Sommario
Dal mito al sito archeologico
La tradizione storico-letteraria vuole che l’eroe omerico Filottete, dopo essere ritornato in patria dalla guerra di Troia (a Melibea in Tessaglia), sarebbe stato esiliato e quindi arrivato sulle coste joniche della Calabria avrebbe fondato Crimisa e più in alto Chone, e più a sud, nei pressi dell’odierna Strongoli, Petelia e Macalla (vedere il Territorio e le città di Filottete, per le connessioni archeologiche e le ipotesi localizzative).
Inoltre, a Crimisa Filottete avrebbe dedicato un santuario ad Apollo Aleo, ove depose l’arco e le frecce ricevute in dono da Heracles 1.
(gr.) Φιλοκτήτης δὲ ἐξώσθη εἰς Ἰταλίαν πρὸς Καμπανοὺς καὶ πολεμήσας Λευκανοὺς πλησίον Κρότωνος καὶ Θουρίου Κρίμισσαν κατοικεῖ· καὶ παυθεὶς τῆς ἄλης Ἀλαίου Ἀπόλλωνος ἱερὸν κτίζει, ᾧ καὶ τὸ τόξον αὑτοῦ ἀνέθηκεν, ὥς φησιν Εὐφορίων2.
(trad. it) “Filottete trovò rifugio in Italia presso i Campani e, dopo aver combattuto contro i Lucani, si stabilì a Crimissa, vicino Crotone e Thuri. Essendosi fermato qui, edificò un tempio ad Apollo Aleo e gli consacrò anche il suo arco per quanto dice Euforione“.
Apollodoro, La Biblioteca, Epitome, 6, 15
“Apollodoro, nel Catalogo delle navi, parlando di Filottete, racconta che, secondo alcuni, arrivato nel territorio di Crotone, stabilì un insediamento sul promontorio di Crimissa e, un po’ all’interno rispetto ad esso, fondò la città di Chone, dalla quale gli abitanti, furono chiamati Choni”.
Strabone, Geografia, VI, 1,3
Nell’area dove si presume si trovasse l’antica città di Krimisa, operò per diverso tempo il celebre archeologo italiano Paolo Orsi. Qui egli fece diversi ritrovamenti nel corso degli scavi eseguiti fra il 1924 e il 1929.
Seppure scarsi, i resti e i rinvenimenti riconducono inequivocabilmente a quelli del santuario dedicato ad Apollo Aleo.
Paolo Orsi riportò alla luce, oltre alle fondamenta del tempio, altri oggetti antichi, tra cui antefisse in terracotta, monete d’argento e parti della statua in marmo bianco. Dell”Acrolito di Apollo Aleo rinviamo alla pagina dedicata.
L’epiteto Alàios di Apollo
Apollo è una delle divinità oracolari che nel periodo arcaico, facendo tesoro dei dati pervenuti dalle navigazioni più antiche, fin dai Micenei, che hanno conosciuto le coste della penisola, assume una autorevole e temibile funzione di orientamento, non solo religioso, ma anche politico, in relazione alle rotte da seguire da parte dei primi coloni di VIII secolo a. C. di quella che diventerà la Magna Grecia. I suoi santuari hanno rappresentato contatti con popolazioni preesistenti e luoghi di culto per la religione ufficiale di polis 3
Sulla figura di Apollo, e su alcune sue caratteristiche più pertinenti con il territorio di cui stiamo parlando, vedere la pagina dedicata: Apollo, il tripode e Python
Nell’interpretazione più ricorrente l’epiteto Aleo deriverebbe dal greco alaios, che vuol dire “errante, vagabondo” e dal verbo alàomai, che vuol dire “girare, vagare, errare”; questi termini rimandano al lungo peregrinare dell’eroe greco Filottete prima di trovare la sua destinazione finale; ma anche lo stesso Apollo è spesso in viaggio: esule, è costretto a vagare per espiare l’uccisione di Pitone, finché trova la purificazione a Tempe; un nuovo esilio alla volta di Fere gli è comminato da Zeus per l’uccisione dei Ciclopi; nei mesi invernali si assenta poi dai suoi santuari di Delo e Delfi, recandosi ora in Licia, a Patara, ora presso il popolo degli Iperborei; anche la scelta del santuario di Delfi avviene dopo lunghe peregrinazioni4.
Dunque l’epiteto identificherebbe un Apollo protettore dei migranti, dei colonizzatori, dei viaggiatori, dei mercanti di mare; non a caso Apollo è scelto per dare il nome al programma spaziale degli Stati Uniti d’America che portò l’uomo sulla Luna.
