La colonia romana di Croto e la statio di Lacenium

Preambolo storico

Secondo Livio “la città di Crotone, prima della venuta di Pirro in Italia, era circondata da mura, la cui cerchia si estendeva per dodici miglia“; le successive vicende, quelle legate a Pirro e alla guerra tarantina, i fatti collegati alla guerra dei romani contro i Bretti e i Greci d’Italia terminata con la conquista di Crotone del 280 del console Rufino, si risentono nella città con contrazioni del tessuto abitativo. Tito Livio (XXIII, XXIV) parla della decadenza della città che intorno alla metà del secolo poteva contare su appena 2.000 abitanti, abitata per metà del suo sviluppo urbanistico, e lacerata da discordie tra gli ottimati e la plebe. Il calo demografico a Crotone potrebbe far pensare che artigiani, manovali, marinai e salariati in genere avessero lasciato la città per lavorare altrove1.

Durante la seconda guerra punica (218-202 a.C.), nel 215 i Brettii, dopo essere rimasti delusi dalla mancata conquista di Reggio, difesa dai Romani, e dall’accordo che i Cartaginesi avevano stipulato con Locri, al termine dell’assedio, di loro iniziativa “arruolati e armati 15.000 uomini, si volgono ad assalire Crotone” intendendone farne una loro colonia. L’assedio inizialmente non ebbe successo, ma riuscirono ad entrare entro le mura grazie al tradimento di Aristomaco. Gli aristocratici (ottimati) si arroccano nell’acropoli, protetta da altre fortificazioni e riuscirono a resistere. Gli aggressori, vista l’impossibilità di successo, richiesero l’intervento di Annone. La questione si risolse per via diplomatica: giunsero nella roccaforte ambasciatori Locresi, con il placet di Annone e il benestare di Annibale, con la proposta di trasferire di aristocratici crotoniati a Locri. Piuttosto che tentare la difesa a oltranza e concludere in un bagno di sangue come accadde a Petelia, i Crotoniati decisero di imbarcarsi alla volta di Locri e la città fu evacuata. Nel 215 la città era così fuori dal controllo di Roma, aveva accolto una colonia di Brettii, i quali, secondo quanto riferisce Livio, erano interessati soprattutto a riattivare le attività portuali e quelle artigianali connesse alla commercializzazione dei loro prodotti.

Dal 207 a.C. Annibale si portò nella terra dei Brettii concentrando le proprie forze in punti strategici, e Crotone divenne un suo caposaldo, facendovi affluire 3500 Thurini e dove pose i magazzini di provviste ed il suo quartiere generale. Qui nel 204 a.C., egli radunò il suo esercito sconfitto nei dintorni della città da P. Sempronio e sempre presso Crotone si sarebbe svolto un ultimo scontro campale tra il console Gneo Servilio ed Annibale, che comunque nel 203 a.C. salpò dal porto della città per fare ritorno in Africa. 

Dopo la partenza di Annibale, si completò la totale decadenza della colonia magno-greca di Kroton che rimase spopolata e distrutta. Alla città non compete alcun ruolo politico (vedi le liste dei theorodokoi((Crotone è esclusa dalla lista delle città visitate nel 198 o nel 194 a.C. dai theoroi che annunciavano le Pitiche lungo la via costiera ionica; per approfondire su questo: Salvatore Medaglia, “Dal viaggio dei theoroi di Epidauro a quello dei theoroi. Il Bruzio nelle liste dei theorodokoi“, in AA.VV. – Le voyage à Crotone: découvrir la Calabre de l’Antiquité à nos jours, 2015 )), disorientata e ridotta a pochi abitanti, vivacchia intorno al suo porto. Segno di debolezza politica è anche l’episodio del 173 a.C. allorché il censore Q. Fulvio Flacco, con azione sacrilega, depredò le tegole marmoree del tempio di Hera volendole riadoperarle in quello della Fortuna Equestre a Roma.

La colonizzazione romana della Magna Grecia dopo la seconda guerra punica

Nell’ambito della storia romana, con il termine deduzione (in latino: deductio) si indica la fondazione di una colonia romana e l’invio di coloni romani da insediare nell’area conquistata (secondo l’espressione deducere coloniam). L’uso del termine, composto dal prefisso de- (che indica moto da luogo) e dalla radice del verbo latino ducere (condurre), indica appunto che nella colonia si inviavano e stanziavano cittadini romani, ivi condotti dalla madrepatria. La deduzione poteva consistere nella formazione di una colonia di diritto romano o di diritto latino. Il primo caso si applicava a centri nei quali si erano stabiliti cittadini di Roma, che in quanto tali godevano quindi del riconoscimento di tutti i diritti propri di questa condizione, e che venivano direttamente sottoposti all’amministrazione romana.

