La lamina aurea orfica di Petelia

Introduzione

A partire dalla prima metà dell’Ottocento, e fino ad anni recenti, sono state rinvenute, in vari sepolcri della Magna Grecia, di Creta e della Tessaglia, alcune sottilissime lamine d’oro, databili fra il IV e il II secolo a.C., che recano le «istruzioni destinate a guidare nel suo itinerario oltremondano l’anima che è stata debitamente iniziata a una dottrina misterica». Iniziazione sulla quale il mondo antico è riuscito a mantenere un impenetrabile segreto.

Nella cultura arcaica, la topografia del mondo è imprescindibilmente collegata all’esperienza umana, mancando una capacità di identificare elementi dell’universo sconosciuto attraverso il ragionamento scientifico. Ciò rende il mondo dei morti, un luogo non visibile, non conoscibile, in cui l’anima che prosegue la sua vita dopo la morte è smarrita e confusa, priva di orientamento. L’aldilà appare un luogo dove le ombre, le anime dei defunti, vagano in uno spazio ignoto, identificato talvolta come una enorme caverna, talvolta come una palude o come una landa in cui si smarrisce la via e ci si ritrova a vagare, rimpiangendo per l’eternità la luce del giorno.
L’immaginazione greca, per superare la prospettiva di passare un periodo di tempo indefinito – forse infinito – in luoghi bui, indefiniti, indifferenziati, in cui sono eliminate le differenze sociali, economiche, di status, individua possibili dei itinerari inferi, conoscibili attraverso percorsi misterici, ovvero una «successione di luoghi conosciuti da ritrovare grazie all’individuazione di precisi punti di riferimento»1.

Il mondo greco arcaico è dominato dagli dei olimpici, una versione alterata di un uomo senza una visione trascendente; fino ad allora, l’uomo era ritenuto mortale e solo un atto eroico, olimpico, come ad esempio in guerra, avrebbe fatto conquistare l’immortalità e consentito di sedersi sullo scranno degli dei. L’immortalità, dunque, non era offerta a tutti, ma solo a quei pochi che, sotto la spinta di atti eroici, potevano valicare l’abisso della caducità umana 2.

Questa visione viene superata dall’orfismo, un movimento religioso misterico, sorto in Grecia presumibilmente verso il VI secolo a.C. intorno alla figura di Orfeo, il cantore della mitologia noto già nella fase pre-omerica (il mito vuole che Orfeo accompagni gli Argonauti, e con il suo canto addormentò il drago e superò la potenza ammaliante delle sirene) a cui sono associati i “miti-simbolo” dell’orfismo:

  • quello della sua morte avvenuta per opera delle baccanti tracie (anche chiamate menadi, thiadi o bassàridi, le invasate e frenetiche adoratrici di Dioniso), che riducono il suo corpo a brandelli 3;
  • quello della discesa agli inferi da vivo (katàbasis), che egli compie per riportare in vita la sposa Euridice.
Luigi Catani, Morte di Orfeo,
Foresteria, Museo di San Marco, Firenze
Jean-Baptiste-Camille Corot
Orfeo guida Euridice fuori dall’oltretomba, 1861
Houston, Museum of Fine Arts

Diverse sono le motivazioni, tutte tarde dell’uccisione di Orfeo 4, ma comunque in tutte il divino cantore fu smembrato (sparagmòs) e la testa, gettata nel fiume Ebro, continuò prodigiosamente a cantare, metafora dell’immortalità dell’arte. Trasportata dal fiume, la testa di Orfeo raggiunse il mare aperto dove galleggiò fino all’isola di Lesbo, per tradizione centro principale della musica lirica nell’antica Grecia e patria di Terpandro, il più antico musicista storicamente accertato.
E’ ancora con il potere del canto della “melodiosa lingua di Orfeo” che incantò Persefone e il suo sposo Ade al punto che al vate fu concesso di scendere negli Inferi e trarne fuori la sua sposa Euridice (Alcestidi Euripide, rappresentata nel 438 a.C).

Con la nuova visione metafisica orfica, l’uomo è ritenuto composto di una parte immortale (anima) che proviene dal divino e di una parte mortale (corpo). Con l’Orfismo, l’immortalità diventa una condizione diventa accessibile a tutti, non solo a dei ed eroi. Una concezione rivoluzionaria che cambia la visione del percorso e rovescia la concezione di vita al punto da fare affermare ad Euripide: “Chi sa se il vivere non sia morire e il morire invece vivere?”. L’uomo con l’Orfismo ha un imperativo immediato: vivere una vita conforme alla Legge universale o divina. A tutta l’umanità è data la responsabilità del proprio destino. Coerenti a tali principi, gli Orfici praticavano una vita di estremo rigore etico e morale, perché lo spirito potesse mantenersi puro tra le tentazioni, le deviazioni, gli inganni della vita terrena.

Orphikà è il generico nome di dottrine e pratiche miranti a insegnare (anche a devoti non iniziati) principii morali ispirati a una severa visione della vita e ad assicurare alle anime dei mystai, preparate da escatologie
di lunga data ad affrontare un giudizio nel momento del loro accesso al mondo dei morti, una continuità di esistenza immune da pene eterne per i trascorsi compiuti nel corso della vita terrena, e anzi spiritualmente più gradevole, e libera dalle insidie che alla natura umana tende la hybris titanica che di essa è parte5.

L’orfismo ci è noto attraverso un complesso di documenti frammentari, attribuiti dagli autori classici a Orfeo stesso e agli antichi orfici, e risalenti a una letteratura che possiede un duplice carattere: da un lato teologico-dogmatico e dall’altro religioso-liturgico. Le laminette auree tombali costituiscono oggi il più caratteristico documento archeologico della religiosità orfica6.

Le lamine auree benchè non richiamano mai direttamente Orfeo e l’Orfismo, sono associate dagli studiosi a questo movimento. Contengono parole di ammaestramento e conforto, un Totenpäss7 per le anime in procinto di varcare le soglie dell’aldilà; il loro contenuto – espresso con formule misteriche o magiche – fa riferimento a gesti, percorsi e risposte formulari necessarie ad evitare i tormenti dell’Ade e accedere ad un luogo “altro”, in cui accederanno a una condizione di felicità. Venivano deposte nelle tombe insieme al defunto, nella bocca, nelle mani o in prossimità.

