Sommario
Faillo (in greco antico: Φάϋλλος), nasce a Kroton nel VI secolo a.C. – tra 525-520 a.C. – e muore dopo il 480 a.C.1. E’ stato un cittadino krotoniate, atleta insigne e militare.
L’insigne atleta
Godette di grande fama già nell’antichità, tanto da divenire proverbiale. E’ rammentato due volte da Aristofane. Negli Acarnesi, dove il coro dei vecchi carbonai, dolendosi dell’impaccio degli anni, e che non riesce ad agguantare Anfiteo con le ampolline della tregua, si vanta che nella gioventù era corso dietro a Faillo nella corsa:
«Oh, me infelice, maledetta la vecchiaia! (Anfiteo) non mi sarebbe sfuggito al tempo della mia giovinezza quando io, anche se portavo un carico di carbone, correvo e tenevo dietro a Phayllos»
Aristofane, Acarnesi, vv. 210-18., 425 a.C.
ed ancora Aristofane, nelle Vespe, racconta Filocleone, fiero appartenente della generazione che aveva sconfitto i Persiani, con un evidente doppio senso tra qualità ginniche ed azioni legali, lo menziona come exemplum di corridore senza pari:
«Quando ero ancora giovane inseguii e presi il corridore Phayllos»
Aristofane, Vespe, vv. 1206-7., 422 a.C.
È interessante notare come queste commedie di Aristofane siano databili al 425 e al 422, cioè circa cento anni dopo le vittorie di Phayllos.
Pausania, a proposito delle sue imprese come atleta e come soldato, dice:
Faillo Crotoniata non conseguì alcuna vittoria nei Giochi Olimpici.
Nei Giochi Pitici ne riportò tre; due del pentathlon (o quiiiquerzio) , ed una terza nella corsa dello stadio.
Combattè parimenti per mare contro i Persiani , allestitosi con nave propria , e messivi su quanti Crotoniati erano allora in Grecia di passaggio.
La data di queste vittorie è da collocarsi intorno al 490 a.C.
Lo scoliaste di Aristofane attribuisce a Faillo il nome di Olimpionice, dicendo di lui “Corridore famoso, cui davan titolo di Odometro, misuratore (cioè macinatore) di strade.
Un tardo epigramma dell’Anthologia Palatina (Preger, Inscr. Metr. 142), ci ricorda che:
Cinque oltre cinquanta piedi saltò Faillo,
e cento men cinque scagliò il disco
I record di Phayllos sono tra i pochi che ci siano giunti dall’antichità: egli saltò una lunghezza pari a 55 piedi (circa 15 metri) e lanciò il disco ad una distanza di 95 piedi (circa 26 metri). Se la distanza del salto è notevole anche per i tempi moderni, la distanza del lancio sembra piccola rispetto agli standard odierni; sicuramente non si tratta dello stesso disco che si usa oggi e le modalità di esecuzione daranno diverse.
Proprio il suo famoso salto, il primo a superare la lunghezza di 50 piedi dello skamma, avrebbe originato i proverbi usati da Platone υπέρ τα έσκαmmένα αλλεσθαι come sinonimo di mακρότερα του προσήκοντος έρωτάν, ad intendere l’andare al di là della misura, oltre il limite.
E’ strano che un simile atleta non sia stato mai un vincitore olimpico. E’ stato pertanto ipotizzato che egli si sia astenuto dal gareggiare ad Olimpia come conseguenza della situazione difficile creatasi nella città in seguito alla vittoria riportata su Sibari (510): la distribuzione delle terre al popolo seguita alla vittoria, infatti, aveva creato problemi agli aristocratici al potere, classe alla quale apparteneva anche Phayllos. Questa crisi, infine, culminò in una rivolta antipitagorica, essendo stato proprio il filosofo a caldeggiare l’intervento contro Sibari e, in definitiva, a determinare la vittoria di Crotone.
