Inno orfico n. 16 “Profumo di Hera, aromi”


Racchiusa nei grembi cerulei, aeriforme,
Hera di tutto sovrana, beata compagna di Zeus,
che offri ai mortali brezze gradevoli che nutrono la vita,
madre delle piogge, nutrice dei venti, origine di tutto.

Senza di te nulla conobbe affatto la natura della vita;
perchè, mescolata all’aria santa, a tutto partecipi;
infatti tu sola tutto domini e su tutto regni,
agitata sull’onda con sibili d’aria.

Ma, dea beata, dai molti nomi, di tutto sovrana,
vieni benevola, rallegrandoti nel bel volto.


Gli Inni Orfici Sono una singolare raccolta di preghiere pagane, canti di invocazione, di propiziazione e di iniziazione.

Tradizionalmente si associano all’orfismo, un movimento religioso-misterico, sorto in Grecia presumibilmente verso il VI secolo a.C. intorno alla figura di Orfeo, considerato il fondatore. L’orfismo ci è noto attraverso un complesso di documenti frammentari, attribuiti dagli autori classici a Orfeo stesso e agli antichi orfici, e risalenti a una letteratura che possiede un duplice carattere: da un lato teologico-dogmatico e dall’altro religioso-liturgico. All’orfismo si si ispirarono anche Pitagora e Platone soprattutto per la loro dottrina della metempsicosi.

In realtà molti degli scritti pervenuti come ‘orfici’ sono di produzione posteriore, probabilmente realizzata nel I o II secolo dopo Cristo in Asia Minore da una comunità di devoti a Dioniso, al quale, sotto i suoi molti nomi, sono dedicati otto inni della raccolta. Si potrebbe trattare di una comunità religiosa privata, vista l’assenza di un inno all’imperatore romano, obbligatorio per le comunità pubbliche. Non è chiaro se si tratta di una raccolta di inni realmente usati nelle celebrazioni, già esistenti, o se realizzati da questa comunità. 

Gli 87 inni dedicati ciascuno a una divinità, e ogni preghiera (poiché l’associazione dionisiaco-orfica rifiuta i sacrifici cruenti) è accompagnata da un profumo, che rappresenta un’offerta odorosa appropriata. Sono scritti in esametri, formano un insieme uniforme attraverso lo stile e la tecnica e possono essere stati scritti da uno stesso autore.

Nel proemio in cui Orfeo si rivolge all’amico Museo, che secondo la tradizione, avrebbe messo per iscritto gli inni composti da Orfeo; Pausania ricorda anche un inno attribuito allo stesso Museo, quello a Demetra recitato nei riti a Flia. Oltre alle divinità più mote del Pantheon greco, ne compaiono altre poco conosciute come Misa, Hipta e Melinoe che non compaiono nel letteratura greca.

Gli Inni Orfici erano erano molto apprezzati nel Rinascimento nelle Accademie italiane. Marsilio Ficino e i suoi contemporanei credevano che fossero stati scritti dallo stesso Orfeo e Pico della Mirandola in una delle sue Conclusiones Orphicae afferma: “Nell’ambito della magia spirituale non c’è niente di più efficace degli Inni di Orfeo, se si eseguono con il consenso di una musica adatta, di un’opportuna disposizione dell’animo e delle altre circostanze ben note al saggio”. Marsilio Ficino, che ne aveva curato la traduzione dal greco al latino, li cantava per propiziarsi il favore delle stelle. Alla diffusione degli Inni contribuì il recupero dei miti di Orfeo in autori come Poliziano, Pico della Mirandola, Ficino, Agrippa e Bruno.