
Per anathema i greci, dal V. sec. a.C. in poi intendevano un’offerta votiva, solitamente deposta nel tempio di una divinità, e costituita in origine da frutta o da animali, più tardi anche da armi, statue, ecc., in ringraziamento per una vittoria o altro avvenimento favorevole.
A Delfi là dove per tre volte Phayllos era risultato vincitore, Pausania menziona la presenza di una sua statua, un anathema che però non è stato ancora identificato né è facilmente localizzabile.
L’altra anathema noto è il cippo rinvenuto negli anni ’30, a Crotone, lungo la spiaggia tra Capo Colonna e Capo Cimiti, variamente datata tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C, on dedica di un Faillo – verosimilmente proprio il nostro atleta – a Zeus Meilichios, divinità ctonia e funeraria, ma anche protettore della navigazione.
Accanto a tali anathemata – che presentano incertezze o che comunque sono solo ipoteticamente riferibili all’atleta – la base dall’Acropoli di Atene risulta di particolare rilevanza. Il blocco fu rinvenuto nel febbraio 1889 con ogni probabilità tra il Partenone e le fondazioni cosiddette Doerpfeld.
L’epigrafe riportata di sicuro identificazione l’atleta e l’esplicito richiamo alle sue tre vittorie pitiche. Incerto il ricordo del contributo da lui offerto nel corso della battaglia di Salamina. La base segnala all’attenzione degli Ateniesi ed ai frequentatori del santuario la gloria dell’atleta e quella del combattente, unico occidentale, a fianco dei Greci in un momento di estremo pericolo (pp. 171-175).
Sulla base presubilmente era posto un tripode ex-voto (vedere ricostruzione alle pp. 176-178), un unicum nel contesto dell’Acropoli, la cui presenza lascia presumere che Faillo dovette acquisire ben presto un’identità ed uno status assolutamente analoghi a quelli di un greco, o forse meglio, di un ateniese (p. 183).
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