Gneo Pompeo Trogo (Gnaeus Pompeius Trogus; seconda metà del I secolo a.C. – I secolo d.C.) è stato uno storico romano del periodo augusteo. La sua opera principale sono le Historiae Philippicae (Storie filippiche) in 44 libri, una vera e propria storia universale, che andava dalle antichissime vicende di Babilonia fino ai tempi dell’autore. Ne possediamo solo dei frammenti e i prologi (ossia i sommari dei singoli libri), ma ci resta un compendio, l’Epitoma Historiarum Philippicarum Pompei Trogi, fatto nel II o III secolo da Marco Giuniano Giustino, che aveva estratto i principali punti dell’opera di Trogo.
Notizie circa i contenuti dell’opera di Trogo e la tecnica epitomatoria di Giustino si trovano nella Prefazione, dove egli dice che Pompeo Trogo aveva composto una storia della Grecia e di tutto il mondo in lingua latina “affinché anche le vicende della Grecia si potessero leggere nella nostra lingua, proprio come è possibile leggere la nostra storia in lingua greca”, e aggiunge: “di queste vicende ho scelto quanto più meritava di essere conosciuto, e, tralasciato ciò che non era piacevole a conoscersi né necessario come esempio, ne ho fatto, per così dire, un piccolo florilegio”1.
Nella nostra scheda bibliografica proponiamo l’edizione integrale tradotta in italiano dell’Ed. Fontana del 1829, ma è facilmente reperibile anche l’edizione integrale in latino ad. es. su Archive.org o su Google Libri.
Per il territorio della Crotoniatide particolare interesse è il libro XX:
1. Dionisio, tiranno di Sicilia, assale gli abitatori della Magna Grecia.
2. Origine e fati de’ Metaponlini.
3. Guerra fra Crotoniesi e Locresi.
4. Il filosofo Pitagora richiama i primi alla frugalità.
5. Dionisio, vinti i Locresi, assalta i Crotoniesi, cui abbandona per accorrere alla difesa della Sicilia, assalita da Annone capitano de’ Cartaginesi: in fine poi è ucciso per le insidie de’ suoi.
(1) Dionisio, cacciati di Sicilia i Cartaginesi, e, occupato l’ imperio di tutta l’isola, avvisatosi che fosso dannoso l’ozio nel proprio regno, e pericoloso il lasciare infingardir tanto il suo esercito;
(2) traghettò le sue genti in Italia, affine che e il valor de’ soldati con la continua fatica si affinasse, e si allargassero i confini del regno.
(3) La prima spedizion ch’egli fece fu contra i Greci, i quali possedevano i vicini liti al mar d’Italia:
(4) e, avendogli soggiogati, assaltò tutti i circonvicini, riputandosi per nemici tutti coloro di nome greco, che tenevano l’Italia;
(5) le quali genti allora avevano occupato non parte, ma quasi tutta l’Italia,
(6) ond’ è che al presente ancora molte città, dopo tanta vecchiezza, mostrano i contrassegni de’ costumi greci.
(7) Perciocché i popoli di Toscana , i quali posseggono la riviera del mar di sotto, vennero di Lidia i Veneti
(8) ancora, che noi vediamo abitare nel mar di sopra, vennero da Troia, dopo eh’ ella fu combattuta e presa guidati da Antenore.
(9) Adria medesimamente , che diede il nome al mare Adriatico, è vicina al mar d’Illiria.
(10) Arpo, è parimente città greca edificata da Diomede il quale, distrutto Ilio, per fortuna di mare, fu portato in quei luoghi.
(11) Pisa ancora nella Liguria, ha i suoi autori di Grecia. E in Toscana i Tarquinii, da’ Tessali e dagli Spinambri,
(12) Parimente i Perugini hanno origine dagli Achei. Che dirò io della città di Cere ? Che dei popoli Latini, i quali, pare che da Enea abbiano avuto principio ?
(13) Cosi i Falisci, i Nolani e gli Abelani, non sono eglino colonie de’ Calcidesi ?
