tali rapporti, sarà stato accolto in Crotone l’eroe spartano Menelao. Già dall’aneddoto del quadro di Elena fatto da Zeusi tempio di Giunone Lacinia in Crotone, come riferito da Cicerone (de div. I. 24) e Dionigi d’ Alicarnasso (de vett. script. cens. 477.5.R), si ha ragione di credere che quivi avesse culto la moglie di Menelao.

857 – La celebrità del tempio di Era Lacinia era ricordata da Strabone (VI. 261) e da Livio (XXIV. 3) il quale descrive il bosco sacro intorno al tempio. Licofrone chiama giardino (ὄρχατον) quel bosco per significarne la magnificenza. Secondo una tradizione, che risale a Timeo e Varrone (Tim. Geogr. p. 17,140) Licofrone narra che la Teti donava quel bosco ad Era, e quindi il Capo Lacinio ove quello cresceva (v. 864 sg.) perchè le donne di Crotone, vestite a lutto, piangevano annualmente la morte del suo figliuolo Achille. πόρτις (giovenca) vale fanciulla, ed è da riferirsi alla nereide Teti come attestano gli antichi commentatori.

Ciaceri indica Teti come la “Dea”, ma si riferisce chiaramente alla “Nereide”. Nell’interpretazione corrente:

  • l’eroe omerico Achille è un semidio figlio del mortale Peleo (figlio di Eaco) e della nereide Teti;
  • le nereidi sono le ninfe dei mari figlie di Nereo e Doride (come è detto nella Teogonia esiodea (vv. 241, 244), discendenti da Oceano;
  • la titanide Teti  è una figura mitologica genealogicamente antecedente, poichè una figlia di Urano (il cielo) e di Gea (la terra), e fu sia sorella sia moglie di Oceano.

In greco il nome della nereide Teti (Θέτις, Thétis) si differenzia chiaramente da quello della titanide Teti (Τηθύς, Tēthýs), ma probabilmente entrambe derivano da una stessa divinità delle acque di un culto più antico.

La titanide Teti non ha praticamente nessun ruolo nei testi letterari greci e nella religione greca, come affermato da Walter Burkert per il quale Teti non è in alcun modo una figura attiva nella mitologia greca2. Alcuni dei pochi miti in cui si fa menzione di Teti, sono quelli relativi alla grande dea Era. Questa divinità infatti, mentre era ancora una fanciulla e infuriava la guerra tra i Titani e gli Olimpi, si rifugiò all’estremo del mondo, presso Oceano e Teti e venne da loro amorevolmente allevata come una figlia adottiva. In seguito, come rileva anche il capitolo XIV dell’Iliade, Teti è presente nel mito in cui Hera , per ingannare Zeus e renderlo geloso, afferma di volersene andare lontano da lui, per i suoi continui tradimenti e tornare da Oceano (l'”origine degli dei”) e da Teti “la madre”.
In un’altra occasione Teti aiutò la dea Hera a prendersi una rivincita sul marito Zeus, che aveva partorito Atena dalla testa; Teti fornì a Hera un’alga, che una volta inghiottita, le permise di partorire Efesto per partenogenesi. Ancora Hera , perché dispiaciuta del fatto che Zeus abbia posto Callisto e Arcade in cielo come costellazioni (come Orsa Maggiore e Orsa Minore), chiede a Teti di intervenire; perciò Teti proibisce a queste costellazioni di riuscire mai a tramontare (infatti sono costellazioni circumpolari, cioè ruotano perennemente attorno al polo nord, senza mai trovare riposo sotto l’orizzonte).

Per Licofrone, Hera riceve in dono da Teti il promontorio Lacinio, dove ha un tempio ed un bosco sacro. Per un approndimento sul bosco sacro, ricordato anche da altre fonti, vedere in Domenico Marino – Boschi sacri e giardini nell’antico Lacinio, 2003.

A proposito di Hera , è qui chiamata con l’epiteto Oplosmia (Ὁπλοσμίᾳ) dea guerriera armata di scudo (Oplon ὅπλον, lo scudo distintivo dell’oplita). Questo carattere guerriero di Hera è un elemento controverso: da un lato la tradizione mitologica la ricorda come la dea che concepisce da sola Ares, il dio delle guerre, dall’altro si riscontra l’assenza di armi nei templi a lei dedicati in madrepatria, tranne che all’Heraion di Samo ove però la serie di scudi votivi di bronzo o in terracotta, alcuni dei quali decorati, hanno solo una funzione legata a motivi cerimoniali3.