Phayllos è anche uno dei pochi atleti antichi di cui abbiamo una «fotografia», poiché lo troviamo effigiato in quattro vasi antichi il più famoso dei quali è un’anfora a figure rosse del famoso pittore Euthymides: l’atleta che regge un disco effigiato sul lato B è identificato come Phayllos dall’iscrizione graffita sotto il gomito 2. Questa anfora, datata 515-510 a.C., proveniente dagli scavi illegali nell’Italia meridionale, è stata restituita dal Getty Museum e ora è esposta nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia: l’Artista ha “fotografato” Phayllos mentre impugna il giavellotto e mentre si appresta a lanciare il disco. Queste due specialità erano comprese nella gara del pentatlon.
Euthymides, attivo sia come vasaio che come ceramografo tra il 515 e il 500 a.C., aveva una certa preferenza per Phayllos, visto che abbiamo altri due vasi con analoghe iscrizioni, un’eccezione nella tradizione greca del periodo che rifuggiva dalle rappresentazioni dei personaggi reali 3. Per chi volesse prondire sulle opere di Euthymides, consigliamo il saggio di Joseph Clark Hoppin “A Study in Attic Vasepainting” (1896) (in inglese).
L’immagini riportata nella copertina di questo articolo è invece un dettaglio di un’anfora a figure rosse proveniente da Vulci, datata 515-510 a.C., sempre attribuita ad Euthymides, ed esposta nell’Antikensammlung di Monaco di Baviera, e che ritrae Phayllos in allenamento che lancia il disco sotto la guida dell’allenatore.
Altre rappresentazioni grafiche di Faillo sono riportate nel testo di M.C. Monaco indicato in bibliografia. Nello stesso testo l’autrice ipotizza che, dalle valutazioni sull’età delle ceramiche e delle modalità di rappresentazione di Faillo, “Faillo è nato probabilmente intorno al 535/530 a.C., a 20/25 anni avrebbe riportato le sue proverbiali vittorie alle Pitiche; al 515/505 a.C. ca. risalirebbero le raffigurazioni vascolari; al momento della battaglia di Salamina il crotoniate avrebbe avuto intorno a 50/55 anni“.
Il militare.
Faillo si trovava si trovava con i suoi compaesani ad Olimpia, per disputare i classici agoni, mentre si andava preparando la seconda guerra persiana, il secondo tentativo di aggressione, invasione e conquista della Grecia ad opera dei Persiani, comandati da Serse I di Persia, che si è svolta tra il 480 e il 479 a.C. all’interno del più vasto panorama delle guerre persiane, campagne militari aventi come ultimo scopo la sottomissione della Grecia all’impero achemenide.
Era situazione di enorme difficoltà per l’Ellade, gli Ateniesi e gli Spartani inviarono varie ambascerie nelle colonie ma ricevettero il diniego di tutti gli italioti; addirittura il tiranno di Siracusa Gelone offrì le sue 300 trireme a patto che la conduzione dell’intera flotta greca andasse a lui, ma erano pretese che non potevano avere un seguito.
Allora Faillo e i Crotoniati abili atleti a quel tempo sposarono la causa ed equipaggiarono una trireme a loro spese e offrirono un notevole e prezioso contributo nella battaglia di Salamina del 23 settembre 480 a.C. Tant’è che lo storico Erodoto nel VII libro 47-48 delle Storie così scrive: “Dei popoli che vivono fuori da questi limiti, gli unici ad aiutare la Grecia in pericolo furono i crotoniati, con una nave comandata da Faillo, tre volte vincitore ai giuochi pitici. I crotoniati sono di stirpe achea“.
La statua a Delphi e la presunta iscrizione
Dopo l’impresa e il trionfo dei Greci sugli invasori Persiani, venne eretta a Delphi, nel recinto sacro di Apollo una sua statua, ovvero tale statua è da intendersi una dedica al famoso atleta proprio nel luogo ove si erano tenuti i giochi pitici. L’informazione è data da Pausania (PAUS. X, 9, 2) che però non redige un elenco delle immagini degli atleti, ma menziona, in via del tutto eccezionale, una non ancora identificata né facilmente localizzabile, statua di Faillo.