Il contributo di studi più noto è offerto dal libro “Le lamine d’oro orfiche. Istruzioni per il viaggio oltremondano degli iniziati greci“, Milano, Adelphi, 2001 di Giovanni Pugliese Carratelli, che fa il punto sulle diverse interpretazioni che negli anni si sono succedute e avanza l’ipotesi che gran parte di queste iscrizioni, finora «genericamente classificate come documenti dell’orfismo», siano intimamente legate alla scuola di Pitagora. (questo argomento è sviluppato in maniera più approfondita più avanti nel testo).

Queste laminette esprimono alla divinità la preghiera di accogliere i defunti, talora dichiarando anche il proprio nome, e nello stesso tempo vi trovano scritte indicazioni concernenti la topografia degl’inferi, affinché vi si possano orientare. Quest’orientamento verso l’aldilà e questa svalutazione del corpo di fronte all’anima appare del resto evidente anche nel rito funerario orfico, quale risulta dai cosiddetti “timponi” (dal gr. τύμβος), e cioè dalle grandi sepolture a tumulo superstiti nell’Italia meridionale nella regione della Sibaritide8 e della Crotoniatide, e dalle quali provengono le laminette sopra ricordate. Questi tumuli si distinguono infatti nettamente dal consueto tipo greco della tomba-casa appunto in quanto quest’ultima risponde al motivo della continuazione nell’oltretomba della stessa vita terrena e corporea, mentre in essi si esprime invece l’idea del definitivo abbandono di tale vita: il cadavere, dopo aver subito una cremazione più rituale che reale, vi è deposto in una tomba a cassa senz’altra suppellettile che la laminetta d’oro inscritta, e con la sola copertura di un lenzuolo bianco6

Se l’elemento comune a tutte le lamine, infatti, è la speranza di ottenere la salvezza da ulteriori esperienze esistenziali, le lamine di Petelia e di Vibo Valentia si concentrano su Mnemosyne (in greco antico: Μνημοσύνη, Mnēmosǘnē), un personaggio della mitologia greca, figlia di Urano (il cielo) e di Gea (la terra), titanide cui fu attribuita la personificazione della memoria ed il potere di ricordare: colei che, unica, è in grado di sottrarre l’iniziato all’oblio connesso al ciclo di nascite e morti, e di fargli attingere la consapevolezza della propria origine, urania prima che terrena.

Giacché per gli orfici gli uomini, nati dalle ceneri dei Titani (folgorati da Zeus per essersi cibati delle carni di Dioniso Zagreus), vedevano il loro essere come composto sia da una natura dionisiaca e sia da una titanica, e
sono costretti a espiare quel primo atto di hybris – e al tessuto di sofferenze che è la vita sfuggiranno soltanto – come insegnano i Pitagorici – in virtù della filosofia e delle iniziazioni misteriche e riti purificatori. Μνημοσύνη è celebrata da Esiodo come madre delle Muse e venerata quale nume salutare negli Asclepièi.

Molto simile alla lamina di Petelia, sia tipologiamente che nel testo, è la lamina Hipponion (l’attuale Vibo Valentia) rinvenuta nel 1969 da Ermanno Arslan nella necropoli della città, in una tomba databile alla fine del V o all’inizio del IV secolo a. C., indubbiamente molto nota e studiata a seguito dello studio del 1974 di G. Pugliese Carratelli 9. Si tratta della più antica delle lamine orfiche iscritte arrivate fino a noi; seguono, nel tempo, quella di Petelia, di Farsalo, le lamine di Turii, quelle di Creta, la lamina di Roma 10. L’antichità, la buona fattura, la sufficiente chiarezza concettuale e stilistica del l’iscrizione della lamina di Hipponion sono evidenti al confronto con le altre.

Cenni sulla religiosità orfica

Il credo dell’orfismo era “essenzialmente l’affermazione della passione (sofferenza), morte e risurrezione del figlio divino di Dioniso (è figlio di Zeus e di Semele, appartiene perciò alla seconda generazione degli Olimpici, come Ermes, Apollo e Artemide) e la risurrezione di tutti gli uomini in un futuro di ricompensa e punizione”.

Gli Orfici, seguendo l’idea che quando i Titani, antenati dell’uomo, avevano ucciso Dioniso, avevano commesso il “peccato originale” e che questo peccato fosse passato a tutta l’umanità. L’anima fu così rinchiusa nel corpo come prigione come punizione per questo peccato. Tuttavia, poiché i Titani avevano mangiato Dioniso, ogni anima umana conteneva anche qualche divinità. Nasce così l’idea di una dualità tra un’anima divina e un corpo malvagio che porta alla sottomissione della carne come mezzo per liberare l’anima. L’orfismo, infatti, inserì il dualismo iranico nel quadro del culto dionisiaco: Dionisio divenne il principio del bene e i Titani che lo uccisero quello del male; l’uomo, formato dalle ceneri dei Titani, che avevano ucciso e divorato Dionisio, porta in sé questo dualismo tra il bene ed il male.

Nell’Orfismo si riscontra per la prima volta un inequivocabile riferimento a un'”anima” (ψυχή, psyché), contrapposta al corpo (σῶμα sōma) e di natura divina. In ciò sta l’importanza dell’orfismo nella storia della cultura religiosa, e più in generale nella storia del pensiero occidentale. Da Pindaro (518-438 a.C.) in poi, appare la concezione – sconosciuta ai Greci – della natura divina dell’uomo, il quale alberga in sé una parte mortale, umana, e una parte immortale e divina:

«Il corpo di tutti obbedisce alla morte possente,
e poi rimane ancora vivente un’immagine della vita,

poiché solo questa viene dagli dèi:
essa dorme mentre le membra agiscono,
ma in molti sogni mostra ai dormienti
ciò che è furtivamente destinato di piacere e sofferenza
(Pindaro, frammento, il 131 b – Traduzione di Giorgio Colli, in La sapienza greca vol.1. Milano, Adelphi, 2005, p.127)

La tradizione orfica, come quella mitologica greca, si dispone non secondo un modello unificato frutto di un sistema teologico, quanto piuttosto come un insieme di varianti.

Sotto la teologia orfica, gli inni e i rituali lasciati da Orfeo istruivano un comportamento corretto che li avrebbe preservati dalla punizione nell’aldilà, dove sarebbero stati giudicati dagli dei degli inferi. La natura della punizione per il mancato rispetto di queste istruzioni differiva tra le diverse forme della dottrina. In alcune varianti, la punizione sarebbe eterna, simile all’idea dell’inferno cristiano. Ma il valore dell’anima immortale rispetto al valore del corpo che la imprigiona fa conseguire un nuovo paradigma rispetto ai valori dell’esistenza umana: ma la morte del corpo per sé non porta la liberazione dell’anima immortale, essa è destinata a rinascere periodicamente in un diverso corpo (dottrina della reincarnazione o metempsicosi). Nella rigenerazione a nuova vita l’anima sarebbe stata influenzata dalle azioni della vita passata. Il ciclo sarebbe continuato fino a raggiungere la purezza, quando e l’anima sarebbe stata ammessa alle Isole dei Beati, simile all’idea del karma nell’induismo. In una terza variante, la punizione poteva essere risolta mediante espiazioni prima della morte dell’individuo o dai suoi amici dopo la morte, simile all’idea delle indulgenze cattoliche.