In Magna Grecia, nel periodo compreso tra lo scoppio della prima guerra sannitica (343 a.C.) e la fine della guerra annibalica (202 a.C.) l’utilizzo dell’istituto coloniale fu estremamente limitato: la tradizione annalistica registra le sole fondazioni di Luceria (314 a.C.), Venusia (291 a.C.), Paestum (273 a.C.) e Brundisium (244 a.C.), tutte di diritto latino; nessuna colonia civium romanorum fu dedotta prima della seconda guerra punica2; la gran parte dei territori, fino a tutto il III sec. a.C., dopo la guerra pirrica rimase legata a Roma con il sistema dei foedera (patti, trattati) che sancivano una sorta di controllo indiretto.

La situazione cambia all’indomani del conflitto annibalico. In diretta conseguenza della defezione di gran parte dei socii italici e italioti, tra i quali i Brettii, seguita alla sconfitta di Canne (216 a.C.), Roma persegue in Magna Grecia un programma di riordino istituzionale e poleografico senza precedenti, e con la deduzione delle colonie Roma impose un vero e proprio dominio. La colonia civium romanorum, uno strumento finora inutilizzato nelle regioni meridionali, costituisce l’elemento base del nuovo disegno di controllo del territorio a partere dalla lex Atinia del 197 a.C.. In sua diretta attuazione, nel 194 a.C., presidi di 300 cives romani armati vengono inviati a Volturnum, Liternum, Puteoli, Salernum e Buxentum, e di Sipontum sull’Adriatico.

Questo modello si replica nel territorio dei Brettii: il 194 a.C. vede la fondazione delle colonie romane di Croto (Crotone) e di Tempsa, cui seguono le colonie latine di Copia (193) e di Valentia (192):

(…) Tempsam item et Crotonem coloniae civium Romanorum deductae. (…); Crotonem Graeci habebant. triumviri Cn. Octavius L. Aemilius Paulus C. Laetorius Crotonem, (…).

(Trad). Anche a Tempsa e a Crotone si fondarono colonie di cittadini romani. (…); quello di Crotone lo avevano i Greci. Fondarono la colonia a Crotone i triumviri Gneo Ottavio, Lucio Emilio Paolo e Calo Letorio.

Livio Libro XXXIV; 45

La deduzione di queste coloniae maritimae, indica la volontà di attuare un programma di controllo delle coste e dei porti dell’Italia meridionale, proprio negli anni cruciali delle campagne militari in Oriente. La posizione litoranea di questi insediarnenti delle coloniae maritimae indica anche non solo la funzione di presidio della costa, ma anche quella di sorveglianza e di controllo delle popolazioni locali potenzialmente ostili.

Le fonti antiche però sono sostanzialmente mute a proposito delle ragioni che indussero Roma a intraprendere il programma di colonizzazione della Magna Grecia, ma vi sono diverse ipotesi a riguardo, non del tutto alternative tra di loro e neanche del tutto fondate3, tra le quali possiamo citare:
– timori di un attacco diretto verso l’Italia meridionale da parte dei sovrani ellenistici;
– sorveglianza e controllo le popolazioni locali, potenzialmente ostili;
– le colonie latine di Copia e Valentia e la colonia romana di Crotone, insieme ai socii navales di Locri e Reggio avrebbero fatto parte «del sistema di difesa costiera istituito nel momento in cui Annibale poteva disporre della forza navale seleucidica»;
– individuazione di potenzialità commerciali dei siti prescelti per le deduzioni, naturali sbocchi aperti sull’interno, per lo sfruttamento di risorse che, per la regione bruzia sono da identiicare soprattutto nel legname e nella pece, ma anche verso l’esterno, verso il Mediterraneo orientale;
– volontà di sfruttare il territorio agricolo.