Controversa, vista la limitata leggibilità è una iscrizione alla base di una colonna di Delfi, inizialmente attribuita a Faillo, ma che oggi si tende a credere celebri piuttosto la vittoria dei krotoniati sui sibariti (vedere a tal proposito: Daniela Costanzo, Il Tripode dei Krotoniati a Delfi, un’offerta monumentale tra politica e ideologia apollinea.
La fama di Phayllos fu di lunga durata e raggiunse addirittura l’epoca di Alessandro Magno. Dopo battaglia di Gaugamela del 1º ottobre del 331 a.C. che oppose trionfalmente Alessandro il Grande ai Persiani di re Dario III, e simbolicamente inviò a Crotone parte del suo bottino di guerra per onorare il valore dell’atleta Phayllos e la sua generosa partecipazione alla battaglia di Salamina del secolo precedente (Plut., Alex., 34, 1-3: cfr. Arist., 11, 8.).
L’epigrafe di Atene
L’Occidente è escluso, tenuto fuori, da quei grandiosi programmi monumentali e figurativi che, a partire dalla metà V secolo a.C., ridisegnarono completamente la fisionomia dell’Acropoli di Atene. Fa eccezione una frammentaria base in marmo pentelico destinata a supportare un anathema del “celeberrimo Faillo di Crotone”.
Si tratta di un’iscrizione rinvenuta nel 1889 ad Atene presso il Partenone un’iscrizione, che pur nel suo stato frammentario, è stata integrata e ricostruita nella parte centrale e che l’esegeta Moretti nel 1953 così tradusse: “… Phayllos dedicò, tre volte vincitore nell’agone pitico e vincitore delle navi che l’Asia spedì (contro la Grecia)“.
Nello studio di M.C. Monaco, riportato in bibliografia si indica desume che Faillo dovette trascorrere buona parte della sua esistenza ad Atene acquisendo “un’identità ed uno status assolutamente analoghi a quelli di un greco, o forse meglio, di un ateniese”. Se così non fosse, il suo donario in nessun caso avrebbe trovato posto sull’acropoli.
L’àncora (ovvero il cippo) di Phayllos
Negli anni ’30, lungo la spiaggia tra Capo Colonna e Capo Cimiti si recuperò casualmente un cippo, con ogni probabilità, la metà di un’ancora iscritta, variamente datata tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. Sull’ex-voto è la dedica di un Faillo – verosimilmente proprio il nostro atleta – a Zeus Meilichios 4: τõ Διòς τõ Με̄λιχίο̄ Φάϝλος hέζατο
Il cippo che originariamente doveva esser lungo in totale circa 1,30 mt, conserva gran parte dell’incastro centrale, troncato irregolarmente; l’iscrizione, conservata completa, corre nel senso della lunghezza su due lati5.
Nonostante il nome del dio sia identico, Zeus Meilichios (dolce o mellifluo) non è la divinità olimpica che tutti conosciamo – capo di tutti gli Dei, capo dell’Olimpo, dio del cielo e del tuono – , ma una diversa divinità propiziata da rituali arcaici e adorata in diverse città greche (tra cui Atene6, e tra i Greci di Sicilia a Selinunte7;), un daimon ctonio, cioè un essere divino che viveva nel mondo sotterraneo. Nelle forme d’arte veniva rappresentato sia come uomo sia come serpente. In suo onore si sacrificavano animali di colore nero che venivano affogati dentro a pozzi, come si faceva per divinità ctonie come Persefone e Demetra o sulla tomba degli eroi. Numerose sono le tracce del culto al di fuori dell’Attica. I rilievi votivi antropomorfi e zoomorfi – simili a quelli attici – sono meno frequenti e si concentrano in età ellenistica. Ricco è il quadro aniconico (privo di immagini): semplici stele, horoi, comunque lithoi più o meno grossolani, in parte iscritti, per un periodo che si estende dalla fine dell’arcaismo fino alla piena età ellenistica, e sono testimoniati, per esempio, a Perachora, Megara Nisea, Calcide, Andro, Amorgo, Delo, Chio, Samo, in Acarnania, a Tebe Ftiotide, a Cnido. Ma anche a Selinunte e Pompei in Italia. Nonostante sia ritenuto un culto arcaico, la maggiorparte delle attestazioni del culto di Zeus Meilichios in Attica sono solo del IV – III secolo a.C. raggiungendo il periodo di massimo splendore in corridpondenza delle riforme politiche, economiche e cultuali di Lykourgos di Atene8
Il significato del reperto di Crotone rimane ambiguo, a causa delle modalità del rinvenimento, restando a tutt’oggi indefinito il possibile contesto in cui esso era collocato; ciò nonostante costituisce l’unica possibile attestazione del culto di Zeus Meilichios a Kroton.