(14) Che di tutto il tratto di Campania? Che de’ Bruzii e de’ Sabini ?
(15) Che de’ Sanniti ? Che de’ Tarentini, de’ quali abbiamo inteso, che, partiti di Lacedemonia, furono chiamati Spiirii ?
(16) La città de’ Turini dicono che l’ edificò Filòttete: e quivi per ancora si vede la sepoltura di lui, e le saette d’Èrcole, che furono il fato di Troia, le quali sono nel tempio d’ Apollo.
(1) Dionysius e Sicilia Karthaginiensibus pulsis occupatoque totius insulae imperio grave otium regno suo periculosamque desidiam tanti exercitus ratus, copias in Italiam traiecit,
(2) simul ut et militum vires continuo labore acuerentur et regni fines proferrentur.
(3) Prima illi militia adversus Graecos, qui proxima Italici maris litora tenebant, fuit;
(4) quibus devictis finitimos quosque adgreditur omnesque Graeci nominis Italiam possidentes hostes sibi destinat;
(5) quae gentes non partem, sed universam ferme Italiam ea tempestate occupaverant.
(6) Denique multae urbes adhuc post tantam vetustatem vestigia Graeci moris ostentant.
(7) Namque Tuscorum populi, qui oram Inferi maris possident, a Lydia venerunt, et Venetos,
(8) quos incolas Superi maris videmus, capta et expugnata Troia Antenore duce misit, Adria quoque Illyrico mari proxima,
(9) quae et Adriatico mari nomen dedit, Graeca urbs est;
(10) Arpos Diomedes exciso Ilio naufragio in ea loca delatus condidit.
(11) Sed et Pisae in Liguribus Graecos auctores habent; et in Tuscis Tarquinii a Thessalis, et Spina in Vmbris; Perusini quoque originem ab Achaeis ducunt.
(12) Quid Caeren urbem dicam? Quid Latinos populos, qui ab Aenea conditi videntur?
(13) Iam Falisci, Nolani, Abellani nonne Chalcidensium coloni sunt?
(14) Quid tractus omnis Campaniae? Quid Bruttii Sabinique?
(15) Quid Samnites? Quid Tarentini, quos Lacedaemone profectos spuriosque vocatos accipimus?
(16) Thurinorum urbem condidisse Philocteten ferunt; ibique adhuc monumentum eius visitur, et Herculis sagittae in Apollinis templo, quae fatum Troiae fuere.
I Metapontini similmente, nel tempio di Minerva, mostrano i ferri co’ quali Epeo, da chi essi ebbero origine, fabbricò il cavai troiano. Per la qual cosa tutta quella parte d’ Italia si chiama la Maggior Grecia.
Ma, nel principio della loro origine, i Metapontini co’ Sibaritani e Crotoniesi , fecero proponimento
di cacciar gli altri Greci d’Italia. Come prima ebbero preso la città Siri, combattendo dentro tagliarono a pezzi cinquanta giovani , che avevano abbracciolo la statua di Minerva, e il sacerdote coperto degli ornamenti della Dea, fra gli stessi altari.
Per questo, essendo travagliati dalla peste e dalle sedizioni furono primi i Crotoniesi , che andarono all’oracolo in Delfo.
Fa risposto loro che sarebbe cessato il male, se avessero placato il violato nume di Minerva, e l’anime degli uccisi. Il perchè, avendo cominciato a fabbricare a’ giovani statue di giusta grandezza, e dianzi a Minerva; i Metapontini, inteso l’oracolo degli dei, s’ avvisano di ottener prima la pace da quelle anime, e dalla Dea, e drizzano a’ giovani piccole statue di pietra, e con sacrifizii di pane placano la Dea: e in questa guisa da ogni parte cessò la peste, avendo gli uni fatto a gara con la magnificenza, e gli altri con la prestezza.