In Magna Grecia la situazione è differente, le armi sono spesso presenti negli Heraion. In particolare, a Crotone da un punto di vista letterario, oltre alla qui ricordata menzione licofronea di hoplosmia, ci è noto il passaggio di Filostrato che ricorda la statua di bronzo Milone ad Olimpia, ove l’atleta era poggiato su di uno scudo, e secondo il filosofo rappresentato come un sacerdote di Hera Lacinia4 L’interpretazione di Filostrato – di Milone come sacerdote di Hera Lacinia – sarebbe favorita dalla circostanza particolarmente significativa sul piano ideologico e simbolico che Milone era anche il condottiero delle truppe crotoniati che mossero alla conquista di Sibari; attraverso la figura del sacerdote della dea, insomma, si giunge a vedere chiaramente il nesso di Hera Lacinia con i valori agonali che, nella loro duplice ed interdipendente valenza bellica ed agonistica, erano patrimonio degli ambienti aristocratici crotoniati. Rif. Maurizio Giangiulio, Per la storia dei culti di Crotone antica – ASCL 1982)).

Le tradizioni su Filottete in Magna Grecia

Nei versi 911-929 dell’Alessandra di Licofrone riprende le tradizioni dell’arrivo di Filottete nel sud Italia.

Testo in greco dell'Alessandra di Licofrone, vv. 905-935

E cosi danni sopra danni metterà innanzi il dio, dispensando tristi sciagure invece del ritorno.

E le correnti dell’Esaro e Crimisa, piccola città d’Enotria, accoglieranno colui, che è morso dal serpente e che spegne la fiaccola fatale — che già la stessa Pallade Trombettiera colle sue mani dirigerà la punta del dardo scoccando l’arco dei Maioli — colui, che un giorno sulle sponde del Dira, per aver bruciato il fiero leone, si armò le mani del micidiale arco scita che scaglia inevitabili dardi.

Egli cadrà in battaglia, e il Crati ne scorgerà la tomba verso il luogo in cui sorge il tempio del nume Aleo di Patara, dove il Nieto scarica le sue acque in mare, giacché a lui toglieranno la vita gli Achei d’Ausonia quando muoverà in aiuto dei condottieri Lindi, cui lungi dal Termidro e dalle montagne di Carpato sospingerà errabondi la forte bufera di tramontana, destinati a fermarsi, stranieri, nella terra di altra gente.

E là, in Macalla, innalzeranno intorno alla sua tomba un grande tempio quei del luogo e con libazioni e sacrifici di bovi lo onoreranno eternamente come dio.