Indizi sul culto di Zeus a Kroton sono dati dalla presenza dell’aquila incusa in molte monete emesse dai Krotoniati – come supposto da Garrucci (1885, 52), Lenormant (II, 99), Maddoli (1984, 334): “L’aquila in volo è legata a Pitagora: messaggera di Zeus per gli uomini cari agli dei, passa volando sul capo del filosofo intento a sostenere questa sua funzione, viene da lui richiamata a terra, accarezzata e poi rimandata in volo. L’episodio, ambientato in Olimpia da Porfirio 373 e citato comunque in connessione coll’attività del filosofo ad Olimpia, viene, nella tradizione che fa capo ad Aristotele, collocato a Crotone“9. “La presenza dell’aquila sulle monete crotoniate di VI e V secolo, richiama il mito di fondazione del culto attico di Zeus Meilichios raccontata da Antonino Liberale (Met, VI)“10.
Vi è anche l’ipotesi che l’interpretazione come àncora sia errata e che si tratti in realtà di un cippo di pietra infisso nel terreno dedicato alla divinità, come gli argòi lithoi di Metaponto – posti vicino al Tempio B, talora iscritti con dedica ad Apollo – o quelli dell’area sacra dedicata a Zeus Meilichios a Selinunte, che sono stati interpretati come testimonianze di un primitivo culto del dio all’aperto11. Per il reperto di Crotone, la mancanza di un luogo sacro nei pressi del luogo di rinvenimento rende incerta qualunque interpretazione12; l’ipotesi che il culto di Zeus con questo epiteto fosse localizzato all’interno dell’Heraion del Lacinio non è condivisa da G.Maddoli per la sua natura ctonia13, contraddicendo quanto ipotizzava il Gianfrotta, che invece – concentrandosi sul destinazione d’uso del manufatto – come àncora, benchè non utilizzata come tale: per il Gianfrotta l’ancora di Crotone, analogamente a quelle di Gravisca e di Egina, “è dedicata ad una divinità protettrice evidententente connessa al superamento dei pericoli della navigazione. Il luogo di rinvenimento, a non molta distanza da Capo Colonna, ed il carattere isolato del manufatto autorizzerebbero l’accostamento al santuario di Hera Lacinia presso cui il ceppo poteva forse essere posto in origine“14.
Maddoli piuttosto evidenzia che “Faillo aveva notevole dimestichezza con Atene, al cui soccorso certo non casualmente egli si reca, come documenta una iscrizione celebrativa dell’atleta trovata addirittura sull’Acropoli: non è impossibile pensare che anche il diffuso culto di Meilichios ad Atene, in onore del quale, riferisce Tucidide (I 126), … , abbia influenzato, verosimilmente in seguito al buon esito della spedizione a Salamina, la dedica del cippo crotoniate“. “Zeus Meilichios, inoltre, è invocato in un inno cosidetto orfico (LXXIII, 1 ss.) nel suo aspetto daimonico e soterico: a lui si chiede una fine dell’esistenza dolce e propizia. …. Da queste connessioni si potrebbe forse trarre motivo per guardare a Faillo come a un esponente della cerchia aristocratica crotoniate sensibile alle dottrine escatologiche dei misteri eleusini“.