Però, ricuperata la sanità, i Crotoniesi non istettero troppo in pace. Sdegnati eglino che all’ impresa
di Siri, i Locresi avessero dato aiuto alla cittì contea di loro, mossero ad essi guerra. Del che, sbigottiti i
Locresi , ricorrono agli Spartani, umilmente domandando loro aiuto.
Ma questi, aggravati da guerra lontana, impongono loro che chieggano aiuto a Castore e a Polluce: nè si fecero beffe gli ambasciatori della risposta di quella città confederata; laonde, andati nel vicin tempio, e fatto sacrifizio, pregano gli dei che gli aiutino.
Così, sacrificati gli animali, e ottenuto, come essi avvisavano, quanto avevan chiesto, lieti, non altramente che se con loro avessero a condur gli stessi dei, acconciano loro in nave i guanciali , e con buon viaggio portano a’ proprii conforti in cambio d’aiuti.
(1) Metapontini quoque in templo Minervae ferramenta, quibus Epeos, a quo conditi sunt, equum Troianum fabricavit, ostentant. (2) Propter quod omnis illa pars Italiae Maior Graecia appellata est.
(3) Sed principio originum Metapontini cum Sybaritanis et Crotoniensibus pellere ceteros Graecos Italia statuerunt. (4) Cum primum urbem Sirim cepissent, in expugnatione eius L iuvenes amplexos Minervae simulacrum sacerdotemque deae velatum ornamentis inter ipsa altaria trucidaverunt. (5) Ob haec cum peste et seditionibus vexarentur, priores Crotonienses Delphicum oraculum adierunt. (6) Responsum his est, finem mali fore, si violatum Minervae numen et interfectorum manes placassent. (7) Itaque cum statuas iuvenibus iustae magnitudinis et in primis Minervae fabricare coepissent, et Metapontini oraculo cognito deorum occupandam manium et deae pacem rati, iuvenibus modica et lapidea simulacra ponunt et deam panificiis placant. (8) Atque ita pestis utrubique sedata est, cum alteri magnificentia, alteri velocitate certassent. (9) Recuperata sanitate non diu Crotonienses quievere. (10) Itaque indignantes in oppugnatione Siris auxilium contra se a Locrensibus latum, bellum his intulerunt. (11) Quo metu territi Locrenses ad Spartanos decurrunt; auxilium supplices deprecantur. (12) Illi longinqua militia gravati auxilium a Castore et Polluce petere eos iubent. (13) Neque legati responsum sociae urbis spreverunt profectique in proximum templum facto sacrificio auxilium deorum inplorant. (14) Litatis hostiis obtentoque, ut rebantur, quod petebant, haud secus laeti quam si deos ipsos secum avecturi essent, pulvinaria iis in navi conponunt faustisque profecti ominibus solacia suis pro auxiliis deportant.
Ciò udito i Crotoniesi, mandano ancora essi ambasciatori all’ oracolo in Delfo, pregandolo che dia loro possanza d’ottener la vittoria, e d’aver nella guerra felice fine.
Fu risposto loro, che i nemici s’avevano a vincer prima co’ voti , che con l’ armi.
Ora, essendosi eglino votati di dare ad Apollo la decima parte della preda, i Locresi, udito il voto de’ nemici, e la risposta del Dio, si votarono di darne la nona parte, e tennero questa cosa segreta, per non esser vinti coi voti.
Di tal guisa, essendo usciti in campagna, e avendo i Crotoniesi centoventimila combattenti, guardando i Locresi al proprio piccol numero, ch’era solamente di quindicimila, perduta la speranza di vincere, congiurano di voler morire a ogni modo; e, dalla disperazione, prese ciascuno tanto ardore, che si tenevano vincitori, ove non fossero per morire senza vendetta.
Ma cercando eglino di morire onoratamente, con molta felicità rimasero vittoriosi.
Nè d’altronde venne l’origine della lor vittoria, che dalla disperazione.
Combattendo i Locresi, un’ aquila non si partì mai dalle loro schiere, e fino a che ebbero vinto, sempre andò loro volando intorno.