Nell’orfismo si ha un’escatologia di condanna per coloro che non si curano di purificarsi (che si concreta sia nelle punizioni dell’Ade sia nella reincarnazione in corpi inferiori attraverso il ciclo delle rinascite) e un’escatologia di premio, che nella testimonianza di Platone consiste in una sorta di ebrietà-estasi eterna nel «banchetto dei puri» (Repubblica, II, 363 c-d) 11.

La liberazione poteva essere conseguita, secondo gli orfici, seguendo una “vita pura“, la “vita orfica” (bios orphikos Ὀρφικὸς βίος) dettata da una serie di regole non derogabili, la principale delle quali consiste nell’astinenza dalle uccisioni da cui consegue il rifiuto del culto sacrificale, implicando un’alimentazione a base di vegetali. Considerando il rifiuto del sacrificio animale e la conseguente alimentazione vegetariana, l’unico atto di servizio divino per gli orfici, come per i pitagorici, resta l’offerta di incenso, le preghiere e talvolta ascetismo; vi è anche il rifiuto di mangiare fave (anche qui come nel pitagorismo) e uova, e di bere vino, o meglio, di ubriacarsi.

Le influenze orfiche erano diffuse e avevano un effetto duraturo sulle idee teologiche ; “era una parte prominente ma circoscritta della vita religiosa cittadina, che richiedeva un atto di iniziazione da parte degli aspiranti partecipanti, ma accessibile a tutti coloro che desideravano venire, anche non greci. Ha attirato un seguito significativo e la parte pubblica delle sue cerimonie ha offerto uno spettacolo. Il suo status non è molto dissimile da quello del culto eleusino in Attica”.

Le principali figure religiose orfiche, venerate attraverso la vita etica, sono tre divinità figlie di Zeus: Apollo, Dioniso e sua madre Persefone (anch’essa figlia di Zeus); e difatti come detto l’apollineo e il dionisiaco, vengono combinati nell’orfismo.

L’orfismo non ebbe templi, si esercitò in “case sacre”. Il suo rituale era segreto. Si può dire con certezza che era prevista l’omofagia (consumo di carne cruda) del toro o del capretto (ci sono versioni secondo cui Dionisio per sfuggire ai Titani si trasformò in capretto); l’iniziazione dottrinale; un banchetto fraterno degli adepti. Probabilmente, c’erano delle lustrazioni (riti purificatori con acqua) e anche il rito della flagellazione, inteso come prova di coraggio e di rottura con la situazione di vita precedente. La flagellazione rituale la si ritrova in una raffigurazione della Villa dei Misteri di Pompei, riguardante l’iniziazione di una sposa ai misteri dionisiaci, ma dove si ravvisano anche componenti dell’orfismo. La flagellazione avviene davanti ad una baccante che danza. Nelle Tesmoforie, feste in onore di Demetra, riservate alle sole donne sposate di Atene, venivano praticate flagellazioni iniziatiche, ovviamente senza troppa violenza. Indubbiamente nei riti orfici erano presenti gli oggetti coi quali i Titani attrassero il fanciullo Dionisio-Zagreo 12.

L’orfismo non riuscì scalzare i culti nazionali greci, questi restarono fiorenti, e dovette dimensionarsi su piccole comunità di adepti, certamente molto vivaci. Elementi di pensiero orfico si trovano, oltre che in Platone, in Pitagora, Empedocle e Ferecide di Siro; si conserveranno nello gnosticismo e in tutta l’antichità pagana post-classica, fino ai filosofi neoplatonici 13.

L’orfismo si diffuse nel mondo romano dopo la proibizione dei baccanali; Ovidio e Virgilio parlano di Orfeo e delle dottrine orfiche (le divinità greche diventano quelle romane di Giove, Apollo, Bacco (Liber) e Proserpina) nelle Metamorfosi, nelle Georgiche e nell’Eneide.

Nonostante la sua antichità, molti molti degli elementi essenziali dell’orfismo si ritrovano in elementi delle religioni moderne.

Classificazione delle lamine e teorie

Le piccole lamine d’oro venivano poste nella bocca, nella mano o sul petto del defunto, contengono delle istruzioni scritte in greco antico a lui destinate, inerenti alla condotta da tenere nel viaggio oltremondano. Tali lamine testimoniano che il defunto è un “iniziato” a una dottrina misterica e contengono anche delle invocazioni nei confronti di alcune divinità ctonie, il tutto allo scopo di consentire al trapassato un destino beato rispetto alla sua rinascita nel nostro mondo (metensomatosi), rinascita che conserverà, sempre e comunque, un destino di sofferenza.

Il significato della scelta del materiale aureo

Caratteristiche comune delle iscrizioni è la presenza di un supporto su cui vengono incisi i segni; i materiali sono diversi: pietra, marmo, legno, papiro, pelle di animali; ma molto abbondanti e vari sono le incisioni su metalli oro, argento, bronzo, ferro e piombo. Nonostante la più difficile reperibilità ed il maggiore costo, l’utilizzo dell’oro come supporto per le incisioni è frequentissimo, perlopiù per testi di contenuto religioso e magico. Non si tratta solo per le sue qualità intrinseche era ed è opinione comune che l’efficacia di un testo di tipo religioso o terapeutico dipendesse molto dal materiale su cui era scritto: più il materiale è costoso e più si ottiene un risultato migliore; d’altra parte alle lamine era affidato un compito importante: “la vita futura del defunto nell’aldilà”!.

Le qualità di solidità e di resistenza al calore, all’umidità e alla corrosione rendono l’oro il metallo più prezioso e più costoso. Per il suo valore e per il suo colore, brillante e attraente, l’oro è sempre stato il metallo preferito di dei, re e vincitori“. “L’oro è inoltre un metallo malleabile su cui i testi possono essere incisi senza troppe difficoltà con uno stilo o punzone; il suo elevato costo ha però impedito che diventasse materia scriptoria comune nell’antichità. Dato che l’oro è associato alla ricchezza, alla luce, alla vittoria e all’immortalità, è possibile supporre che le incisioni auree fossero limitate agli oggetti considerati preziosi, a quelli che dovevano perdurare e, infine, a quelli a cui si attribuivano qualità protettive14.