Ci sono però altre interpretazioni che riportano l’epiteto ad una divinità solare rodia od anche a una serie toponomastiche anatoliche 5.
Una localizzazione strategica per il Tempio
Alcuni santuari della Magna Grecia, come l’Heraion del Capo Lacinio, l’Apollonion di Crimisa, l’Athenaion di Punta della Campanella, sono sorti lungo la rotta necessariamente seguita dalle navi che dall’Egeo raggiungevano, per lo stretto di Messina, il Tirreno; ed erano prossimi a convenienti approdi, e/o collocati in luoghi elevati, ben visibili dal mare. Tutti i loro titolari sono, tra i maggiori numi del pantheon greco ‘miceneo’ ed arcaico.
Si tratta, com’è evidente, di santuari extra-urbani, che svolgono alcuni ruoli fondamentali:
- per la loro posizione posti in punti facilmente identificabili dal mare, o in vicinanza di approdi; sono perciò punti di riferimento per la navigazione; ma fungono anche come avamposto in una fase di precolonizzazione;
- costituiscono un punto di contatto tra i coloni e gli indigeni, intorno a dei valori comuni;
- dopo che la colonia è stata fondata costituiscono un potente mezzo di demarcazione dell’area di influenza del centro politico, per il quale fungono da territorial marker, segnandone la sfera di competenza sulla chora circostante o a livello regionale6;
- stabiliscono punti di riferimento religioso e di aggregazione socio–politica per le collettività elleniche di riferimento
- per le colonie i santuari extramurari consentono anche di tutelare la propria identità nel nuovo contesto etnico e geografico, in primis per mezzo della preservazione delle forme rituali della madrepatria e delle processioni cultuali dirette verso santuari esterni al centro abitato.
L’Apollonion di Crimisa sorge in un’area del territorio dei Choni con un insediamento poco significativo (Crimissa).
L’ubicazione di tali santuari fuori le città è interpretata in relazione ai rituali di approdo dei coloni: si erige un altare e si sacrifica, come fecero i commercianti cretesi dell’inno omerico ad Apollo (v. 490)7 8 .
A contrasto di questa interpretazione, e nonostante, la pretesa antichità del Santuario dell’Apollonion, che da un lato è associato al mito di Filottete, e dall’altra è citato preesistente alla fondazione di Crotone da Diodoro Siculo nel richiamare il responso dell’oracolo a Miscello, gli scavi archeologici forniscono resti materiali solo a partire dal VI sec. a.C. Quindi non volendo ipotizzare l’esistenza di un altro santuario a Crimissa non ancora identificato, si deve supporre la presenza di un’area sacra in materiale deperibile (legno), antica e non più identificabile, nè esistente, su cui sarebbe stata realizzato il tempio del VI secolo a.C., posizionato al confine del territorio ove Kroton intendeva espandere la sua influenza; la costruzione del tempio del VI sec. sarebbe da interpretare perciò in funzione della ricerca di un punto di contatto tra i coloni krotoniati e l’elemento indigeno.
Di questi santuari precoloniali non si può parlare di una fondazione decisa da una pòlis della Grecia, mentre essi sono stati ovviamente ampliati e arricchiti dalle poleis coloniali, che se ne sono appropriate o li hanno rifondati ove era preesistente un centro di culto. Così succede con il tempio di Apollo Alaios, ma anche con il tempio di Hera al Lacinio, ove i reperti di età precoloniale rinviano alla presenza di un precedente luogo sacro di età più arcaica.
A differenza dei santuari extramurani della madrepatria, quelli coloniali esprimono anche la necessità di tutelare la propria identità nel nuovo contesto etnico e geografico, in primis per mezzo della preservazione delle forme rituali della madrepatria e delle processioni cultuali dirette verso santuari esterni al centro abitato. Questa esigenza identitaria emerge nel medio e il tardo–arcaismo che segna una fase di notevole impegno edilizio in diverse città coloniali nelle fasce costiere della Sicilia e dell’Italia meridionale; la promozione di cantieri edilizi di ampio respiro è conseguenza anche alla competizione interna instauratasi tra comunità ormai complesse e sviluppate.
Per quanto riguarda la partecipazione delle comunità indigene confinanti con le attività sacre, nel caso dell’Apollonion di Crimisa, questa è convincentemente attestata da oggetti rinvenuti nell’area, chiaramente riferibili a genti non greche 9.
Le diverse fasi del tempio
Per la suddivisione in 4 fasi si fa riferimento a quanto espone M.G. Aisa 10.
