Gian Giacomo dell’Acaya: l’architetto che riprogettò il Castello di Crotone nel ViceRegno

Il barone Gian Giacomo, era discendente dalla nobile famiglia dell’Acaya che, proveniente dalla Francia, ed aveva avuto, nel 1285, da Carlo I d’Angiò il feudo di Segine – rinominato Acaya – ed oggi nel territorio del Comune di Vernole, circa 10 km a est di Lecce.

Quando qualche anno fa ho iniziato a studiare la sua figura, le prime difficoltà sono venute dalle diverse forme di trascrizione del suo cognome, indicato come Acaya, ma anche Acaja, Acaia, Achaia, Achiaje, Caya. Anche il nome si trova trascritto in diverse varianti: Gian Giacomo, Giangiacomo, Giovanni Giacomo, Yacopo, Iacopo, Ioannis Iacobi.

(Nella foto di copertina il castello di Acaya (Le) con lo stemma nobiliare).

Biografia

Era un personaggio senz’altro carismatico e controverso, geniale e generoso, nato a Napoli nel 1500 e morto a Lecce il 6 dicembre del 1570. L’architetto Gian Giacomo dell’Acaya viene ricordato in Puglia, sua terra d’origine, con feste, rievocazioni, e cortei medioevali, ogni estate ad Agosto.

Era figlio di Alfonso e di Maria Francone, figlia di Urbano Barone di San Donato1. Alfonso nel 1485 ebbe concesso da re Ferrante il mero e misto impero su Galugnano, Vanze, Strudà, Gesina (Segine), Vernole, e il feudo di Specchiarosa, confirmatogli il 31 ottobre 1498 da Federico d’Aragona ((Giacomo Arditi, “La corografia fisica e storica della provincia di terra d’Otranto“, 1879, note a p. 4)). 7° Barone di Segine (Acaya) e 4° Barone di Capurso, 7° Barone di Galugnano e San Cesario, Alfonso, aveva svolto importanti incarichi militari per conto dell’imperatore Carlo V2.

Gian Giacomo si fece apprezzare nell’approfondimento di problematiche teoriche e tecniche legate all’esperienza architettonica ed agli studi di matematica; gli vengono riconosciute brillanti intuizioni di tattica militare e approfondite conoscenze della nuova tecnica delle fortificazioni bastionate che si andavano sempre più sviluppando con i progressi della artiglieria, dopo l’invenzione della polvere da sparo.

Alla morte del padre nel 1521, Gian Giacomo ereditò il titolo baronale e i numerosi feudi posseduti, posti lungo l’asse che collegava verso est la popolosa città di Lecce con lo scalo marittimo di S.Cataldo. Subentrato nell’amministrazione dei feudi, Gian Giacomo progettò di ristrutturarli, e a tal fine si adoperò in tutta una serie di cambiamenti che avrebbero dovuto dare un diverso volto alla proprietà. Segine fu scelta come capitale dei suoi feudi ed oggetto di una trasformazione più rilevante3.

L’opportunità per affermarsi definitivamente Gian Giacomo la coglie nel 1528 quando i soldati di Francesco I°, re di Francia, penetrano sin nel Salento. Fedele all’imperatore Carlo V, Gian Giacomo dell’Acaya si oppone, con cinquecento mercenari albanesi all’invasione dei francesi e, con altri signori salentini, “offre uomini, cavalli e spada”. Sconfitti i francesi conquista con questa vittoria la fiducia di Carlo V che, subito dopo, incontra a Napoli.

Poco dopo Gian Giacomo, per opporsi alle incursioni dei turchi, e mettendo in pratica le sue conoscenze, completa l’inespugnabile piazzaforte di Segine, che cinge di mura e baluardi, difesa da larghi e profondi fossati, munita di un possente castello. Ribattezzò quindi Segine dandogli il nome del proprio casato, ovvero Acaya.

A Segine aveva mostrato tutta la sua perizia di valente architetto militare: con un complesso programma ingegneristico aveva trasformato il borgo in una piccola città fortezza, protetta da una solida cinta muraria ancora oggi visibile in più punti. Al vertice sud-occidentale del circuito murario cittadino, consegnò al castello una forma trapezoidale tipicamente rinascimentale, costruì tre baluardi ed un profondo fossato. Era una città geometrica, innovativa, con un reticolo di strade rettilinee con orientamento Nord-Sud, tagliato nella sezione meridiana e alle estremità opposte da tre strade trasversali e punteggiato da tre piazze lungo la diagonale che idealmente congiunge il castello al baluardo di Nord-Est.