All’indomani della guerra annibalica, il tessuto poleografico della regione risulta del tutto stravolto: città come Laos, Terina, Medma e Crotone vengono definitivamente abbandonate – o sono fortemente ridimensionate, Caulonia è deserta per Strabone e Plinio, Clampetia da oppidum diviene locus; al contrario, gli insediamenti dei Tauriani, alleati di Roma nel corso della guerra, si dotano di impianti urbani regolari, mentre le loro aristocrazie filo-romane sfoggiano nelle sepolture prodotti di lusso dell’artigianato ellenistico. Nello stesso momento, le liste delfiche dei theorodokoi non fanno più riferimento a Crotone, bensì a Petelia, con il petelino Ophallios, di origine italica, che accoglierà i theoroi delfici al posto dell’aristocrazia crotoniate((Maurizio Cannatà, op. cit., p. 45)). Durante il II sec. a.C. nella Crotoniatide alla maglia insediativa brettia e italiota, fatta di piccole unità rurali capillarmente sparse nelle campagne, dalle pianure costiere sino alle montagne, subentrerà un progressivo spopolamento, che non può, alla luce dei nuovi contributi nel campo delle ricerche archeologiche, considerarsi una desertificazione ma comunque è accertata una netta flessione di questi insediamenti rurali((Salvatore Medaglia – Carta archeologica della provincia di Crotone (2010), pp. 82-83)).

La “romanizzazione” della Magna Grecia, è però un processo di lunga durata, che non ha un percorso rettilineo nel tempo né uno sviluppo uniforme in tutte le aree interessate. Le colonie latine e romane ha di sicuro avuto un ruolo rilevante, con l’immissione di gruppi di cittadini di origine allogena, portatori di un bagaglio culturale e linguistico già pienamente romanizzato e dunque estraneo all’orizzonte magnogreco. Nella gran parte dei casi, tuttavia, sono proprio le stesse aristocrazie locali a governare il processo, accreditandosi come interlocutori privilegiati dei Romani attraverso l’adozione dei loro modelli culturali, ottenendo in cambio il potere sul territorio e la gestione delle sue risorse. Il processo di “romanizzazione” della Magna Grecia può dirsi concluso solo in età augustea, quando lo stesso Strabone ne nota l’avvenuto compimento in un celebre passo (Strab. 6, C 253-4, trad. di A. M. Biraschi): “Ora si è però verificato che tutti questi luoghi, ad eccezione di Taranto, Reggio e Napoli, si sono imbarbariti e li occupano in parte Lucani e Brettii, in parte i Campani, per quanto costoro li occupino solo a parole, perché in realtà li controllano i Romani: e infatti questi popoli sono divenuti Romani”((Maurizio Cannatà, op. cit., pp. 18-19)).

Localizzazione della colonia romana di Croto

Nel passo di Tito Livio sopra citato per Crotone (Libro XXXIV; 45), è specificato che le colonie dedotte ricevettero 300 homines ciascuna, esplicitamente per Puteolos, Volturnum, Liternum, Salernum Buxentumque. Per le colonie dell’ager de Bruttiis Livio non è così esplicito, anche se la maggiorpante degli storici concorda nell’invio di una identica quantità di coloni a ciascuno dei quali verrebbe assegnato parte dell’ager colonicus, 4-10 iugeri a colono, cioè da 1 a 2,5 ettari di terreni agricoli, oltre che il libero uso dell’ager compascus scripturarius per lo sfruttamento dei pascoli e dei boschi((C.G.Severino – Crotone. Da polis a città di Calabria, 1988, p. 29)). I coloni romani, generalmente sono dei veterani con le loro famiglie, quindi circa 1500 cittadini romani, ipotizzando una media di 5 persone per famiglia.

Dove fosse allocata esattamente la colonia di Crotone è tutt’ora oggetto di ricerche e di discussioni. Ad oggi si ritiene che i Romani andarono ad occupare i due punti strategici del territorio della città funzionali al controllo del traffico marittimo: l’area fortificata dell’acropoli e quella del santuario del Capo Lacinio.

L’insediamento romano al Lacinio

Il ruolo marittimo della colonia di Crotone, è messo in risalto, nel 190 a.C., a pochi anni dalla deduzione alIorché il prefetto della flotta romana Caio Livio ispezionò al Lacinio le navi provenienti dal Tirreno e dallo Ionio prima che facessero rotta verso l’Egeo contro Antioco III((Livio,XXXVI, 42, 1-4)).

42. C. Livius praefectus Romanae classis, cum quinquaginta navibus tectis profectus ab Roma Neapolim, …., Siciliam inde petit fretoque Messanam praetervectus, cum sex Punicas naves ad auxilium missas accepisset et ab Reginis Locrisque et eiusdem iuris sociis debitas exegisset naves, lustrata classe ad Lacinium, altum petit.

