Sommario
Premessa. Le culture antiche assorbivano sempre quello che proveniva dalle altre, nel bene e nel male. Le relazioni tra la Calabria Antica e l’Egitto, sono note, e trattate in convegni tra i quali quello di Corigliano Calabro del 2004. Importanti i reperti egizi ed egittizzanti della Crotoniatide.
Horus è una divinità del pantheon dell’antico Egitto, fra le più antiche e significative. Il suo culto nella Valle del Nilo si estese cronologicamente dalla tarda Preistoria fino all’epoca tolemaica e alla dominazione romana dell’Egitto. Nel corso dei millenni, fu venerato sotto molteplici forme, con aspetti eterogenei del dio, che probabilmente derivarono da differenti percezioni della stessa divinità sfaccettata. Era assiduamente rappresentato come un falco o come uomo dalla testa di falco. Nella forma più comune del mito, Horus era figlio di Iside e Osiride e aveva un ruolo fondamentale all’interno del mito di Osiride, in quanto erede di suo padre — appunto Osiride — e rivale di Seth, il dio uccisore di Osiride.
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L’Udjat, l’Occhio di Horus
(Testo riportato per concessione dell’autore)
L’Udjat, meglio conosciuto come Occhio di Horus, è uno dei simboli più conosciuti dell’antica civiltà egizia. Le sue sfaccettature sono molteplici, talvolta arrivò anche a indicare una particolare divinità. In generale, siamo soliti associarlo al dio del Sole, e questo non è sbagliato.
La ricca mitologia egizia ci narra, infatti, che al tempo dei titanici duelli che videro protagonisti Horus, erede di Osiride, e Seth, suo zio usurpatore e assassino, accadde che il falco divino perse i suoi preziosi occhi nel bel mezzo del duello. Seth glieli strappò dalle orbite, frantumandoli in sessantaquattro pezzi (ricordiamo che per gli Egizi i numeri avevano un significato specifico e importante) e gettandoli nella polvere, sul luogo della contesa.
Intervenne allora il più sapiente degli déi d’Egitto: Thot, divinità legata alla Luna, alla magia, alla saggezza, alla matematica, alla misurazione del tempo e alla scrittura. Con la sua scienza, alleata al sapere esoterico, egli ricompose gli occhi del dio cieco, rendendo la sua vista ancora più acuta. Da quel giorno, il falco solare riprese la lotta e ne uscì vittorioso. Seth, vinto ma non annientato, ritornò al suo regno, l’arido deserto, e la luce dorata del Sole tornò a splendere sulla Valle del Nilo. Horus, sotto saggio consiglio di sua madre Iside, non uccise Seth: come richiede la Maat, la giustizia, deve esserci un perfetto equilibrio tra il Bene e il Male, nessuno dei due deve prevalere sull’altro, se non si vuole che regni il caos.
Questo è il mito più celebre riguardante il simbolo. Tuttavia, su papiri e affreschi tombali viene rappresentata una divinità singolare che spesso svolge il ruolo di protagonista: l’Occhio. Questa figura può essere considerata come sinonimo di energia creatrice, andando così a sovrapporsi alle svariate forme della Grande Dea Madre. Nell’antico Egitto ella era il cielo stellato – la dea Nut -, la mucca Hathor, Iside, Sekhmet, Mut e molte altre ancora; tutte queste divinità erano rappresentate indifferentemente con un unico simbolo, l’Occhio, appunto.
Nel caso in cui ci si rivolga a questo simbolo come a una divinità a sé, esso viene definito Udjat. A differenza delle altre divinità, però, Udjat non assume una propria forma zoolatrica o semiumana, ma viene rappresentata con l’occhio che rappresenta. Nel Libro dei Morti viene indicato come attributo caratteristico di tutte le diverse forme di divinità suprema, femminile o maschile che sia.
Fra le numerose versioni del mito della creazione, ce n’è una interessante per l’argomento di cui si tratta in questa sede. Esso, infatti, narra di come, al principio, un falco molto particolare emerse dalle Acque Primeve. L’animale, infatti, aveva il sole al posto dell’occhio destro e la luna al posto del sinistro. Il Sole, in questo caso, rappresenta sì divinità ieracocefale come Horus e Ra, ma anche la dea leonessa Sekhmet. Un altro nome dell’Occhio è Hotep-Sekhus, descritto come la divinità che brucia i nemici di Ra, un’altra forma della terribile Sekhmet.