Queste argomenti sono ulteriormente espansi in chiave escatologica da M.Tortorella Ghidini15: “l’oro in quanto connesso con l’altro mondo e con gli dèi, funge da medium simbolico tra la corruttibilità del soma e l’immortalità della psyche“; “di fronte alla dissoluzione del corpo, e alla perdita di senso dell’esistenza, l’oro, materiale prezioso e inalterabile, di cui è fatto tutto ciò che è divino, diviene il “simbolo” capace di ribaltare la morte in nuova vita“. Alle lamine è affidata la “speranza di diventare dio: la presenza della lamina nella tomba dell’iniziato, figlio della Terra e del Cielo stellato, è garanzia della purezza dell’anima («vengo pura tra puri», mystes apoinos) e di un privilegiato destino oltremondano (la via sacra dei mystai e bacchoi, l’invio alle sedi dei beati). Da questo punto di vista, le lamine d’oro orfiche sono in senso stretto ‘symbola’“, oggetti che acquistano “efficacia nel momento in cui la parte materiale e visibile si ricongiunge all’Ade con l’altra invisibile e inalterabile“.

Sul modello unico

Nonostante la segretezza inerente alle dottrine “misteriche” a cui queste lamine fanno riferimento, gli studiosi si sono prodigati per approfondire i contenuti e i riferimenti propri delle lamine rinvenute nei sepolcri, giungendo tuttavia a differenti conclusioni 16:

  • Giovanni Pugliese Carratelli, Walter Burkert, Vincenzo Di Benedetto, e Radcliffe G. Edmonds, ritengono che, seppur in astratto le lamine rinvenute nei sepolcri indichino una conoscenza iniziatica oltremondana, esse non facciano riferimento al medesimo ambito, conservando tra loro notevoli differenze di contenuto.
  • Richard Janko, Reinhold Merkelbach, M.L. West e Alberto Bernabé e Ana Isabel Jiménez San Cristóbal ritengono, invece, che si possa parlare di più differenti e parziali testimoni di un’unica versione, archetipo, originale.

La natura “orfica” delle dottrine a cui si richiamano le lamine è stata sostenuta, anche recentemente, da Alberto Bernabé, altri studiosi ritengono, ad esempio, di scorgere in alcune di esse una presenza rilevante delle dottrine escatologiche pitagoriche o anche bacchiche.

Alberto Bernabé, sostenitore dell’esistenza di un modello unico e orfico a cui le lamine rinvenute farebbero riferimento, riassume così la sequenza dello stesso:

  1. Qualora l’iniziato sia stato purificato nel corpo e nella psyché (anima), la dea Mnemosyne farà in modo che nel trapasso egli si ricordi della sua iniziazione misterica;
  2. ma l’iniziato deve ricordare in cosa consista questa sua iniziazione e sapere come comportarsi, ad esempio evitare la fonte d’acqua collocata al lato del cipresso bianco;
  3. deve anche ricordarsi di rispondere alle domande dei custodi della seconda fonte, quella da cui sgorga l’acqua del lago di Mnemosyne, di essere “figlio della Terra e del Cielo stellato“; identificazione che gli consentirà di dissetarsi e rinfrescarsi a questa seconda fonte e quindi di potersi avvicinare alla dea Persefone;
  4. l’iniziato deve anche ricordarsi di presentarsi alla dea Persefone come “puro tra i puri” (Ndr: carattere non presente nella laminetta di Petelia);
  5. allora potrà percorrere, insieme agli altri bakkhoi, la sacra via che lo condurrà alla vita beata.

Classificazioni

Nella visione orfica dell’aldilà, l’Ade, nel suo ingresso la strada si biforca in due: una conduce ai prati fioriti dei buoni, l’altra al Tartaro dei cattivi. Vi scorre il fiume Lete, che fa dimenticare le cose della vita. Il fiume è presente nel X libro della Repubblica di Platone, dove viene narrato il mito di Er, disceso nell’oltretomba per conoscere i misteri della reincarnazione delle anime. Nei frammenti degli orfici troviamo la raccomandazione, agli iniziati che sono giunti nell’aldilà e si apprestano a entrare in una nuova vita, di bere poco l’acqua per ricordare, chi beve troppo ha l’oblio, ma invece occorre limitare l’oblio per far tesoro del proprio passato e conseguire un superiore livello di saggezza.

Una delle più recenti classificazione delle lamine auree orfiche in più gruppi sulla base del contenuto con elementi simili (il cosiddetto “formulario”) è la seguente:

I. Un primo gruppo, dove è presente la formula di riconoscimento “Sono figlio/a della Terra e del Cielo stellato” e dove sono presenti due sorgenti, la prima, quella da evitare collocata vicina a un “cipresso bianco”, la seconda, alimentata dal lago di Mnemosyne, a cui invece occorre dissetarsi dopo aver risposto con la formula di riconoscimento alle domande dei suoi custodi.
A questo gruppo si suddivide in 2 sottogruppi; il primo (A) presenta tutti gli elementi indicati e fa riferimento alle lamine:

  • A 1. Lamina di Hipponion
  • A 2. Lamina di Petelia
  • A 3. Lamina di Pharsalos
  • A 4. Lamina di Entella (?)

Nel sottogruppo B è presente solo la prima fonte e il dialogo con i custodi:

  • B 1-6. Lamine di Creta
  • B 7. Lamina della Tessaglia (?)
  • C 1. Lamina di Roma

II. Un secondo gruppo è costituito dalle lamine dove sono invece invocate alcune divinità infere come Persephone, Euklès, Pluton e Diónysos:

  • A 1-2. Lamine di Thurii
  • B 1-2. Lamine di Thurii (con la presenza della formula “caddi nel latte”)
  • B 3. Lamina di Pellinna (con la presenza della formula “caddi nel latte”)
  • C 1. Lamina di Eleutherna
  • C 2. Lamina di Pherai

III. Un terzo tipo di lamina sembra avere caratteristiche “magiche” ed è comunque di difficile interpretazione:

  • Lamina di Thurii

Le lamine della Magna Grecia – Thurii e Petelia – presentano sia delle caratteristiche religiose che magiche: il testo che contengono è di carattere esplicitamente religioso, ma il modo in cui sono state piegate o arrotolate, e in alcuni casi introdotte in custodie, suggerisce che potrebbero anche essere state considerate amuleti 17 con caratteristiche magiche dai loro proprietari, come ad es. il reperto di Timpone Grande a Thurii ove una lamina d’oro serviva da imballaggio per un’altra più piccola, ed entrambe sono incise. Per la lamina di Petelia si veda invece il discusso astuccio in oro, come esemplificato più avanti.