Livio, prefetto della flotta romana, partì da Roma con cinquanta navi, da Roma … , poi salpò per la Sicilia, e di là salpò oltre Messina;
quando ebbe ricevuto sei navi cartaginesi inviate in suo aiuto, ed ebbe preteso le navi dovute dalle regine e dai Locresi e alleati della stessa giurisdizione; passata in rassegna la flotta presso il Lacinio, si dirige in alto mare
.

Ne emerge l’importanza del Lacinio per le operazioni militari via mare; e ciò in aggiunta alla stratigrafie di età repubblicana-imperiali emerse sul promontorio, alla assenza di stratigrafie consistenti in età repubblicana (II e I sec. a.C.), e particolarmente di edifici importanti, nell’area della città moderna, ha lasciato ipotizzare che la deduzione della colonia romana di Croto fosse avvenuta nell’area del Lacinio poco distante del tempio di Hera4. A Capocolonna, infatti, a nord della hiera hodos sono venute alla luce cospicue strutture databili tra la metà del II sec. a.C. e la prima metà del I sec. d.C.((Salvatore Medaglia – Carta archeologica della provincia di Crotone (2010), p. 85)). Una parte notevole dello spazio urbano della colonia sembra essere occupata invece solo da edifici privati5.

Ma l’insediamento presso il Lacinio sembra esaurirsi dopo pochi decenni, visto che già dalla prima meta del I° d.C., , in eta augustea, si assiste allo stanziamento soprattutto di edifici pubblici ai piedi della collina del Castello, nel cuore della vecchia città greca, anche se rimangono segni di vitalità del promontorio Lacinio fino al periodo tardo antico. Anche la datazione del passo del Satyricon di Petronio riferibile all’età neroniana (54-68 d.C.) conferma che la città era posizionata presso il sito greco6((A.M. Jaja, pp. cit. 2021, p. 233)).

La domus di Discesa Fosso

Tuttavia, il ritrovamento di un edificio nel 2010, databile a partire dall’età repubblicana, durante di lavori di riqualificazione del Comune di Crotone in Via Discesa Fosso((Nella prima fase degli scavi, avviati ad agosto 2009, gli strati più superficiali mostravano solo evidenze a partire dal XIV sec. d.C.. Rif. Domenico Marino – Notizie scavi e lavori sul campo 2008-2009, in Cultura materiale, insediamenti, territorio, XXXVI, 2009, pp. 172-174)), ha offerto la possibilità ipotizzare la localizzazione della colonia romana nell’acropoli della polis. Fino a questa scoperta, infatti, nel centro di Kroton erano stati rinvenuti – relativamente all’età repubblicana – solo alcuni mausolei funebri, ma non costruzioni civili. Dell’edificio realizzato con tecnica mista con intonaci dipinti in stile pompeiano, pavimento in coccio pesto e presumibilmente con pavimenti marmorei, sono stati ritrovati alcuni resti.

L’edificio monumentale di Discesa Fosso in prossimità dell’incrocio con vico Giunti – posto alle pendici dell’acropoli, a est di essa, e a pochi metri dal mare – comprende, una struttura in opera reticolata di un impianto termale all’interno dell’edificio((per una descrizione deglle risultanze degli scavi vdere anche in arc Duret – In Agro Crotoniensi, Archéologie et histoire de Crotone durant le period romaine, 2023, “11.2.4 La domus de la Discesa Fosso”, pp. 94-96)), le cue caratteristiche suggeriscono un’origine protoimperiale((Margherita Corrado, Memorie e realtà di una Crotone ipogea, 2013)). Si tratta di “lembi di stratigrafie scampate fortunosamente ai pesanti interventi cinquecenteschi di costruzione della cinta urbica e alle più recenti distruzioni legate alla posa dei sottoservizi“. Questa domus tardo-repubblicana più tardi ristrutturata, è affacciata direttamente su un’insenatura dell’antica linea di costa, con “pochi ma interessanti manufatti in vetro di età imperiale“, che “confermano continuità e intensità di una frequentazione che diverse centinaia di reperti fittili dicono ininterrotta almeno fino al VI secolo“((D.Marino, M. Corrado, “Vetri preindustriali dal territorio di Crotone e dalla Sila. Un aggiornamento“, in “Il vetro in Calabria: vecchie scoperte, nuove acquisizioni”, 2012, p. 542)). Il posizionamento presuppone l’esistenza di una serie di ulteriori opere d’urbanizzazione – come l’acquedotto e un sistema di cisterne per portare l’acqua a monte – che lasciano ipotizzare l’esistenza di un “quartiere” di età romana.

