P.G. Guzzo – Ceppi in ferro da sepolture e da santuari (VIII-I sec. a.C.) (2020)

Scheda Bibliografica

Scheda Bibliografica (BDG-Biblioteca Digitale del GAK)

TitoloCeppi in ferro da sepolture e da santuari (VIII-I sec. a.C.). Problemi di interpretazione
Autore(i)
Data rilascio2020
Contenitore, TitoloAristonothos
Riferimentipp. 127-202
Casa editriceUniversità degli Studi di Milano
TipoArticolo di periodico specializzato
Classificazioni Biblioteca GAK
Categorie [Kroton, Le Aree Sacre], 
Tag [Vigna Nuova],
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Abstract

Si raccolgono le documentazioni relative provenienti da un’area delimitata dalla Gallia meridionale ad Ovest e dalla penisola Calcidica ad Est. I ceppi dai santuari alludono alla liberazione dalla schiavitù: pur ponendo problemi in quanto sono per lo più ancora chiusi.

Dal santuario di Vigna Nuova di Crotone non sono noti ceppi, ma solamente catene ed attrezzi in ferro: ne deriva che la titolarità di Hera Eleutheria è da sostituirsi con quella di Demetra.

Nelle sepolture, tranne il caso della 950 di Pithecusa, si tratta di schiavi sepolti con ceppi alle caviglie. Poiché la schiavitù è accettata nel mondo antico, tombe del genere non possono essere definite ‘devianti’.

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Altre Informazioni Biblioteca GAK
ID Archivio: 10556
Data inserimento: 31-01-2021 18:03
Data ultima revisione 03-04-2021 02:26
Permalink: https://www.gruppoarcheologicokr.it/biblioteca/p-g-guzzo-ceppi-in-ferro-da-sepolture-e-da-santuari-viii-i-sec-a-c-2020/
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Aristonothos

OSSERVAZIONI

L’ipotesi di Heraion

Roberto Spadea1) precisava che nel Santuario di Vigna Nuova, oltre alla microceramica votiva ed alle patere mesonfaliche in bronzo, tipiche offerte votive dei santuari, sono state trovate singolari dediche dell’edificio di “Vigna Nuova” costituite da catene, alcune di grandi dimensioni, blocchi con grandi fori per snodi, ganci e ceppi di ferro (figg. 22-24) ed ancora da strumenti di lavoro quali vanghe, zappe, picconi, piccozze, mazze, asce-martello etc.
Ed ancora, ricorda che le deposizioni erano contenute in pithoi di terracotta ο nella nuda terra. In un solo caso esse compaiono all’interno di un calderone di bronzo (fig. 27), che presenta un vistoso restauro nella parte inferiore con una lamina attaccata all’originale con chiodini. Accanto agli attrezzi ed alle catene di ferro sono da ricordare le armi (lance) e gli altri (tanti) oggetti di bronzo che compaiono vicino ο dentro gli stessi blocchi di catene.

A proposito dell’interpretazione di questi reperti Spadea, precisa: Gli episodi, rammentati da Erodoto e Pausania (il fatto doveva essere eccezionale in antico ed aveva attirato la loro attenzione la quantità considerevole delle catene stesse esposte in santuari assai venerati e famosi nel mondo greco) sono di notevole peso per interpretare come appartenenti a schiavi le catene rinvenute a “Vigna Nuova”. Un’attenta analisi delle catene ha dimostrato che alcune di esse appaiono essere state spezzate ο allentate con colpi di maglio. Una catena a due anelli semplici e collegati con due barrette orizzontali richiama molto da vicino le catene da piede usate dagli schiavi impiegati nelle cave del Laureion. In considerazione della straordinaria abbondanza dei ritrovamenti e delle rotture riscontrate sugli esemplari di “Vigna Nuova” avevo pensato ad una manomissione collettiva, databile al secondo venticinquennio del V secolo a.C., periodo al quale ci riportano e le due iscrizioni e il calderone entro il quale furono ritrovate altre catene. Ancora oggi viene in mente la grande manomissione dei prigionieri sibariti che avevano lavorato le “belle pianure” dei Crotoniati, e non solo quelle, dacché le asce riportano al legno, risorsa fondamentale per Crotone se si pensa che porto e flotta sono una delle basi della sua eudaimonia. Il più probabile riferimento cronologico può essere una manomissione che le fonti attribuiscono a Clinia che tiranneggiô brevemente Crotone, grosso modo dopo Pitagora e di cui è notizia in Dionigi d’Alicarnasso (XX, 7). Da “Vigna Nuova” proviene un manico di strigile, dove tale nome era inciso e non si può negare la forte suggestione derivante dall’accostamento tra i due personaggi. Ma è meglio attendere ulteriori verifiche.