E, se l’identificazione tra il dedicante con il famoso vincitore magno-greco Phayllos sembra plausibile, diversamente, seducente, ma, al momento, priva di riscontri resta l’ipotesi stando alla quale l’ancora sarebbe stata pertinente alla stessa nave che aveva combattutto a Salamina.
Bibliografia
- Faillo di Crotone su Wikipedia
- Angela Teja e Santino Mariano, Agonistica in Magna Grecia la scuola atletica di Crotone, Edizioni del Convento 2004.
- M.C. Monaco, “Un’isolata presenza occidentale sull’Acropoli di Atene: l’anathema di Faillo di Crotone”, in E.Greco, M. Lombardo (a cura di), Atene e l’Occidente. I grandi temi. Atti Convegno, Tripodes 5, Atene 2007, 155-189
- A. Hauvette, “Phayllos dé Crotone”, in Revue des Études Grecques 12, 45, pp. 9–19.
- Margherita Corrado, Che c’importa di Faillo?! Le radici greche di Crotone nel nome di un celebre atleta-guerriero, 2016, in Fame di Sud
- Marco Romano, “L’epigrafe ateniese a Phayllos (IG, I3,2, 823)”, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 123, pp. 105–116.
Correlazioni
Note
- Secondo Pausania X 9, 2-3; cit. da Federica Cordano, “Ceppi d’àncora iscritti da Greci“, Atistonothos Vol. 10, 2015, p. 137[↩]
- Corpus Vasorum Antiquorum, München, n. 2038, tavv. 169-172; per l’iscrizione ivi, testo, vol. 4, pp. 15-17[↩]
- F. Villard, Les athlètes d’Euphronios, in Euphronios Peintre 1992, p. 38; Handbook 2002, p. 64; NEER 2002, p. 94, fig. 45.[↩]
- Per un approfondimento su questo culto: Nicola Cusumano, “Polivalenze funzionali e figurative. Osservazioni su Zeus Meilichios”, p. 165-192, Éditions de l’École des hautes études en sciences sociales, Daedalus Collana : Mètis, 2006. Pubblicazione disponibile su OpenEdition Books[↩]
- P.A. Gianfrotta, “Ancore di Sostrato e di Faillo“, in La Parola del Passato, Napoli, f. CLXIII, 1975[↩]
- Reinach Salomon. Le sanctuaire d’Athéna et de Zeus Meilichios à Athènes. In: Bulletin de correspondance hellénique. Volume 16, 1892. pp. 411-417.[↩]
- Le Dinahet Marie-Thérèse. “Sanctuaires chthoniens de Sicile de l’époque archaïque à l’époque classique“. In: Temples et sanctuaires. Séminaire de recherche 1981-1983. sous la direction de G. Roux. Lyon : Maison de l’Orient et de la Méditerranée Jean Pouilloux, 1984. pp. 137-152.[↩]
- Gian Franco Chiai, Gerechte Götter? Vorstellungen von göttlicher Vergeltung im Mythos und Kult des archaischen und klassischen Griechenlands, 2018, p. 246[↩]
- Alfonso Mele – Crotone e la sua Storia, Atti XXIII CSMG Taranto 1983, p.65, 66[↩]
- Gianfranco Maddoli – I Culti di Crotone, Atti XXIII CSMG Taranto 1983, p. 334[↩]
- R.Spadea-L.Buccino-P. Orlandini, I siti della Magna Grecia: un panorama esemplificativo. Le colonie achee, Treccani, Il Mondo dell’Archeologia, 2004[↩]
- Su questo vedere Federica Cordano, “Ceppi d’àncora iscritti da Greci“, Atistonothos Vol. 10, 2015, ultimo paragrafo p. 137 e p. 138[↩]
- Gianfranco Maddoli – I Culti di Crotone, Atti XXIII CSMG Taranto 1983, pp. 332-333[↩]
- P.A. Gianfrotta, op. cit. 1975, pp. 316-317; vedere anche nota la n. 24 ove sono evidenziati i riferimento bibl. riguardo Hera Lacinia, invocata come divinità protettrice della navigazione[↩]