Per Margherita Corrado((Margherita Corrado – Memorie e realtà di una Crotone ipogea (2013), p. 137)) a Crotone è plausibile che la domus di Discesa Fosso, sorta su preesistenze ellenistiche di natura incerta, si distinguesse dal resto dell’abitato romano per una posizione defilata di assoluto prestigio e sembra che anch’essa disponesse di un approdo, riconducibile alla “vecchia palizzata” sommersa atta a contenere le grosse pietre che gli operai del cantiere viceregnale smantellarono a fatica per costruire il bastione Petro Nigro, un porticciolo di servizio alla domus, “forse un frangiflutti costruito a protezione del porto da cui, teste Livio (Ab Urbe Condita XXIV, 3, 15), durante la seconda guerra punica gli aristocratici krotoniati, scesi dalla parte alta della città, s’erano imbarcati alla volta di Locri”.

Forse è proprio la sicura attività del porto crotoniate ricordata da Cicerone((Cic., Att., IX, 19,3“nos, quoniam superum mare obsidetur, infero navigabimus et, si Puteolis erit difficile, Crotonem petemus aut Thurios et boni cives amantes patriae mare infestum habebimus”. Cicerone, vissuto in età repubblicana nel I° sec. a.C. indica il porto di Crotone come una valida alternativa addirittura rispetto a Pozzuoli.)), a fare determinare la localizzazione della colonia in sovrapposizione alla polis greca.

Una diversa lettura dell’insediamento post-annibalico al Capo Lacinio è proposta da A.M. Jaja7. Dopo una riflessione comparata delle colonie dedotte in età repubblicana, ed un approfondimento degli aspetti critici nel posizionamento della colonia presso il Capo Lacinio, tra cui si evidenzia come per il posizionamento di “colonia maritima di diritto romano, a vocazione certamente militare, non si può prescindere dalla presenza di un circuito fortificato“, ma che la “datazione della linea di fortificazione” mantiene diversi elementi di incoerenza con tale ipotesi. Appare anche singolare come nel racconto liviano dell’asportazione delle tegole marmoree del tempio di Hera ad opera di Q. Fulvio Flacco nel 173 a.C., avvenuto pochi anni dopo la deduzione della nuova fondazione, non emerga in alcun modo la nuova veste del Capo Lacinio come colonia romana. A seguito di queste considerazione conclude che “in alternativa all’ipotesi di una deduzione coloniale a Capo Colonna, è forse preferibile pensare all’istituzione, in quest’area, di un limitato presidio sotto forma, ad esempio, di conciliabulum((conciliabŭlum ovvero «luogo di adunanza, riunione», der. di conciliare nel senso proprio di «riunire insieme», nell’Italia d’età romana, è un piccolo villaggio ove avvenivano di tempo in tempo riunioni per feste religiose o mercati e per ascoltarvi la lettura delle leggi del popolo romano e gli ordini dei magistrati – Rif. lemma “conciliabolo” del Dizionario Treccani.)) dipendente dalla colonia di diritto romano posizionata sul sito storico di Crotone; all’iniziativa dei duoviri della colonia andrebbe ascritta anche la costruzione di edifici pubblici, come il balneum, negli insediamenti da essa dipendenti da un punto di vista amministrativo. (…) Altro discorso è l’individuazione dell’area occupata dalla colonia romana di Crotone, per la quale andrebbe approfondito lo studio, anche metrologico, del tessuto urbano del settore occupato dall’abitato altomedievale. In tale area sembra di potersi individuare sopravvivenze significative riconducibili all’impianto coloniale, almeno ad una prima analisi superficiale“.

La Statio di Lacenium

Alcuni reperti di età imperiale e tardo antica suggeriscono che l’area del Lacinio continuò ad essere abitata, forse in relazione alla statio di Lacenium8, riportata nella Tabula Peutingeriana((è una carta medioevale che si ritiene copia di un originale romano databile circa al 300 d.C.. Riporta le seguenti stationes lungo la viabilità ionica: Tarento . Turio flu(men) . XXV . Heraclea IIII . Senasum . Turis . XXXVIII . Petelia . Crontona . XL . Lacenium . XXXVI . Annibali . XXX . Scilatio . XXV)) e con qualche errore di trascrizione (Facenio) anche in altre fonti itinerarie.