Una ulteriore classificazione è fatta sul luogo di rinvenimento18; delle 23 lamine note:

  • 7, databili tra la fine del V secolo e la prima metà del IV secolo a. C., sono state ritrovate in Magna Grecia, nelle località di Hipponion, Petelia e Thurii;
  • 5, risalenti alla fine del IV secolo a. C., sono state rinvenute in siti della Tessaglia, a Pharsalos, Pherae, Pélinna, e in una località tessalica imprecisata.
  • 1 lamina, con testo simile a quello di Hipponion e Petelia, risalente al III secolo a. C., sembra provenire da Entella 134 (Sicilia).
  • 6 lamine, datate al III-II secolo a. C., tutte con lo stesso formulario, sono state ritrovato a Creta; di queste, cinque sono state trovate a Eleutherna, una nell’area di Mylopotamos; a Creta sono state ritrovate altre 3 lamine, di cui una proveniente dalla stessa zona sepolcrale e avente la medesima datazione, inscritta con breve testo, e altre due provenienti da Sfakaki, datate al li- I secolo a. C.
  • 1 è stata rinvenuta a Roma, un tardo esemplare datato al III secolo d. C.
Carta di distribuzione delle laminette auree orfiche; i puntatori e i caratteri più grandi localizzano i formulari estesi, quelli più piccoli i formulari minimi. Figura tratta da P.Mazzei 2018(Paola Mazzei, “La laminetta cd. orfica di Entella: una messa a punto in contesto” in ‘Ollus leto datus est’. Atti Convegno Internazionale di Studi, Reggio Calabria, 22-25 ottobre 2013))

La lamina orfica di Petelia

La lamina d’oro “orfica” rinvenuta a Petelia (Strongoli), è oggi conservata presso il British Museum di Londra; un reperto con annessa collana, mezzo per il quale la lamina poteva essere indossata .

Si tratta di una lamina d’oro molto sottile, scritta su un unico verso; nonostante le sue piccole dimensioni (4,5 x 2,7 cm) contiene tredici righe di scrittura; la mancanza di spazio costringe l’incisore a scrivere l’ultima linea verticale sul lato destro della tavoletta. Le prime informazioni relative al suo contesto di ritrovamento si trovano in una lettera inedita di Carlo Bonucci al Gerhard, conservata nell’Archivio dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma. La lamina presenta il margine superiore intatto, quelli di sinistra e destra parzialmente intatti (presentano infatti dei segni di consunzione dovuti presumibilmente alle piegature), mentre il margine inferiore si presenta fortemente danneggiato.

Sono ben visibili delle piegature verticali (circa 4): ciò ci dà delle informazioni sul rinvenimento dell’oggetto, probabilmente arrotolato in senso verticale e leggermente pressato per fare in modo che entrasse all’interno dell’amuleto (la bulla, un amuleto cilindrico dentro al quale è stata ritrovata e che permetteva alla lamina di essere indossata).

Lamina orfica di Petelia (presso il British Museum)

Il testo, ben visibile, è in greco antico, probabilmente inciso con uno stilo metallico mentre l’incisore teneva la lamina nell’incavo della mano, ed è suddiviso su 12 righi. I primi 8 righi risultano completi , al nono rigo compaiono due lacune rispettivamente di 6-7 lettere nella prima e di 5-6 nella seconda. Gli ultimi tre righi sono fortemente lacunosi. Sul margine destro si possono leggere delle parole poste in posizione perpendicolare agli altri righi. 19.

Il testo riportato sul margine sinistro è:

1.ΕΥΡΗΣΣΕΙΣΔΑΙΔΑΟΔΟΜΩΝΕΠΑΡΙΣΤΕΡΑΚΡΗΝ
2.ΗΝΠΑΡΔΑΥΤΗΙΛΕΥΚΗΝΕΣΤΗΚΥΙΑΝΚΥΠΑΡΙΣΣΟΝ 3.ΤΑΥΤΗΣΤΗΣΚΡΗΝΗΣΜΗΔΕΣΧΕΔΟΝΕΜΠΕΛΑΣΕΙΑΣ 4.ΕΥΡΕΗΣΕΙΣΔΕΤΕΡΑΝΤΗΣΜΝΗΜΟΣΥΝΗΣΑΠΟΛΙΜΝΗΣ 5.ΨΥΧΡΟΝΥΔΩΡΠΡΟΡΕΟΝΦΥΛΑΚΕΣΔΕΠΙΠΡΟΣΘΕΝΕΑΣΙΝ 6.ΕΙΠΕΙΝΓΗΣΠΑΙΣΕΙΜΙΚΑΙΟΥΡΑΝΟΥΑΣΤΕΡΟΕΝΤΟΣΑΥΤΑΡΕΜ 7.ΟΙΓΕΝΟΣΟΥΡΑΝΙΟΝΤΟΔΕΔΙΣΤΕΚΑΙΑΥΤΟΙΔΙΨΗΙΔΕΙΜΙΑΥ 8.ΗΚΑΙΑΠΟΛΛΥΜΑΙΑΛΛΑΔΟΤΑΙΨΑΨΥΧΡΟΝΥΔΩΡΠΡΟΡΕ 9.ΟΝΤΗΣΜΝΗΜΟΣΥΝΗΣΑΠΟΛΙΜΝΗΣΚΑΥΤ(..)Σ(.)ΙΔΩΣΟΥΣΙ 10.ΠΙΕΙΝΘΕΙΗΣΑΠ(….)ΝΗΣΚΑΙΤΟΤΕΠΕΙΤΑ(………)ΗΡΩΕ
11.ΣΣΙΝΑΝΑΞΕΙ(……. .)ΝΗΣΤΟΔΕΙ̣(
12.ΘΑΝΕΙΣΘ(…………….)ΟΔΕΓΡΑ

ˑmargine destro: Τ̣Ο̣Γ̣Λ̣Ω̣Σ̣Ε̣Ι̣Π̣Α̣ΣΚΟΤΟΣΑΜΦΙΚΑΛΥΨΑΣ

Traduzione di Giovanni Pugliese Carratelli (in Le Lamine d’oro orfiche, Milano, Adelphi, 2001, p.68)