Si riporta un estratto del commendo di E. Ciaceri

  1. Da qui al v. 929 si parla di Filottete in Italia, nel territorio di Crotone, probabilmente secondo lo storico Timeo. Filottete era già noto ad Omero come figlio di Peante (Odissea III.190) e duce di genti tessale nella spedizione troiana: valente nel tirar d’arco, ma sciagurato, perchè morso al piè da un serpente era stato abbandonato dai Greci nell’ isola di Lemno (Iliade II. 716 sgg). La tradizione postomerica parlò dell’ arco dì Eracle, ereditato da Filottete, e della predizione di Eleno che stabiliva la caduta di Troia per opera di quell’arco; e a ciò accenna lo Licofrone (v. 56). Il drama sofocleo “Filottete” svolge ampiamente il mito dell’ eroe. Secondo Omero {Odissea III 190) Filottete ritoma da Troia felicemente in patria; ma la tradizione posteriore lo fa errare per i mari e quindi giungere in Italia.
    E questa tradizione, probabilmente narrata da Timeo, doveva essere ben diffusa se era accolta nella biblioteca di Apollodoro, che fa arrivare l’eroe in Campania. La spiegazione del localizzamento di questo mito nelle coste della Magna Grecia deve ricercasi nell’opera della colonizzazione rodia; Sappiamo, infatti, da Strabone (XIV. 654 ; VI. 264) che i Rodii si stanziarono nella Siritide e nella Conia, presso Sibari sul fìume Traente. E siccome consta che nella popolazione rodia era l’elemento tessalo e che le origini rodie si collegavano colle tradizioni di Tessaglia è facile pensare come nell’isola di Rodi fosse di già onorato il tessalo Filottete e quindi da là fosse passato nelle coste della Magna Grecia. E il rapporto tra la colonizzazione rodia d’Italia e l’importazione del mito di Filottete è reso manifesto dalla tradizione che fa accorrere l’eroe in aiuto di Tlepolemo, duce dei Lindi di Rodi, contro gli indigeni Ausoni, come narrato da Licofrone e Ps. Aristotele (Mir. ausc. 107) sulla scorta di Timeo ; come pure dalla credenza ch’egli avesse fondato tra Macalla e Crimisa un tempio ad Apollo Aleo, e cioè al dio dei Rodi.
    Apollo Alaios è detto da Licofrone originario della città di Patara in Asia Minore, di fronte a Rodi; tale culto sarebbe riferibile ai contatti anteriori alla colonizzazione dell’VIII secolo a.C.
    Nel paese di Crotone, dove Licofrone fa venire Filottete, l’eroe avrebbe fondato Crimisa e Cone (Apollod. apd Strab. VI. 254) e Macalla (Ps. Arist. mir. ausc. 107); e la città di Petelia (Strab. III. 402). È naturale quindi credere che Filottete fosse onorato in altre città della Magna Grecia e a Sibari, dove si diceva che morirà combattendo (Aristot. Mir. ausc.) specialmente se consideriamo che la città di Turio, sorta nel luogo stesso di Sibari, sebbene nel V secolo, si gloriava d’essere stata anch’essa fondata da Filottete (ìustin. XX. 1. 16).
    Che 68 anni dopo la distruzione di Sibari gente tessala tentasse di ricostruirla, è detto da Diod. XII. 10; ma a me pare anche questa sia una mera tradizione narrata assieme al mito di Filottete sulla origine di Turio. Il fiume Esaro (così detto anche oggi) serve ad indicare il territorio di Crotone (Strab. VI. 262; Dion. VIII. 17).
  1. Enotria: qui significa il Bruzzio. — Filottete durante il viaggio verso Troia era stato morso al piede da un serpente. Secondo Igino ciò era avvenuto per volontà della dea Era, che volle punire Filottete di avere osato di costruire la pira di Eracle, contribuendo così alla sua immortalità.
  2. Crimisa è compresa nell’agro Crotoniate e corrisponderebbe sotto le alture dell’* ‘odierna Ciro, secondo il Marincola Pistoia (v. Lrnormant, La Grande Grèece I p. 378). — Fiaccola è detto Paride, perchè sua madre Ecuba incinta di lui aveva sognato di partorire una face accesa che
  3. “che spegne la fiaccola fatale” si riferisce a Paride, che fu ucciso da Filottete come dice espressamente Sofocle.
  4. Pallade Trombettiera: è la dea Atena dirigeva il dardo di Filottete contro Paride.
  5. Il fiume Dira traeva origine dal monte Oeta e correndo parallelamente allo Spercheo si scaricava nel mare 20 stadi più a sud di quello: si credeva che fosse sorto per correre a spegnere le fiamme che bruciavano Eracle ( Herodot. VII. 198; Strab. IX. 428).
  6. Il leone è Eracle; cfr. n. al v. 33. L’arco che Eracle lasciò a Filottete, per ricompensarlo di avergli dato fuoco alla pira, era dello scita Teutaro; cfr. n. ai vv. 56, 458. Cassandra chiama quell’arco terrìbile, micidiale, inquantochè i suoi dardi sono infallibili e procurano la rovina di Troia.