Ritaglio dalla Tabula Peutingeriana

La statio di Lacenium è tuttavia assente negli “Itinerari Antoninii” terrestri (da Meto dopo 24 miglia c’è Tacina), ma è invece presente nella sezione marittima, che tace sul porto di Crotone ma segnala tra le tappe il Lacinio, preferendo però alla denominazione tradizionale quella nuova di Crotone Naus, che avrà fortuna fin quasi ai giorni nostri((Il toponimo è attestato nei documenti d’archivio come Capo di Nau (1542), Nao (1542), capo di NaoPiani di Nao, nome che deriva dal greco nàos (ναός), cioè l’«abitazione» del dio, cioè il tempio o la parte più interna del tempio greco dove era posta la statua del dio)), sia essa alterazione più o meno cosciente del vocabolo greco per “tempio” o allusione esplicita proprio all’importanza per la navigazione del promontorio e dei suoi scali((Margherita Corrado – Appunti di archeologia subacquea sulla costa ionica calabrese tra Crotone e Le Castella (2016) )).

L’insediamento di età repubblicana sul Capo Lacinio

L’abitato sul Lacinio occupa tutta l’estremità settentrionale del promontorio e si compone di insulae quadrangolari (probabilmente di 1 actus di lato) scandite da una maglia viaria regolare il cui asse principale, che corre in senso est-ovest, era assicurato da due strade che riprendono orientamento e larghezza (m 8,50) della via sacra. Queste arterie di ampio modulo erano intersecate ad angolo retto da strade di m. 4,15 e da ambitus di m. 2,40 che modulavano le unità abitative rettangolari (m. 7,50*3,80) o quadrate (m 7,50 x 7,50). Gli isolati risparmiavano il settore del Santuario di Hera e le sue immediate pertinenze. Nella fase più antica (metà II sec. a.C.) le abitazioni impiegano tecniche costruttive che ricordano da vicino quelle adoperate nella Crotone greca con zoccoli di calcarenite locale in scaglie di varia pezzatura legate con argilla e frammenti di laterizi; l’alzato era in in laterizi spesso rinforzati da elementi lignei((Medaglia 2010, p. 282.)).

Oltre alle domus, ad ovest della Torre Nao è presente un edificio termale di m 18 x 22, che costeggia da nord una delle vie di ampio modulo, già intercettato da P. Orsi nel 1910, è nuovamente esplorato dalla Soprintendenza nel corso del 2003. Oltre alle piccole domus vi erano ricche residenze di proprietari più illustri come quella relativa ad una domus rettangolare di m. 13×34. La fase che conferisce al complesso destinazione termale è quella dei duoviri Lucilius Macer e Annaeus Traso, che edificarono il complesso tra l’80 e il 70 a.C.((Questo reperto evidenzia che in un momento successivo alla fondazione il governo della colonia romana di Crotone non è più triumvirato, ma duovirato)). Da uno degli ambienti è stato recuperato un mosaico decorato con una fascia esterna a meandro che cinge una seconda bianca con l’iscrizione di dedica dei duoviri che lo fatto costruire; due fasce nere con fascia mediana decorata a cirri, incorniciano l’émblema con rombo centrale, decorato a scacchiera, inscritto in un quadrato, con quattro delfini negli spazi angolari superstiti.

Edificio termale e sala del Mosaico
(Fonte: M. Paoletti – Occupazione romana e storia delle Città, Gangemi Ed. 1994, p. 527)

La fase di decadenza e il progressivo abbandono dell’abitato del Lacinio inizia probabilmente dopo l’assedio di Sesto Pompeo nel 36 a.C., nella cui occasione viene forse costruito il peribolo in reticolato del promontorio, a scopo difensivo. 

Tratta di cinta muraria in opera reticolata
(Fonte: M. Paoletti – Occupazione romana e storia delle Città, Gngemi Ed. 1994, p. 527)

Scavi effettuati tra settembre e dicembre 2014((responsabile: M. G. Aisa; collaboratori: E. Salerno, C. Cosenza)), hanno messo in evidenza la presenza, sul lato settentrionale e, parzialmente, su quello occidentale del sagrato, dei resti di un porticato, costruito, presumibilmente, in età augustea, che forse definiva architettonicamente uno spazio pubblico dall’epoca della fondazione della colonia romana, le cui dimensioni lasciano supporre che possa riferirsi ad un edificio pubblico. Il porticato ad elle, in asse con i ruderi delle domus già note, nella porzione settentrionale, in parte, continua al di là della recinzione dell’area delle domus e, dal momento che questa zona risulta meno disturbata da interventi moderni, ci si augura che future indagini possano restituire maggiori dati. Si suppone anche che tracce di altre strutture pertinenti all’area forense siano presenti sotto quelle del piccolo complesso carcerario di età moderna, individuato alle spalle di Torre Nao((Camera dei Deputati, Risposte ad interrogazioni. Seduta di Giovedì 11 giugno 2015)).