Sul margine sinistro

  1. Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte,
  2. e accanto ad essa eretto un bianco cipresso:
  3. A questa fonte non avvicinarti neppure.
  4. Ma ne troverai un’altra, la fredda acqua che scorre
  5. dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi i custodi.
  6. Dì’: “Son figlia della Terra e del Cielo stellato:
  7. urania è la mia stirpe, e ciò sapete anche voi.
  8. Di sete son arsa e vengo meno: ma datemi presto
  9. la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne”.
  10. ed essi ti daranno da bere dalla fonte divina;
  11. e dopo di allora con gli altri eroi sarai sovrana.
  12. A Mnemosyne è sacro questo (testo): (per il mystes), quando è sul punto di morire …

Sul margine destro:
… la tenebra che tutt’intorno si stende

La lamina si riferisce ad una soggetto femminile, come chiaramente espresso nel testo (“figlia”, “arsa”, “sovrana”) ed è una defunta già iniziata ad una pratica di iniziazione religiosa, come si evince dal confronto con il testo delle lamine di Thurii, ove invece viene richiesto una purificazione preventiva; perchè l’anima partecipi alla natura divina, basta che reciti la formula, una condizione che è già nota ai custodi dell’Ade ai quali si presenta (“e ciò sapete anche voi“).

Questa iscrizione sembra rassicurare l’iniziato ai misteri, che una volta defunto e seguendo queste istruzioni, egli avrebbe trovato la chiave per un benedetto aldilà; la lamina sembra infatti servire come una sorta di promemoria o di “passaporto per i morti”, e quindi il termine totenpass è appropriato in questo contesto20.

La fresca acqua

La “fresca acqua” che scorre nella fonte di Mnemosyne nella lamina di Petelia è stata interpretata come “acqua di morte” o che “calma il morto” dandogli la “morte definitiva”. Sarà proprio grazie alla dea Mnemosyne che l’anima dell’iniziato orfico ricorderà di non bere l’acqua della prima fonte (quella presso il cipresso bianco), ma la “fresca acqua” del lago, cioè della fonte di Mnemosyne. (…)

Il termine greco “fresco” è in realtà costruito su un fondo etimologico che sostanzia anche la base del termine “anima”, perciò molto probabilmente si intende non una generica ed in sé insignificante “acqua rinfrescante” che dovrebbe alleviare una inverosimile arsura dell’anima del morto, ma più esattamente si tratta dell’ “acqua che dà la vita“, simbolo dell’ “anima che manifesta la sua vitalità“, dell’ “l‘anima che rivive” o che “rinasce“, l’ “anima rigenerata“, o l’ “essere rigenerato21.

La lamina ha il ruolo fondamentale di aiutare l’anima del defunto a ricordare quello che deve fare al suo arrivo nel mondo dell’aldilà. Non ricordando potrebbe commettere degli errori come bere l’acqua della prima fonte presso il cipresso bianco, non recitare le formule corrette ai custodi dell’oltretomba, ricominciando così il ciclo vitale.

Nel’aldilà (Ade) l’anima arriva ad un bivio che porta a due differenti strade: una porta alla fonte di Lete che elargisce l’oblio, la dimenticanza della propria dimensione più elevata, la perdita di ogni possibilità di trasfigurazione e di palingenesi, oppure l’immersione in un nuovo “ciclo della generazione” nel quale l’uomo comune viene avvolto senza scampo. Se al contrario viene seguita la via che raggiunge Mnemosyne, l’uomo recupera la “memoria” del fondamento divino della propria vita, riacquista coscienza dell’essenza divina che permea l’intera esistenza ed informa il suo “essere” più profondo: dichiarano alcune laminette nel loro linguaggio simbolico che l’anima “si sveglia alla luce del sole22, oppure preannunciano una realtà di luce e di gloria: “dopo di allora con gli altri eroi sarai sovrana” è scritto nella lamina di Petelia, una realtà misterica che l’asceta orfico potrebbe sperimentare già in vita nel corso delle cerimonie iniziatiche, quando i sacri rituali ai quali si era sottoposto lo hanno fatto finalmente uscire da quello che ogni orfico definiva “il cerchio della terribile sofferenza” oppure dal “circolo della generazione“.

Alcuni studiosi vedono dietro le lamine orfiche un “originario rito iniziatico cretese”, un modello religioso comune basato sulla coppia madre/figlio che avrebbe portato alla coppia Persefone/Bakchios (= Dioniso o suo iniziato) a Pelinna e Thuri, e alla coppia Mnemosyne/bakchoi a Hipponion, Petelia e Farsalo. Il modello della Grande Madre egea, secondo questa interpretazione, si adatterebbe di volta in volta ai diversi contesti culturali: la Grande Madre sarebbe divenuta la Regina degli Inferi materna e salvifica nella serie persephonia, mentre sarebbe stata intellettualizzata nella pitagorica dea della Memoria, madre dei bakchoi, nel gruppo ipponiate 23.

La doppia fonte presente nelle sole lamine del gruppo A, e la possibilità di scegliere quella corretta, viene associata alla dottrina della scuola pitagorica, che vorrebbe offrire in favore degli iniziati un itinerario ulteriormente elitario.

Il bianco cipresso

Una curiosità della lamina di Petelia è che è la sola che dice che nell’aldilà la fonte si trova non a destra ma a sinistra: «Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte, … a destra (c’è) il bianco cipresso». Secondo alcune ipotesi la differenza potrebbe essere legata al sesso del defunto nell’idea che maschi e femmine percorrevano la discesa verso l’Ade in file parallele ed opposte lungo lo stesso tragitto24. Altro dettaglio nella lamina di Petelia è che i custodi sono «davanti» alla fonte mentre nei versi nelle altre lamine (Hipponion, Entella, Farsalo) sono «sopra» 25.

Il cipresso bianco costituisce un elemento topografico centrale nel percorso dell’anima, che qui va interpretato come “simbolo della durata e rinascita ciclica”. Il cipresso è da sempre associato al culto morti, ai cimiteri, all’immortalità, come racconta la mitologia di Ciparisso (Kyparissos), da cui prende il nome. E’ simbolo di vita eterna in alcune civiltà orientali, specialmente in Persia, nell’area della religione di Zoroastro (600 a.C.). Secondo Teofrasto il cipresso comune era consacrato ad Ade, dio degli inferi: nessun getto rinasce dal legno del cipresso una volta che i suoi rami sono stati tagliati. Orazio indica che i morti venivano seppelliti insieme a un ramo di cipresso o avvolti nelle sue foglie e Plinio descrive l’usanza del cipresso appeso alle porte delle case in segno di lutto. Si tratta di un albero sempreverde, perenne, il cui legno veniva considerato incorruttibile26. La varietà nota oggi come cupressus sempervirens è quella che era presente nell’area del Mediterraneo orientale (Iran, Siria, Cipro, Grecia) fin dall’antichità, da dove è stato diffuso in tutta l’Europa meridionale; si tratta di una conifera sempreverde a fogliame scuro con una chioma molto folta, alto mediamente fino a 20 m (ma può arrivare a oltre 35 m), a lento accrescimento e molto longevo (fino a 2000 anni) e per questo simbolo di immortalità27; invece in età contemporanea viene indicata con “cipresso bianco” la varietà Chamaecyparis lawsoniana Ellwoodii, con foglie azzurro-grigie di dimensioni miniri della sempervirens, ma originaria del Nordamerica occidentale e dunque sconosciuta nell’antichità.