Il riferimento eleuterico, proprio delle catene spezzate, riporta ancora una volta ad Hera, ricordando in proposito che proprio il Lacinio è il luogo principe per tale funzione, come è desumibile dalle dediche e dalle fonti che ricordano il Lacinio come uno dei pochi Heraia con diritto di asilo insieme a quelli di Argo e Samos. Il confronto tra la tipologia degli edifici Β e di “Vigna Nuova” potrebbe essere inoltre un ulteriore contributo a riconfermare l’interpretazione di quest’ultimo come Heraion. Aggiungerei ora anche la museruola di quadrupede, forse un cavallo che riporta ad un’Hera Signora degli animali e collega ad Hera la figura di quell’Eracle che la tradizione (Servio) fa fondatore del culto del Lacinio (il rinvio allo statere d’argento di cui ho detto è ovvio). Esiterei, ancora una volta, a parlare di Hera Oplosmia. Mi sembra infatti che troppo pochi siano gli argomenti a sostegno di questa ipotesi e in ultimo ricordo che in ogni caso Licofrone attribuisce l’epiclesi all’Hera del Lacinio.

La nuova ipotesi di P.G. Guzzo

Il saggio di P.G. Guzzo pone a confronto i reperti di ceppi in ferro provenienti da diverse sepolture e santuari del monto antico un’area piuttosto ampia (delimitata dalla Gallia meridionale ad Ovest e dalla penisola Calcidica ad Est della Grecia). Riportiamo alcuni passaggi più significativi.

(Pag. 139)Allo stato attuale delle conoscenze riesce arduo definire con nettezza se il ceppo e le catene sopra descritti a quali funzioni siano da riferirsi. Ceppi e catene provenienti da santuari di Demetra, o comunque dedicati a divinità protettrici della fecondità, sono stati intesi come dediche votate da affrancati, secondo un’interpretazione di quanto scritto su lamine di bronzo. Altri hanno preferito intendere le stesse iscrizioni come ricordo di dediche alla divinità del ritratto raffigurante l’offerente. A quanto pare, la ripetuta menzione dell’eforo in queste iscrizioni depone a favore di un’azione ben più significativa di quanto possa essere stata la dedica di un proprio ritratto. La manomissione, infatti, comportava una radicale modifica nel rapporto all’interno della stessa società tra individui: in precedenza di servitù, in seguito, se non tra uguali, di certo non più tra padrone e schiavo. L’interpretazione di queste iscrizioni relativa all’affrancazione sacra, a seguito della dedica del proprio corpo alla divinità, pare preferibile: stante anche l’abbondante testimonianza in ugual senso proveniente dalla Grecia propria. (…)

(p. 145) Bibliografia su Vigna Nuova: LATTANZI 1982, p. 224; SPADEA 1984, pp. 145-148; MADDOLI 1984, pp. 328-329; MADDOLI 1987-1988, p. 148; GIANGIULIO 1989, p. 53, nt. 3; MELE 1996, p. 235; SPADEA 1997, pp. 254-255; BARBANERA 2006, pp. 371-372; CINQUANTAQUATTRO 2012-2013, p. 42, nt. 83; SPADEA 2014, pp.101-102; GRASSI 2016, p. 405 (confuso con il Lacinio); PARISI 2017, p.327; p. 329; p. 522; CINQUANTAQUATTRO 2017, p. 280, n. 44; MEDAGLIA 2018.