Un altro mito narra, invece, che all’inizio dei tempi il Dio Supremo possedesse un occhio solo, in mezzo alla fronte. Poiché egli aveva la necessità di cercare nelle Acque Primeve la prima coppia divina, quella formata da Shu e Tefnut, che si era persa nel Caos e nell’Oscurità, decise di privarsi del suo unico occhio per andare a recuperarla. Poichè, tuttavia, non poteva rimanere cieco, egli mise al posto dell’occhio vero un suo simulacro, l’Udjat. In questo caso, esso rappresenta la Luna: benché essa possegga una luce minore rispetto a quella solare, permette comunque al dio di poter vedere. Una volta recuperati Shu e Tefnut dalle tenebre, l’occhio originario venne premiato con la sua trasformazione in un cobra eretto, destinato da quel momento in poi a ornare la fronte di tutti i faraoni d’Egitto, difendendoli da ogni nemico.
In un’altro mito si narra che fu l’Occhio a dare vita all’umanità. trasformando ogni sua singola lacrima in altrettanti individui. In questo caso, l’Occhio è la Divinità Progenitrice.
L’Udjat, dunque, è il principale simbolo elargitore di vita. E’ la fertilità della terra e delle creature che la abitano, è la potenza prorompente di tutto ciò che è vivo e soffia soffia la magia dell’esistenza. E’ sul terreno fertile di questi racconti di epoche mitiche che si radica tutta la forza del simbolo Ujat.
Il termine Ujat significa “in buono stato”, “in buona salute” o anche “Ciò che ha acquisito la sua totale pienezza”. E’ interessante scomporre questo simbolo per coglierne tutto il significato.
Nella lingua geroglifica, l’occhio è il verbo Ir (vedere), ma anche creare. Platone assicura che l’occhio è portatore di luce. Questa luce creatrice ha dissolto le tenebre del caos permettendo lo sbocciare della vita.
Falco pellegrino, a quest’occhio è appeso, sulla sinistra, il segno dell’acciarino preistorico, usato nel rito del tempio per portare calore e luce. Si può anche notare come questo segno adotti la forma caratteristica del disegno visibile sulla guancia del falco pellegrino, uccello di Horus.
A destra dell’occhio si svolge una spirale, immagine stessa del moto universale che anima tanto la minuscola cellula come la gigantesca costellazione.
I tre elementi associati, possono allora creare l’energia che è loro propria, la manifestazione della vita.
Le proporzioni di questi tre elementi sono estremamente rigorose; così, l’occhio di Horus è la misura di tutte le cose. Nel linguaggio operativo, è l’occhio del Maestro la cui arte organizza le linee e rende armonioso il tempio, la statua, il regno e l’universo. Nel regno degli uomini, l’Ujat è la protezione contro il malocchio, le forze negative alle quali si oppone incessantemente la luce. In campo cosmico, l’occhio sdoppiato è il Sole e la Luna, il ciclo infinito della luce.
L’Ujat è dipinto sulle pareti dei sarcofagi, le navi sacre che permettono ai defunti di viaggiare da Occidente verso Oriente. L’occhio le mantiene sulla rotta della salvezza, le dirige verso il placido orizzonte dove ogni mattina si staglia il profilo d’oro del sole che rinnova il miracolo della vita.
“Apri la tua bocca con l’occhio di Horus”, scandiscono i testi della piramide di Unas. “Apri la bocca” lascia intendere “ricevi il soffio che d’ora in avanti farà palpitare il tuo cuore immortale”.
L’Ujat è anche al centro del rito del mattino nel naos di tutti i templi. Il rito rievoca l’episodio dell’occhio sacrificato, perduto e poi ritrovato. Il pontefice lo offre alla divinità e, tenendolo in alto con le mani, dichiara: “Ti ho applicato l’Occhio di Horus perché, grazie a esso, il tuo viso è rigenerato.”
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