La specificazione di “bianco” non deriva dunque da caratteristiche fisiche o vegetali dell’albero, ma connota che si tratta di un albero (immaginario) “che si è adattato a vivere nell’Ade” (il bianco connotava tradizionalmente i luoghi liminari tra la vita e la morte, o il regno della morte); se il cipresso è simbolo dell’immortalità, il “cipresso bianco” è un albero che non esiste nella nostra realtà e rappresenta un albero della “vita pervertita” presso cui è presente la fonte da evitare.

Davanti a questo albero “pervertito” gli iniziati raggiungono un crocevia e possono scegliere di seguire il giusto percorso (la «sacra via») verso la meta definitiva, l’eterna beatitudine; la sacra via, “espressa attraverso nel linguaggio mitico, è la via che porta all’isola dei beati, dove regnano gli altri eroi – così dice l’ultimo verso della laminetta di Petelia –” (questo simbolismo sottile si perde nella versione delle lamine di Creta, dove il cipresso segna invece la giusta fonte)28.

Altri evidenziano la differenza tra gli ultimi due versi della lamina di Hipponion (H15-16):
E dopo che avrai bevuto eccoti andare lungo la sacra via su cui procedono gloriosi gli altri misti e baccanti“.
e il verso della lamina di Petelia (P11): “e allora regnerai sugli altri eroi”
Esprimono due cose diverse ma sembrano completarsi a vicenda; forse c’era un modello da cui derivano in cui sono presenti entrambi i versi; oppure, secondo altri, questa diversità tradisce una diversa concezione sul significato della beatitudine 29.

Sulla spiegazione del colore bianco (leukos), vi sono anche diverse ipotesi e spiegazioni 30

Il ruolo di Mnèmosine

Nella lamina di Petelia, in sintesi, troviamo i caratteri principali che contraddistinguono le lamine “mnemosynie” 19:

1- Le indicazioni che guidano alla fonte di Mnemosyne
2- La presenza di un cipresso bianco accanto alla fonte di Lethe
3- La presenza della fonte dell’acqua del lago di Mnemosyne
4- La presenza dei custodi (che compaiono solo nelle lamine mnemosynie e non vengono citati in quelle cretesi)
5- La ricorrente frase di riconoscimento “Son figlia della terra e del cielo stellato” e “di sete son arsa e vengo meno: ma datemi presto la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne
6- L’invocazione a Mnemosyne come dea con potere soterico (che offre o prospetta la salvezza ai suoi seguaci )


Il contesto di rinvenimento

Ulteriori dettagli sulla lamina sono offerti da Roberto Spadea nell’articolo del 2004 a “Nord di Crotone“che descrive la lamina come un importante documento di Petelia della prima metà del IV sec. a.C. “testimone della continuità della precedente origine ellenica. Si tratta della laminetta d’oro di impronta orfica, che riporta in esametri le istruzioni sul percorso che l’anima deve seguire nell’aldilà e il dialogo tra questa e i custodi del mondo infero.”

Le notizie sulla localizzazione del ritrovamento sono assai generiche e si limitano a circoscrivere la scoperta nell’area della necropoli (ma quale non è chiaro), ma in tutte le edizioni il luogo Petelia è sempre confermato. La data del rinvenimento è del 1836 ed è entrata a far parte dapprima della collezione Millingen e poi nel 1843 di quelle del British Museum di Londra 31.

La laminetta, sembra essere stata ripiegata quattro volte verticalmente e almeno una orizzontalmente in modo da produrre un rettangolino di cm 1,3 5 x 1, forse da inserire, secondo alcuni (in particolare M. Guarducci), nella bocca del defunto.

La lamina di Petelia così come si presenta presso il British Museum.
Per la foto si ringraziano gli alunni del Liceo Classico Pitagora di Crotone.
Vedere anche la foto associata alla scheda del British Museum: https://www.britishmuseum.org/collection/object/G_1843-0724-3

La tomba, in cui la lamina era stata originariamente collocata fu probabilmente vittima di tombaroli durante il II o III secolo d.C., quando la lamina fu tagliata ed inserita in un cilindretto appeso ad una catenella d’oro, un amuleto che avrebbe circondato il collo – molto sottile, considerate le dimensioni della catenella – di un defunto 32. Chi indossava questo amuleto era probabilmente ignaro del suo messaggio, o non considerava il testo in sé di alcuna importanza, dal momento che la tavoletta d’oro fu prima piegata quattro volte e poi tagliata in due, piegata quattro volte e poi tagliata in uno degli angoli, creando così due grandi lacune nelle ultime righe di testo, per poter essere inserita in un amuleto.

L’uso di testi magici o o “gnostici” nei cilindri non era insolito nel periodo romano, un’età in cui la moda delle capsule porta-amuleti godette largo favore 33 34. Questo discusso legame con l’astuccio e la collana d’oro di età imperiale II-III sec d.C: con cui si riteneva fosse stata rinvenuta, è stato a ragione smentito da M. Guarducci 35, pur creando delle difficoltà nella valutazione. La differenza di età fra la laminetta e il suo creduto astuccio apre poi la possibilità, ammessa dallo Zuntz, che la laminetta possa provenire da un’altra località della Magna Grecia36; d’altra parte M.Guarducci considera poco probabile che qualcuno in età imperiale 6 secoli dopo abbia ritrovato la lamina e l’abbia infilata nell’astuccio; in sostanza afferma che i due reperti e la lamina e l’astuccio abbiano storie indipendenti, e che l’inserimento dell’uno nell’altro possa essere avvenuto in un qualunque tempo, anche nello stesso 1836.

Fondando la datazione della laminetta solo su criteri paleografici, cioè sullo studio della scrittura, la laminetta viene datata alla prima metà del IV secolo 37.