La fase più antica del Tempio, è definita come “greco-italica“, come si rileva dai resti materiali, ovveri vari frammenti di coppe a filetti e un sostegno di perirrhanterion, che ne attestano una frequentazione cultuale fin dal VII sec. a.C. e prosegue fino alla fine del VI sec. a.C.. La strutturazione monumentale del santuario secondo i canoni dell’architettura greca ebbe luogo dalla prima metà del VI sec. a.C..
Il tempio arcaico di Punta Alice è un edificio di forma molto allungata di cui si conservano lo zoccolo del muro perimetrale della cella e le basi del colonnato centrale e dei pilastri all’interno dell’adyton. La tecnica di costruzione è comune a molti edifici arcaici: su una leggera fondazione è uno zoccolo costituito da due filari di blocchi di calcare appena sbozzati, legati da argilla e scaglie di calcare; l’alzato doveva essere in mattoni crudi e legno, come dimostrano le modeste dimensioni delle fondazioni e l’assenza di frammenti litici riferibili all’alzato.
Le dimensioni (stilobate di m 16,15 x 38,10) e la tipologia del tempio con colonnato centrale consentono una ricostruzione di 7 x 15 colonne, con interassi frontali (m 2,61) più stretti di quelli laterali (m 2,68); i muri del naos dovevano corrispondere alle terze colonne dei lati lunghi, mentre mancava la corrispondenza con le colonne dei lati brevi. Lo spazio interno della cella (naos) è fortemente allungata – m 27 x 7,90 – ed era diviso in due navate da una fila di sostegni; a circa 1⁄4 della lunghezza totale era l’adyton, verosimilmente separato tramite muri trasversali dal resto del naos, al suo interno erano 4 pilastri disposti a quadrato. La fronte della cella, senza pronaos, era completamente aperta, soluzione conosciuta per diversi esempi in madrepatria nel corso del VII sec. a.C. Del colonnato restano le basi in pietra (ma tutte le colonne, esterne ed interne, erano in legno, materiale deperibile).11
Secondo la tradizione dopo la conquista di Sybaris del 511 a.C. i Crotoniati estendono la loro area di influenza fino al santuario fino a Crimisa ed oltre, e nello stesso tempo portano a Crotone, secondo la tradizione, una preziosa reliquia: l’arco e le frecce di Filottete che gli erano stata consegnate da Herakles 13.
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Per il Tempio segue una seconda fase, che possiamo definire magno-greca testimoniata da soprattutto da terrecotte architettoniche, datata dalla metà del V secolo a.C. fino a tutto il IV secolo a.C. E’ nella seconda fase che viene realizzato l‘acrolito di Apollo (440-420 a.C.). E’ in questa seconda fase, che inizia ad essere attivo un altro Tempio, nei pressi del bivio Alice, dedicato al culto di Demetra.
Alla fase classica risalgono anche offerte di armi: due lembi di elmi di elmi in bronzo e punta di lancia in bronzo con un lungo albero 142, due frecce spinose di bronzo – punte dei tipi I A 3 e I A 4 secondo Baitinger, una punta di freccia a due ali e due a tre lati in bronzo e una “punta di lancia votiva” in bronzo15.
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La terza fase, in età ellenistica, tra la metà del IV ed il III sec., si ha con l’emergere dell’ethnos dei Brettii.
La presenza dei Bretti nel territorio di Cirò-Cirò marina si manifesta in una fase in cui non essi non sentono la necessità di avere un centro fortificato, come presenti nell’area più a Nord del Fiumenicà (presso Pruijja di Terravecchia, Cerasello e Muraglie a Pietrapaola ed a Castiglione di Paludi), ma l’occupazione è caratterizzata da nuclei sparsi in area collinare (Cirò), seguita da fattorie a mezza costa (Loc. Franza e Cappella) e più a valle nella fascia a ovest dell’attuale abitato di Cirò Marina (Loc. Ceramidio, Castello Sabatini, Oliveto, Taverna).
Nei primi decenni del III sec. a.C. l’Apollonion subisce una profonda trasformazione. Demolito ciò che rimane del tempio arcaico e sepolte le sue reliquie più sacre (acrolito ed ex-voto) nelle nuove fondazioni che inglobano completamente la vecchia struttura, viene eretto dai Brettii un periptero dorico di maggiori dimensioni, completamente in calcare, circondato da otto colonne sui lati brevi e diciannove sui lati lunghi, secondo le regole dell’architettura monumentale ellenistica.
La cella originaria é inglobata nel nuovo edificio, il colonnato é raddoppiato sul lato principale; la trabeazione (l’insieme degli elementi che sorreggono il tetto) viene organizzata con architrave con taenia e mezza regula di tre gocce e fregio di metope e triglifi.