  7. Licofrone viene a parlare della morte, della tomba e del culto di Filottete. La descrizione della morte di Filottete è affidata alla dimensione uditiva delle armi che rimbombano mentre il corpo del guerriero cade in terra.
    Il passaggio “e il Crati ne scorgerà la tomba verso il luogo in cui sorge il tempio del nume Aleo di Patara” è sembrato oscuro ai crìtici ed ha dato luogo i varie interpretazioni, sembrando che parli di due tombe dell’eroe in due località diverse, presso il Crati e in Macalla ( v.927 ). Per Ciaceri la tomba intorno a cui è innalzato un tempio si trovasi in Macalla, città distante 120 stadi da Crotone, secondo Arist. (mir. ausc. 107) e quindi non lungi dal fiume Nauaithos (Nieto) : in Macalla, ossia vicino a quel fiume, c’è il tempio di Apollo Alaios. Così il fiume Nieto, il tempio di Apollo Aleo, e la tomba o il tempio di Filottete, indicano una sola località, e cioè la città di Macalla. Ora Licofrone, prima di specificare il luogo della tomba di Filottete, dice che il Crati può vederla, immaginando che dalle montagne, donde esso scende giù, si possa scorgere la foce del Nieto e il tempio di Apollo Aleo, e cioè la città di Macalla, ove Filottete ha la sua tomba. Sì noti che il Crati e il Nieto hanno sorgenti non lontane l’una dell’altra, dalla medesima catena di montagne (cioè la Sila).
  8. Apollo è detto Patareo da Patara, città della Licia, ov’egli avea un tempio (Strab. XIV. 666). Filottete consacrò nel tempio di Apollo Aleo in Macalla, l’arco di Eracle: più tardi i Crotoniati, nell’epoca della loro egemonia, trasportarono l’arco di là nel loro tempio di Apollo (Arist. mir. ausc. 107).
  9. Il fiume Nauaithos (o Neaithos: oggi Nieto) scorre un pò a nord di Crotone. La tradizione ne spiegava il nome colla leggenda, localizzata in molti altri luoghi, delle donne troiane prigioniere degli Achei, che ivi giunte, stanche di viaggiare, avrebbero incendiate le navi (Strab. vi. 262). Licofrone ha evidentemente presente la leggenda.
  10. Pellene era città del nord-est d’ Acaia, vicina ai confini dell’ Argolide. Qui Pellene serve ad indicare l’ Acaia in genere, e cioè gli Achei che colonizzarono la Magna Grecia. Molti Achei sarebbero venuti in questo paese e primi quelli che abitavano sulle spiagge di Elice, Bura, Egio, Ripe: si credeva che Is di Elice avesse fondata Sibari e Miscello di Ripe Crotone e Tifone di Egio la città di Caulonia; e la tradizione riferita da Antioco faceva achea anche Metaponto.
    Di queste colonie achee nella Magna Grecia Licofrone parlando di Filottete ha presente la costa che da Crotone va a Sibari; e pensa evidentemente che qui, paese di Ausonia, i Pelleni od Achei sono giunti prima dei Lindi, cioè dei Rodi, (Lindo, in greco Λίνδος, è un’antica città greca dell’isola di Rodi cui fa riferimento Omero, fondata da Tlepolemo, figlio di Eracle) e che a gli Achei abbiano voluto impedire la colonizzazione dei Rodii: in aiuto dei Rodii, guidati da Tlepolemo, accorre Filottete, che cade combattendo. I colonizzatori provenienti da Lindo erano capeggiati da Tlepomeno che cerca una nuova sede dopo essere fuggito via da Rodi in seguito all’uccisione dello zio paterno Licinio.
  11. Termidro è il porto della città di Lindo nell’isola di Rodi. A sud-ovest di Rodi e a nord-est di Creta è l’isola Carpato.
  12. Thrascia (da Tracia) era detto il vento che da nord soffia verso ovest. Licofrone imagina che da questo vento le navi rodie, partite da Troia, sieno state cacciate verso sud e cioè verso le coste dell’Africa; e che poi sono ripiegate verso l’ Italia. Il rumore del vento violento, o bufera, è simile al cupo abbaiare di un cane violento, che assale.
  13. La tomba e il tempio di Filottete sono in Macalla. sul fiume Nìeto, a nord di Crotone.

Le diverse tradizioni su Filottete sono riportate nell’a pagina l’articolo: Il mito di Filottete.

Note

  1. Vol. II, p. 410[]
  2. Walter Burkert, The Orientalizing Revolution: Near Eastern Influence on Greek Culture in the Early archaic Age, Harvard University Press, 1992, pp. 91–93.[]
  3. Isabella Solima. Era, Artemide e Afrodite in Magna Grecia e in Grecia. Dee armate o dee belliche ?. In: Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité, tome 110, n°1. 1998. pp. 381-417;[]
  4. Una statua in bronzo di Milone fu costruita dal concittadino Demea alla terza o quarta vittoria olimpica e posta dentro il recinto sacro del santuario dedicato a Zeus ad Olimpia. Secondo le guide olimpiche la statua fu portata dallo stesso Milone sulle sue spalle e lo raffigurava a piedi uniti su un disco, nudo con solo una benda sul capo, un melograno stretto nella mano sinistra. Filostrato, in Vita di Apollonio di Tiana, IV, 28. Ma questa interpretazione di Milone come sacerdote è in contrasto con esposto da Pausania sulla stessa statua, e d’altra parte perchè ad Olimpia esporre la statua di un sacerdote e non del celeberrimo atleta? Per un approfondimento su questo argomento vedere in Elena Ghisellini – La statua di Milone di Crotone a Olimpia,1988.[]