(pp. 145-146) I depositi di catene e di altri oggetti in ferro erano localizzati nella vasca quadrangolare posta al centro dell’oikos del santuario.
Essi erano superiormente chiusi da uno “strato di cenere, sottostante il crollo del tetto a tegole, cenere che ha sigillato un blocco compattissimo circoscritto di grosse catene di ferro di varia dimensione, con anelli di tipo circolare e allungato”. Altre “catene, alcune di grandi dimensioni, blocchi con grandi snodi, ganci e ceppi in ferro… erano contenute in pithoi di terracotta o nella nuda terra. In un solo caso esse compaiono all’interno di un calderone di bronzo”. Quanto riferito da parte degli scavatori fa dedurre che l’estensione dell’oikos sia stata per gran parte occupata da depositi di catene ed altri utensili in ferro, frammisti ad altri oggetti deposti in voto, sia ceramici sia metallici. Le osservazioni stratigrafiche portano ad una generica datazione nel corso della prima metà del V secolo della deposizione di tutti gli oggetti votivi, compresi quelli in ferro.
(… segue elencazione dei reperti …)

(pp. 147-148) La maggior parte di quanto deposto appartiene a catene, costituite da anelli di diverse forme: non sembra se ne abbia difficoltà di interpretazione stante l’ampia variabilità funzionale di questa classe di oggetti non solo come strumenti di prigionia. Incertezze interpretative si evidenziano invece per quegli oggetti che possono essere definiti, o assimilati a ceppi. (…) L’unica spiegazione che si potrebbe proporre è che si tratti di ceppi simbolici: non realmente utilizzati, ma prodotti solamente per rappresentare, o simboleggiare, gli invece reali strumenti di costrizione della libertà di uso degli arti.

(p. 148-149) Il santuario di Vigna Nuova, in specie a seguito del rinvenimento di catene e di oggetti identificati come ceppi, è stato ritenuto dedicato ad Hera nella sua specialità di Eleutheria: identificando quindi un secondo santuario nel quale con questa specifica, ma non unica, epiclesi della Hera che si venerava al Lacinio si onorava la stessa dea, per quanto con molto minore monumentalità. Nel santuario principale è evidente, dalla antica documentazione letteraria ed epigrafica, che si aveva un asylum, all’interno del quale si procedeva alla manomissione di schiavi. C’è da notare che al Lacinio non sono finora stati segnalati ritrovamenti di catene o di ceppi: nonostante la sicura documentazione epigrafica relativa a manomissioni. Nel santuario di Vigna Nuova, al contrario, in totale mancanza, almeno finora, di sicura documentazione epigrafica in generale e in specie relativa a manomissioni, l’abbondante evidenza archeologica recuperata è stata attribuita totalmente all’affrancazione dalla schiavitù. Questa liberazione si è reputata potersi identificare, sia pure come “ipotesi”, ma “concreta”, con quanto tramanda Dionigi di Alicarnasso (XX 7, 1) a proposito di Kleinias. Questo tiranno di Crotone riportò in libertà schiavi per potersene servire come proprie guardie del corpo; la cronologia dell’episodio così tramandato, come tutte le vicende che riguardano Kleinias, è stata ricostruita dai moderni e situata, variamente, nel corso della prima metà del V secolo. In rapporto a questa oscillante datazione è stata posta l’età del deposito di ferri ritrovati a Vigna Nuova.

(p. 149) Elemento caratteristico del santuario (di Vigna Nuova) è l’abbondante deposizione di oggetti in ferro: sia all’interno di recipienti (in bronzo e in terracotta) sia ammassati sul pavimento sono vanghe, zappe, picconi, piccozze, mazze, asce-martello, roncole, catene, collari, ‘chiavi di tempio’. Un tale inventario, con precisa caratterizzazione agricola, si ritrova negli oggetti in ferro votati nel santuario di Demetra a Policoro e può trovare riscontro nell’iscrizione da Torricella presso Taranto; incerto il parallelismo con il santuario settentrionale di Pontecagnano.

(p. 150) La presenza di doni in bronzo, fra i quali quelli, di incerta funzionalità, iscritti con formule onomastiche frammisti agli oggetti
in ferro come non si verifica a Policoro documenta del variato e nutrito concorso di devoti.
In definitiva, una proposta di attribuzione a Demetra del santuario di Vigna Nuova non sembra trovare nella documentazione finora a disposizione elementi contrari: anche quei reperti in ferro che sono finora stati ritenuti ceppi, nonostante le proprie caratteristiche formali, non sono di certo estranei in santuari demetriaci (cfr. Policoro infra, n. 18). Se quanto fin qui proposto corrisponde alla realtà antica vi si ravvisano, al contrario, indizi favorevoli.

Documentazione fotografica

Reperti in ferro dal Santuario di Vigna Nuova di Crotone

Correlazioni

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Note

  1. Roberto Spadea – Santuari di Hera a Crotone (1997[]