Queste decorazione doriche ci mostrano una mescolanza di elementi che non sarebbe assolutamente concepibile nel mondo ellenico. Una mescolanza ancora più evidente, con il mondo italiato che acquista un aspetto vivo e concreto nelle dediche scritte in osco, la lingua originaria dei Brettii.
La realizzazione della perìstasi (il colonnato porticato che circonda i templi) appare in controtendenza con il mondo greco ellenistico, ove già dalla fine del IV sec. a.C. si osserva macroscopicamente una sensibile riduzione del numero di edifici di nuova costruzione con peristasi: le polis non sembrano più interessate alla costruzione di templi monumentali, ma nella realizzazione di edifici che assolvono a funzioni pratiche come quelli per lo spettacolo o per l’educazione, o imponenti opere difensive. Fanno eccezione alcuni casi, come l’Asklepieion di Messene nel Peloponneso, e il Poseidonion di Tino nelle Cicladi, che appaiono strettamente legati a edifici tardoclassici dai quali probabilmente traggono ispirazione, e l’Olympieion di Atene, anch’esso di antica tradizione.
Non sono noti edifici con peristasi in Occidente, a esclusione del tempio di Apollo Aleo di Crimisa e di quello dell’Odeon di Taormina 17 (Mertens 1983, p. 223 s. e da ultimo Mertens 1993, p. 66 s.) La pianta periptera del tempio di Apollo a Cirò marina sembra essere dettata dalla volontà di legarsi alla tradizione: la ricostruzione ellenistica si pone, infatti, in linea con la pianta del tempio arcaico, del quale vengono parzialmente riutilizzate le fondazioni e, probabilmente, ripetute le partizioni interne. Il risultato è un tempio che presenta una planimetria molto vicina ad esempi sicelioti di VI sec. a.C., per la dilatazione dello spazio che precede il pronao, profondo quattro intercolumni, e nel quale si colloca un filare di colonne all’altezza della terza colonna sui lati lunghi (Mertens 1993, p. 66, 80). Al conservatorismo della pianta si contrappone una decorazione dell’epistilio tipicamente ellenistica, parzialmente ricostruibile sulla base dei pochi frammenti superstiti, che costituisce al momento l’unico elemento utile per datare l’edificio al 300 a.C. ca. Mertens 1993, p. 79, sottolinea inoltre come il conservatorismo dell’edificio non si ravvisi solo nella scelta planimetrica, ma anche nel sistema costruttivo, per la separazione tra il geison e la sima lavorati in maniera distinta, e nel rigido sistema proporzionale che regola gli elementi dell’epistilio.
Nello stesso periodo a sud-ovest dell’edificio sacro viene eretto quello che Paolo Orsi chiamò le “Case dei sacerdoti“, destinato ad accogliere i pellegrini di riguardo in occasione di feste importanti. L’impegno alla monumentalizzazione del luogo sacro doveva servire, supponiamo, a sottolineare la potenza che l’ethnos brettio possedeva nella prima metà del III sec. a.C.
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Durante la quarta fase, alla fine della seconda guerra punica (218-202 a.C), inizia la fase romana, con una diversa occupazione e sfruttamento dell’ager dei Brettii. Le colonie greche decadute non sono più nelle condizioni di fare manutenzioni ed ampliamenti, come si registra a Kroton ove, dopo la spoliazione dei marmi dal tetto del Tempio di Hera Lacinia e la successiva restituzione, i marmi non vengono più sistemati perchè non si trovano artigiani in grado di farlo (rif. “Q. Fulvius Flaccus porta a Roma i marmi del Tempio di Hera“). Con l’occupazione romana, cambia la geografia del territorio, i vecchi centri vengono distrutti o abbandonati e cominciano a sorgere insediamenti rustici (villae) in tutta la terra dei Brettii, soprattutto lungo le prime colline che fiancheggiano le pianure di costa, ma anche lungo gli assi viari che lo attraversano. Di questa fase storica, però, allo stato attuale delle ricerche, il territorio cirotano ha restituito solo flebili tracce.
Paolo Orsi fa risalire la distruzione dell’ Apollonion tra il IV ed il VI sec. d.C., dopo la caduta dell’Impero romano; sondaggi recenti mostrano tracce di frequentazione, almeno nell’area sacra, in epoca tardo-repubblicana ed imperiale (ceramica, monete, bolli figulini e frammenti di mosaici). Segnalazioni della presenza di una villa rustica con pavimenti in opus spicatum e tracce di mosaico, insieme al ritrovamento di parte di un pavimento in cocciopesto, sono la riprova della continuità di vita nell’area sacra, anche se, forse, in parte essa fu occupata da abitazioni private, così come accadde anche a Capo Colonna.