La lapide sulla porta d’ingresso alla Piazzaforte di Acaya datata 1535

Quasi un’altra città fosse sorta sul territorio della precedente Segine, appose sulla porta della nuova cinta una lapide nella quale, tra l’altro, veniva ripresa la leggenda di un’origine greca della propria casata, successivamente trasferitasi in Francia, quindi in Italia: Sub Caroli V Caesarzs auspitio Ioannes Iacobus Achayus hoc oppidum, quod Atavorurn suorum pagus fuerat, moenibus cinxit, instauravit, publicis privatisque aedifitiis decoravit, et Achayam ex suo cognomine appellavit; quae, si Deo visum, Campis Salentinis Antiquae Achayae nomen imponet ex qua sui majores in Galliam et mox in Italiam devene re. Absolutum opus fuit anno salutis MDXXXV4. In realtà, il nome della casata derivava dai suoi antenati provenzali (de La Haye((La Haye è il nome di due distinti comuni francesi, di cui uno in Normandia e l’altro in Lorena.))), tra i quali va soprattutto ricordato Gervasio de la Haye, venuto in Italia al seguito di Carlo I d’Angiò e primo feudatario (1294) di Segine, Galugnano e S. Cesario5.

In quegli anni don Pedro de Toledo, vicerè di Napoli6, preoccupato delle frequenti incursioni dei turchi e temendo una invasione ottomana dell’Occidente possibile proprio attraverso l’Adriatico, dispone nel 1537 la fortificazione di tutta la costa.

Gian Giacomo, che aveva attirato le attenzioni reali con la costruzione della piazzaforte di Acaya, ottenne il titolo di Ingegnere Generale del Regno e l’incarico di ispezionare i castelli delle varie città del Regno di Napoli – con il duca di Urbino, Francesco Maria della Rovere, ed il Capitano generale del Regno, il marchese Alarcon -, al fine di fortificarli secondo i nuovi precetti dell’architettura rinascimentale e metterli in sicurezza da assalti turchi-ottomani e francesi. 

Si occupò di riammodernare il castello e le mura di Castro, la fortezza di Barletta, le fortificazioni di Copertino, Mola, Galatina, Molfetta, Parabita e Gallipoli. Nel 1539 giunge l’ordine imperiale di fortificare Lecce e di demolire il vecchio baluardo medioevale e di costruire una nuova fortezza, all’avanguardia con le tecniche di architettura militare; il progetto viene redatto da Gian Giacomo che, per gli impegni da svolgere in tutto il regno, non può però dirigerne la esecuzione che affida a Guarino Renzo; la parte più esterna fu realizzata tra il 1539 e il 1549.

Sempre su ordine di don Pedro da Toledo, Gian Giacomo in quegli anni fu impegnato a Napoli nel completamento dei lavori di Castel S. Elmo (1545-46), incaricato di fortificare Sorrento, di progettare e costruire i castelli di Capua e di Cosenza, di cingere di baluardi e di mura la città di Crotone (1541) ed il castello di Amantea. Riporta Andrea Pesavento si deve all’Acaya anche il progetto per la costruzione del “castello novo” di Reggio (1549), e che “non si può non rilevare le similitudini con il progetto della nuova città e castello di Isola, costruiti ex novo secondo i criteri della razionale moderna ingegneria militare7.

Ritornato a Lecce, nominato maestro e rettore dell’ospedale dello Spirito Santo, vi progettò due importanti opere: l’Ospedale dello Spirito Santol’Arco Trionfale (Porta Napoli) forse in previsione di una programmata visita in città del Re Imperatore Carlo V, visita peraltro mai avvenuta.


Ebbe due matrimoni, con Margherita Montefuscoli, figlia di Giovanni Antonio Barone di Uggiano e con Marfisa Paladini, figlia di Luigi Maria Barone di Campi, e numerosi figli (dal 1°: Adriana, Giovannello, Giulia, Gervasio; dal 2° Antonio Francesco, Isabella, Giovannella, Francesco Maria)1, ma il figlio prediletto era Manilio, che nasce da una semplice relazione con Rebecca De Mitri.