In località Torre Mariedda-Quote Cimino, ovvero nei pressi della zona interessata sin dall’età dassica dalla presenza di un santuario greco9 prospezioni geoelettriche condotte in collaborazione con I’Università del Molise, e una campagna di scavi archeologici (luglio – agosto 2015), con saggio di 13×10 mt, sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia della Calabria, hanno portato alla luce i resti di un considerevole complesso provvisto di un’imponente fontana monumentale di cui restano condutture di adduzione dell’acqua all’interno di una vasca costruita in blocchetti. I riempimenti e l’interfaccia superficiale dell’abbandono, presentavano in associazione frammenti ceramici riconducibili al periodo tra al periodo tra tarda età repubblicana e prima età imperiale (I sec. a.C. e III/IV sec. d.C.)((Soprintendenza Mibact – Loc. Capo Colonna Crotone, Perimetrazione di una zona di interesse archeologico (vincolo). Comunicazione di avvio del procedimento (2016); Relazione tecnico-scientifica, aspetti storico-archeologici, 3.3 Età romana, pp. 6-9.))10.

Dopo l’abbandono dell’ abitato, il perdurare della devozione nei confronti di Hera Lacinia è ancora attestato tra il 98 ed il 105 d.C. dall’ara dedicata da Oecius procuratore imperiale (libertus procurator), in favore di Ulpia Marciana, sorella di Traiano((L’ara venne trovata nel 1843 in un fondo del marchese Anselmo Berlingieri. Rif. Vito Capialbi – Di un’ara dedicata alla Giunone Lacinia (1846) )).

Le mura urbiche, che includevano anche il santuario di Hera Lacinia, denunciano un rifacimento dopo la guerra contro Sesto Pompeo, cioè dopo il 36 a.C.: intervento che dovette significare anche un ripristino del santuario, visto che in tutta la sua area si trovano tegole timbrate al nome di quel Q. Laronius che era stato legato di Agrippa proprio in quella guerra, e fu ricompensato, dopo la vittoria, con il consolato nel 33 a.C., ma certo anche con un coinvolgimento economico in forma di proprietà terriere nel crotoniate, base per una industria di laterizi e ceramica favorita dalla presenza di ottime cave d’argilla11((La famiglia dei Laronii emerge durante l’età triumvirale a Vibo Valentia, con Q.Laronius, legato di Agrippa in Sicilia e console suffetto nel 33 a.C., Q. Laronius; il senatore doveva possedere a Vibo Valentia vaste proprietà fondiarie come dimostrerebbero i numerosi bolli laterizi iscritti rinvenuti nell’area. Rif. Clara Stevanato, Senators and memory in the funerary epigraphy of Roman Italy (1st century BC-3rd century AD), 2020, p. 95. La sua gens disponeva in tutto il Bruzio di molti fundi, ma beneficiava anche di committenza pubblica, come dimostrerebbero le decine di bolli ritrovati in altri luoghi – specialmente per la realizzazione di acquedotti o per il rinnovamento edilizio avviato nella regione verso la fine del I sec. a. C.. Rif. G.DeSensi, S.Mancuso, Il Lametino antico e Terina, 2001, p. 49))((Sulle tegole e sul personaggio di Q.Laronius vedere anche i riferimenti bibliografici in A. Battista Sangineto, Cosenza antica alla luce degli scavi degli ultimi decenni, 2014, p. 176)). Tale restauro romano del santuario di Hera Lacinia è da ascriversi alla politica di revival religioso operato da Augusto, che denotò la ripresa conservatrice di tale epoca((rif. Giuseppe Bartone – Oltre la battaglia della Sagra, 2019, pp. 115-116, che riferisce ulteriori dettagli sulla figura di Q.Laronius)).

Parte dell’abitato si trova all’estremità del terrazzo che si affaccia direttamente sul mare e che risente dell’erosione costiera e della fragilità idrogeologica dello stesso; parte dell’abitato è crollato a mare sui fondali e sulla scogliera antistante. Nei lavori di messa in sicurezza d’urgenza eseguiti a febbraio 2022 alcuni setti murari sono stati recuperati e portati nel Museo Archeologico Nazionale di Capocolonna.