É necessario inoltre considerare che le opere di bonifica realizzate negli anni Venti per risolvere il grave problema dell’impaludamento dell’area di Punta Alice livellarono le dune ivi presenti e se, da un lato, ciò permise di scoprire le vestigia del santuario dedicato ad Apollo Aleo, dall’altro causò la quasi totale cancellazione dello strato archeologico più recente, appunto quello romano.
Alcuni reperti presso i Musei
Nel Museo Archeologico Nazionale di Crotone vi è una sezione dove sono esposti i ritrovamenti del santuario di Apollo Aleo di Crimisa: alcuni capitelli dorici del tempio, un’antefissa a disco con Gorgone proveniente dall’acroterio, delle terrecotte votive; una matrice di antefissa, e frammenti di statuetta arcaica di un giovinetto in pietra calcarea. Non mancano didascalie che illustrano il sito e foto del famoso acrolito.
Nel Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria invece sono conservati i materiali più preziosi, tra cui la testa, una mani e i piedi in marmo di una statua raffigurante Apollo: si tratta di un acrolito (cioè di una statua della quale sono realizzati in marmo solo la testa e gli arti, mentre il corpo era in legno o semplicemente un’impalcatura poi rivestita di tutto punto); la testa, che mostra influssi fidiaci, è realizzata in marmo bianco e presenta dei fori intorno alla fronte che mantenevano originariamente una parrucca in bronzo o una corona metallica. È datata al 440 a.C.
Una sala dedicata all’Apollonion è stata ovviamente allestita anche presso il Museo Civico Archeologico di Cirò Marina. Qui sono confluiti alcuni reperti recuperati negli scavi relativamente più recenti ed altri trasferiti da altri Musei. E’ presente una una copia dell’acrolito di Apollo. Numerosi pannelli esplicativi, descrivono il sito ed i reperti presenti.
Video
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Approfondimenti e collegamenti
Note
- Come sappiamo dal responso dato dalla Pizia a Miscello, quando gli consigliò di andare a fondare Crotone; rif. Bérard 1963, pp. 338-339[↩]
- testo in greco da Wikisource[↩]
- A.Capano, 2017[↩]
- Daniela Costanzo – Il tempio arcaico di Punta Alice (2012), p. 575-576, in particolare vedere la nota n.9 per i riferimenti bibliografici[↩]
- Daniela Costanzo – Il tempio arcaico di Punta Alice (2012), p. 575-576[↩]
- Rita Sassu, Tra polis e chora. Santuari extraurbani e aree di culto rurali nel comprensorio metapontino, 2008[↩]
- Antonio Capano – Apollo nella Lucania antica e in Magna Grecia (2017) [↩]
- sulle cinque diverse teorie interpretative del fenomeno della dislocazione di aree sacre lontane dalle città coloniali, ma ad esse legate, vedere Rita Sassu, Tra polis e chora. Santuari extraurbani e aree di culto rurali nel comprensorio metapontino, 2008, pp. 133-134[↩]
- La Rocca-Spadea Cirò Marina. I rinvenimenti nel santuario di Apollo Aleo. Catalogo, in “I Greci in Occidente. Santuari della Magna Grecia in Calabria“, Napoli 1996, pp. 266–275[↩]
- Maria Grazia Aisa, “La sacra Krimisa”, Ed. Eliotip, 2002[↩]
- Daniela Costanzo – Il tempio arcaico di Punta Alice (2012), p. 573-574[↩]
- Daniela Costanzo – Il tempio arcaico di Punta Alice (2012), p. 583 Fig. 2[↩]
- sulle motivazioni ideali di questo spostamento da parte dei crotoniati vedere in M.Giangiulio – Filottete tra Sibari e Crotone, 1991, par. 27-29[↩]
- Fonte immagine: “Megale Hellas: storia e civiltà della Magna Grecia, 1983, p. 262[↩]
- Holger Baitinger, “: “Waffenweihungen in griechischen Heiligtümern”, Heidelberg: Propylaeum, 2022 (Monographien des RGZM, Vol. 94), https://doi.org/10.11588/propylaeum.1083, pp. 17-18[↩]
- Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Foto da The Greek world : art and civilization in Magna Graecia and Sicily, Rizzoli, 1996, p. 559[↩]
- Leonardo Fuduli, “Osservazioni sull’architettura templare della Sicilia ellenistica“, in Revue archéologique 2015/2 (n° 60), pages 293 à 345.[↩]