Furono veduti ancora ne’ loro corni due giovani che non erano armati come gli altri, di molto grande statura, co’ cavalli bianchi, e con le sopravvesti scarlatte, a combattere i quali non si videro, se non mentre che durò la battaglia.
L’ incredibil velocità della lama accrebbe questa maraviglia; perciocché il dì medesimo che si fece il fatto d’ arme in Italia, fu data la nuova della vittoria in Corinto, in Atene e in Lacedemone.
(1) His cognitis Crotonienses et ipsi legatos ad oraculum Delphos mittunt, victoriae facultatem bellique prosperos eventus deprecantes. (2) Responsum prius votis hostes quam armis vincendos. (3) Cum vovissent Apollini decimas praedae, Locrenses et voto hostium et responso dei cognito nonas voverunt tacitamque eam rem habuere, ne votis vincerentur. (4) Itaque cum in aciem processissent et Crotoniensium centum viginti milia armatorum constitissent, Locrenses paucitatem suam circumspicientes (nam sola XV milia militum habebant) omissa spe victoriae in destinatam mortem conspirant, (5) tantusque ardor ex desperatione singulos cepit, ut victores se putarent, si non inulti morerentur. (6) Sed dum mori honeste quaerunt, feliciter vicerunt, nec alia causa victoriae fuit, quam quod desperaverunt. (7) Pugnantibus Locris aquila ab acie numquam recessit eosque tam diu circumvolavit, quoad vincerent. (8) In cornibus quoque duo iuvenes diverso a ceteris armorum habitu, eximia magnitudine et albis equis et coccineis paludamentis pugnare visi sunt nec ultra apparuerunt, quam pugnatum est. (9) Hanc admirationem auxit incredibilis famae velocitas. Nam eadem die, qua in Italia pugnatum est, et Corintho et Athenis et Lacedaemone nuntiata est victoria.
I Crotoniesi dopo questo non si presero mai più cura d’esercitarsi in virtù o in armi; perciocché avevano, in odio quei mestieri, eh’ eglino tanto infelicemente avevan preso; e, se non fosse stato il filosofo Pitagora, avrebbono cambiato la virtù del vivere in lussuria.
Questi, nato in Samo, di Demarato ricco mercante, e ammaestrato di gran principi! di sapienza, andato primamente in Egitto, e poi a Babilonia per imparare i movimenti delle stelle, e considerare l’ origine del mondo, aveva acquistato grandissima scienza.
Quindi, tornato, se n’ era ito in Creta e in Lacedemone per aver contezza delle leggi di Minos e di Licurgo, in quel tempo famose; e, di tutte queste cose informato, venne a Crotone , dove con l’autorità sua ritirò il popolo, trascorso nella lussuria, alla modestia e alla temperanza.
Lodava giornalmente la virtù, e dispregiava i vizii della lussuria, rammentando le sciagure delle città minate per simil peste ; e, con tanta istanza provocava la moltitudine a ritirarsi, che parve cosa incredibile, come egli riducesse all’ottima temperanza alcuni di loro, totalmente rotti alla lussuria: e spesso ammoni pure le matrone a parte de’ mariti, ed i figlinoli a parte de’ padri.
Ora era maestro a quelle di pudicizia e di obbedienza ai loro sposi; ora animava questi alla modestia e allo studio delle lettere.
Fra le quali virtù comprendeva ad ognuno la temperanza come madre di tutte: e con la frequenza delle sue dispute ottenne che le matrone dismettessero le vesti dorate, e gli altri ornamenti della dignità loro, come istrumenti di lussuria, e , portatigli nel tempio di Giunone, tutti gli consacrassero alla Dea, allegando, il vero ornamento dello matrone essere la pudicizia , e non le vesti.
Quanto egli parimente cacciasse i vizii da’ giovani, lo manifestavano gli animi loro fatti contumaci alle attrattive delle femmine.