Alla morte del Vicerè don Pedro da Toledo (1553), Gian Giacomo si ritirò nel suo feudo di Acaya. Ma nel 1570, per una fideiussione concessa ad un suo amico che non riuscì poi a saldare il proprio debito (un esattore dei tributi doganali di Puglia e Basilicata) fu sottoposto alle procedure esecutive e all’arresto. Morì di stenti quello stesso anno nel carcere di Lecce che, ironia della sorte, aveva anche progettato lui stesso qualche decennio prima. Con la sua morte nel 1570, il feudo di Acaya, passò al Regio Demanio e nel 1608 fu acquistato da Alessandro De Monti. Per il borgo di Acaya iniziò il periodo di irreversibile decadenza che degenerò dopo la devastazione ottomana del 17148.

Cenni sul progetto del Castello e della cinta muraria di Crotone

A Crotone, l’Acaya progettò nella primavera del 1541 il Castello e le fortificazioni della città, agli ordini del Vicerè del Regno di Napoli, Don Pedro da Toledo. L’architetto fece del Castello di Carlo V, nato sui resti dell’antica acropoli greca (l’arx), e poi ampliato in varie fasi nel bassomedioevo, una delle più possenti fortezze militari del Regno.

Il castello di Crotone in una xilografia del 1900 Barberis – Strafforello Gustavo, La patria, geografia dell’Italia / Provincie di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Unione Tipografico-Editrice, Torino, 1900.

La preesistente costruzione venne ampliata e modificata: da un impianto poligonale con cinque torri ai vertici, la fortezza venne ricondotta ad un forma quadrata, ed era previsto anche l’inserimento delle torri circolari in quattro bastioni a scarpa. Il progetto venne realizzato parzialmente con la costruzione dei bastioni di S. Giacomo e di S. Caterina.

La carenza di materiali edilizi suggerì il riuso dei resti dell’antica città greca, che furono inglobati nella costruzione.

Nel 1542 insieme alla riedificazione e all’ampliamento del castello, Gian Giacomo progettò anche le poderose mura di cinta, il cui circuito risulta ancora oggi quasi del tutto intatto.

Il Castello costituisce, inoltre, unico esempio di castello arroccato, non in cima ad una altura, ma intorno ad un colle. L’accesso al castello era garantito da un ponte levatoio, in parte fisso, in muratura, ed in parte mobile, in legno che sormontava un fossato, e conduceva alla porta principale inserita in una torre a forma di piramide tronca. Questo tipo di costruzione militare rispondeva alle esigenze difensive sopravvenute con l’invenzione della polvere da sparo e quindi delle armi da fuoco.

Autori del Testo:

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Per i dettagli storici sulla costruzione del Castello di Crotone in età vicereale vedere: Andrea PESAVENTO, “Fortificazione della città e castello di Crotone in età moderna (1550-1780)“, in Archivio Storico Crotone. 

Per un approfondimento sulla cinta muraria si rinvia all’articolo – ed ai suoi riferimenti bibliografici – relativo sulla Lezione del 2019 dell’Arch. Bruno Mussari sulla “Città fortezza di Crotone“. Mentre per il dettaglio degli interventi di Gian Giacomo dell’Acaya sulla cinta muraria, rinviamo allo studio storico di Andrea Pesavento nella sua “Guida alle fortificazioni della Città di Crotone“, pubblicato nell’Archivio Storico Crotone.

  1. Rif. Libro d’Oro della Nobiltà Napoletana [] []
  2. Alfonso dell’Acaya, feudatario di Galugnano e S. Cesario, era stato al seguito di Gonzalo de Córdoba nell’assedio di Lecce del 1501; nel 1504 fu presente al Parlamento generale tenutosi a Napoli; nel 1510 dovette provvedere ad organizzare le difese contro i Veneziani della città di Otranto, che, con Brindisi, era stata, dagli stessi Veneziani, consegnata alla Spagna l’anno precedente. Rif. www.treccani.it []
  3. Oronzo Brunetti, “Il borgo di Acaya: Un tracciato armonico cinquecentesco“, in “Quasar. Quaderni di Storia dell’Architettura e Restauro dell’Università di Firenze”, 1991-92, 6-7, pp. 59-65 []
  4. www.treccani.it []
  5. Rif. Il Castello di Acaya, in HistoriaRegni.it.
    Per la genealogia nobiliare completa consultare il sito www.familiae.it []
  6. Don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga (Salamanca, 13 luglio 1484 – Firenze, 22 febbraio 1553) dal 1532 al 1553 fu viceré di Napoli per conto dell’imperatore Carlo V d’Asburgo. []
  7. Andrea Pesavento – La città perfetta del barone di Isola []
  8. https://it.wikipedia.org/wiki/Acaya []