Gli insediamenti sul promontorio

L’occupazione sul promontorio non si limita al solo abitato al Capo Lacinio. Le ricognizioni compiute da Joseph Carter della Università del Texas (compendiate nel volume da un saggio a firma sua e di Cesare D’Annibale) mostrano che il retroterra agricolo di Crotone, fin oltre il Capo Lacinio, in età arcaica e classica era largamente occupato da fattorie, tranne l’area alle spalle del Lacinio, che ne era priva, e ciò significa che l’area non era stata distribuita in quanto possesso del Santuario12; ma in età romana tale area si popola invece di insediamenti rurali: dunque erano quelle le terre distribuite ai coloni della deduzione del 194.

Nel settore centro-meridionale del promontorio Lacinio in età repubblicana (e poi successivamente in buona parte dell’età imperiale) nascono un certo numero di insediamenti lungo tutta quella fascia di terreno ad andamento pianeggiante interposta tra le località di Torre Mariedda e di Scifo. Tali ville si giovano con ogni probabilità dell’approdo naturale offerto dalla baia ridossata e della buona disponibilità d’acqua proveniente dalla sorgente ancora oggi attiva di Scifo.

Complessivamente le ripetute ricognizioni topografiche hanno permesso di individuare, nell’area circostante Capo Colonna, un grande numero di siti di fattorie romane databili dall’età tardo-repubblicana a quella tardo-antica. Nel 1984 si individuarono 52 fattorie di varia grandezza, delle quali il 23% erano repubblicane (ceramica campana), il 27% di prima età imperiale (ceramica aretina) e l’80% di età successiva. Nel 1985 furono individuati altri 14 siti tardo repubblicani, 10 fattorie imperiali imponenti ed in posizione dominante verso il santuario (in due di queste si vedono ancora tracce di muri, tegole e mattoni per ipocaustum, ceramica aretina in abbondanza e di buona qualità) e 15 insediamenti tardo-romani (sigillata chiara)13.

Galleria Fotografica

Le foto aeree sono estratte da Google Earth.
Le altre immagini sono estratte da L.Cappelletti, Archivio immagini: Eraclea, in: ARCAIT. Archivio Costituzioni Antiche in Italia. www.arcait.it (27.05.2014)

  1. Giovanna De Sensi – I Brettii fra Pirro, Roma e Annibale (2017), p. 207 []
  2. Maurizio Cannatà, La deduzione di una colonia latina a Hipponion, 2011, p. 11-12 []
  3. Per una analisi storica della diverse ipotesi, Alessandro Cristofori – I motivi della colonizzazione romana della Magna Grecia agli inizi del II sec. a.C., 2009 []
  4. Roberto Spadea (a cura di), Scolacium una città romana in Calabria. Il museo e il parco archeologico, Milano, ET, 2005, pp. 506-542 e pp. 51-65 []
  5. Roberto Spadea (a cura di), Ricerche nel  santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna di Crotone: risultati e prospettive, Roma, Gangemi, 2006 []
  6. ” … scorgiamo non distante una città dominata da un’alta rocca.”, “… arce sublimi oppidum cernimus.” []
  7. Alessandro Maria Jaia – Crotone, Thurii-Copia, Metaponto: problemi dell’assetto urbano delle città dell’arco jonico in età post-annibalica, 2021 []
  8. Medaglia 2010, pp. 284-286 []
  9. Ricognizioni di superficie negli anni Ottanta avevano segnalato presenza di materiale antico di particolare interesse: un’antefissa del tipo Artemis-Bendis, una testina in marmo raffigurante Apollo, laminette di bronzo con iscrizioni databili nella prima metà del V sec. a.C. Rif. Medaglia 2010, p. 87. Attività della Soprintendenza Archeologia della Calabria, in Atti 55° Convegno SMG (2019), p. 822 []
  10. Attività della Soprintendenza Archeologia della Calabria, in Atti 55° Convegno SMG (2019), p. 822 []
  11. Fausto Zevi, Presentazione del volume: Kroton. Studi e ricerche sulla polis achea e il suo territorio, 2015 []
  12. Fausto Zevi, op. cit, 2015 []
  13. Simona Accardo, Villae Romanae nell’ager Bruttius: il paesaggio rurale calabrese durante il dominio romano, 2000, pp. 112-113. Bibliografia citata: KAHRSTEDT, R. MEDURI, c. SABBIONE Atti Taranto 1976, pp. 937-938., J.C. CARTER, in Atti Taranto 1984, pp. 546-55 1; in Atti Tararanto 1985, pp. 448-453, A. SANGINETO, A. COLICELLl []