Ed essendo stati trecento di quei giovani, i quali, con giuramento unitisi insieme in certa ragione di compagnia, osservavano un modo di vivere appartato dal rimanente de’ cittadini, si rivoltarono contro, come se facessero combriccola per una segreta congiura, tutta la città; la quale, essendo eglino radunati tutti in una casa, gli volle abbruciare.
Ne morirono in questo romore forse da sessanta, e gli altri se n’andarono in esilio.
Pitagora poi, ssendo stato venti anni in Crotone, passò a Metaponto, dove fornì la sua vita: e rimase in tanta gran venerazione, che fu fatto un tempio della sua casa, ed egli onorato qual dio.
(1) Post haec previous hit Crotoniensibus nulla virtutis exercitatio, nulla armorum cura fuit. (2) Oderant enim quae infeliciter sumpserant, mutassentque vitam luxuria, ni Pythagoras philosophus fuisset. (3) Hic Sami de Marato, locuplete negotiatore, natus magnisque sapientiae incrementis formatus Aegyptum primo, mox Babyloniam ad perdiscendos siderum motus originemque mundi spectandam profectus summam scientiam consecutus erat. (4) Inde regressus Cretam et Lacedaemona ad cognoscendas Minois et Lycurgi inclitas ea tempestate leges contenderat. (5) Quibus omnibus instructus Crotonam venit populumque in luxuriam lapsum auctoritate sua ad usum frugalitatis revocavit. (6) Laudabat cotidie virtutem et vitia luxuriae casumque civitatium ea peste perditarum enumerabat (7) tantumque studium ad frugalitatem multitudinis provocavit, ut aliquos ex his luxuriatos incredibile videretur. (8) Matronarum quoque separatam a viris doctrinam et puerorum a parentibus frequenter habuit. (9) Docebat nunc has pudicitiam et obsequia in viros, nunc illos modestiam et litterarum studium. (10) Inter haec velut genetricem virtutum frugalitatem omnibus ingerebat (11) consecutusque disputationum adsiduitate erat, ut matronae auratas vestes ceteraque dignitatis suae ornamenta velut instrumenta luxuriae deponerent eaque omnia delata in Iunonis aedem ipsi deae consecrarent, (12) prae se ferentes vera ornamenta matronarum pudicitiam, non vestes esse. (13) In iuventute quoque quantum profligatum sit, victi feminarum contumaces animi manifestant. (14) Sed CCC ex iuvenibus cum sodalicii iure sacramento quodam nexi separatam a ceteris civibus vitam exercerent, quasi coetum clandestinae coniurationis haberent, civitatem in se converterunt, quae eos, (15) cum in unam domum convenissent, cremare voluit. (16) In quo tumultu sexaginta ferme periere; ceteri in exilium profecti. (17) Pythagoras autem cum annos XX Crotone egisset, Metapontum emigravit ibique decessit; (18) cuius tanta admiratio fuit, ut ex domo eius templum facerent eumque pro deo colerent.
Pertanto, Dionisio tiranno di cui abbiamo raccontato di sopra che di Sicilia aveva traghettato l’esercito in Italia, e mosso guerra a’ Greci , vinto i Locresi, assalta i Crotoniesi, i quali appena ripigliavano le forze in lungo ozio dalla rovina della guerra di prima: pure più valorosamente fanno contrasto con pochi a così grosso esercito di lui, che prima con tante migliaia non avevan fatto a quei pochi de’ Locresi.
Tanto è il valore della povertà contra l’ insolenti ricchezze; e tanto una insperata vittoria è talora più certa d’ una sperata.
Ma, mentre che Dionisio faceva guerra, andarono a trovarlo gli ambasciatori di quei Galli che pochi mesi avanti afevano bruciato Roma, e gli domandarono di far lega e amicizia seco, mostrandogli che
essendo la loro gente posta in mezzo ai nemici di lui, sarebbono eglino per recargli gran giovamento, o combattendo a fronte col nemico, o, mentre esso era intento alla battaglia, assaltandolo dalle spalle.
Fa grata a Dionisio questa ambasceria.
Così capitolata la lega, e accresciuto degli aiuti de’ Galli, rinnova, come di tutto punto, le reliquie della guerra.
Le cagioni che questi Galli vennero in Italia a procacciar nuove stanze, furono le discordie intriusiche, e le continue sedizioni di casa per fastidio delle quali, essendo arrivati in Italia, cacciarono i Toscani dalle sedi loro e fondarono Milano, Como, Brescia, Verona, Bergamo, Trento e Vicenza.
I Toscani similmente, cacciati dalle stanze loro antiche, sotto il capitano Reto, occuparono l’Alpi e, dal nome del capitano, diedero principio alla gente de’ Reti o Rezii.
Ma Dionisio fu richiamato in Sicilia per la venuta de’ Cartaginesi i quali, ristorato l’esercito, e accresciute le forze, rinnovavano la guerra che rispetto alla peste avevano dismessa.
Capitano della guerra era Annone loro concittadino , del quale era nemico Suniatore, potentissimo in quel tempo fra i Cartaginesi.
Costui, per Podio che portavagli, avendo familiarmente dato avviso a Dionisio con lettere scritte in greco della venuta dell’ esercito, e dell’ infingardaggine del capitano, ed essendo state tali lettere trovate, fu condannato di tradimento: e di poi il Senato mise un partito, che uiun Cartaginese, per
l’innanzi, studiasse nè le lettere, nè la favella dei Greci, affine che non si potesse parlare col nemico,
nè scrivergli senza l’interprete.
Nè molto dopo Dionisio, il quale, poco dianzi, non si contentava della Sicilia, nè dell’Italia vinto, per le continue fazioni di guerra, e disfatto da ultimo per tradimento dei suoi, fu ammazzato.
(1) Igitur Dionysius tyrannus, quem supra a Sicilia exercitum in Italiam traiecisse bellumque Graecis intulisse memoravimus, expugnatis Locris Crotonienses vix vires longo otio ex prioris belli clade resumentes adgreditur, (2) qui fortius cum paucis tanto exercitui eius quam antea cum tot milibus Locrensium paucitati restiterunt. (3) Tantum virtutis paupertas adversus insolentes divitias habet, tantoque insperata interdum sperata victoria certior est. (4) Sed Dionysium gerentem bellum legati Gallorum, qui ante menses Romam incenderant societatem amicitiamque petentes adeunt, (5) gentem suam inter hostes eius positam esse magnoque usui ei futuram vel in acie bellanti vel de tergo intentis in proelium hostibus adfirmant. (6) Grata legatio Dionysio fuit. Ita pacta societate et auxiliis Gallorum auctus bellum velut ex integro restaurat. (7) His autem Gallis causa in Italiam veniendi sedesque novas quaerendi intestina discordia et adsiduae domi dissensiones fuere, (8) quarum taedio cum in Italiam venissent, sedibus Tuscos expulerunt et Mediolanum, Comum, Brixiam, Veronam, Bergomum, Tridentum, Vincentiam condiderunt. (9) Tusci quoque duce Raeto avitis sedibus amissis Alpes occupavere et ex nomine ducis gentem Raetorum condiderunt. (10) Sed Dionysium in Siciliam adventus Karthaginiensium revocavit, qui reparato exercitu bellum, quod deseruerant, auctis viribus repetebant. (11) Dux belli Hanno Karthaginiensis erat, (12) cuius inimicus Suniatus, potentissimus ea tempestate Poenorum, cum odio eius Graecis litteris Dionysio adventum exercitus et segnitiam ducis familiariter praenuntiasset, conprehensis epistulis proditionis eius damnatur, facto senatus consulto, (13) ne quis postea Karthaginiensis aut litteris Graecis aut sermoni studeret, ne aut loqui cum hoste aut scribere sine interprete posset. (14) Nec multo post Dionysius, quem paulo ante non Sicilia, non Italia capiebat, adsiduis belli certaminibus victus fractusque insidiis ad postremum suorum interficitur.