Così continua Roberto Spadea: “La laminetta è di grande importanza non solo per il contenuto, quanto perché attesta nella prima metà del IV secolo a.C. la presenza di una comunità evoluta ed aperta a correnti filosofiche e religiose assai avanzate, segno di gruppi e circoli aristocratici molto probabilmente conviventi con l’ethnos lucano. Stanti queste premesse e il contesto in cui è stata prodotta la lamina orfica petelina è da dire e ripetere che la profonda ellenizzazione dell’abitato brettio di Petelia, al quale viene riferita la documentazione archeologica raccolta e nota in questi ultimi decenni (anche se lacunosa e frammentaria), non può non avere profonde radici in loco. Basterebbe per questo ricordare che a Petelia il nucleo greco è parte rilevante del collettivo cittadino e gioca un ruolo considerevole fino all’ultimo, quando – fonte Appiano – verrà messo in salvo e poi rimpatriato dai Romani“.

Ulteriore esempio dell’ellenizzazione dell’abitato brettio di Petelia è la famosa epigrafe dei ginnasiarchi di cui si è parlato in altro articolo.

Petelia, in età arcaica era il più importante dei piccoli centri di un comprensorio originariamente anellenico, ma che aveva fortemente risentino dell’influenza dello stato crotoniate, particolarmente dopo la caduta di Sybaris. Tuttavia nella prima metà del IV secolo in questione l’area di Petelia fu coinvolta nel processi di espansione dei Lucani verso la costa ionica, che nel 389 portò ad un primo attacco nei confronti di Thurii 38. A questo contesto crononologico risale la notizia di Strabone che fa di Petelia la metropolis dei Lucani; a quest’epoca perciò l’influenza di Kroton su Petelia è più culturale che politico-militare. Quanto esposto fa pensare che lamina si trovi a Petelia per il legame con l’ambiente pitagorico, forse riconducibile all’influsso della vicina Crotone a cui aderirono anche aristocratici Lucani come appunto ci ricordano le fonti, facenti riferimento a membri dell’aristocrazia lucana legati al circolo pitagorico crotoniate già fra VI e V sec. a.C.. Dunque la lamina potrebbe far parte del corredo di una tomba di qualche personaggio eminente dell’aristocrazia lucana che aderiva agli ambienti pitagorici 39.

Le lamine d’oro: sono orfiche e (oppure) pitagoriche?

Sebbene le prime laminette fossero state scoperte quarant’anni prima, la ricerca su di esse non iniziò davvero fino al 1879, quando furono scoperte quattro tombe contenenti lamelle d’oro a Thurii ciascuna contenente versi criptici40. Domenico Comparetti (1835-1927), eminente classicista, collegò le tavolette di Thurii a tavolette scoperte quarant’anni prima nella vicina Petelia e fu il primo a sostenere che queste fornissero prove “per i principi fondamentali della dottrina orfica sulla psicogonia e la metempsicosi” 41. Comparetti associa le tavolette di Thurii utilizzando il mito di Olimpiodoro che raccontando “lo smembramento di Dioniso Zagreo da parte dei Titani e la successiva creazione dell’umanità 42 43. Comparetti (1835-1927), nel definire le lamine come appartenenti ai culti misterici Orfici e Bacchici-dionisiaci, disdegna una prevedibile associazione con le idee pitagoriche. Studi successivi di A.Dieterich e E. Rhode invece non ignorano il possibile influsso pitagorico. Studi di Comparetti successivi, del 1903 sulla lamina di Roma, e del 1910 sulle prime quattro lamelle cretesi, portano ad “un’espansione del range geografico e temporale dalla Magna Grecia, rendendo sempre più difficile associare alle lamelle una interpretazione (esclusivamente) pitagorica”.

Un punto si svolta si ebbe con la pubblicazione curata da Günter Zuntz nel 1971 44, che evidenziando il ciclo di reincarnazioni, in un gruppo di lamelle, associava in maniera più decisa le lamine non all’orfismo, ma alle teorie pitagoriche 45.

Ancora una volta è l’archeologia a far riprendere il dibattito: nel 1962 viene scoperto il Papiro Derveni, che fornisce nuovi elementi per la conoscenza della teogonia e dell’antropogonia Orfica; e nel 1973 nuovi scavi portarono alla luce a Vibo Valentia la lamina Hipponion, presentata da Giovanni Pugliese Carratelli nell’annuale conferenza Magna Grecia a Taranto, che presentava la descrizione più elaborata del mondo infero, e poneva l’iniziato insieme agli altri “iniziati e bacchoi”, menzione dalla quale risultava evidente che non solo il testo apparteneva ad un culto misterico, ma ad un culto misterico orfico-dionisiaco. Lo stesso Pugliese Carratelli nel 2001 pubblica “Le lamine d’oro orfiche. Istruzioni per il viaggio oltremondano degli iniziati greci” facendo il punto sulle diverse interpretazioni che negli anni si sono succedute e avanza l’ipotesi che gran parte di queste iscrizioni, finora «genericamente classificate come documenti dell’orfismo», siano intimamente legate alla scuola di Pitagora. In una notazione di Pugliese Carratelli allude a possibili affinità della dottrina pitagorica che si svolgeva in Magna Grecia in contemporaneità in India «nella predicazione del Buddha (il quale) indicava nella tensione intellettuale verso il nirvana la liberazione dal reiterarsi delle esistenze prodotto dalla trsna, la sete (di vivere)» 46.

Quali sono i legami delle lamine con la dottrina pitagorica (sintesi da Luigi Battezzato – Le vie dell’Hades e le vie di Parmenide. Filologia, filosofia e presenze femminili nelle lamine d’oro “orfiche” (2005)) ?

Innanzitutto bisogna ricordare che le tavolette della Magna Grecia furono ritrovate in aree geograficamente non lontane da Crotone, dove visse Pitagora (Hipponion, Petelia, Thurii), ed dove si diramò l’influenza della sua dottrina nei decenni successivi sotto l’influenza dei discepoli della sua scuola. Si tratta delle lamine con il formulario più lungo, e più antiche (IV secolo).

Vari studiosi hanno indicato punti di contatto tra dottrine pitagoriche e la religiosità espressa nelle lamine. Alcuni passaggi dei Versi aurei 47, sembrano esplicitamente richiamare il contenuto delle lamine Mnemosynee, come ad es.: “Coloro i quali sono capaci di vivere secondo questi princípi riusciranno a trascendere il limite umano e a diventare dèiUna volta lasciato il corpo verso l’etere salirai libero. Sarai un dio immortale e incorrotto non più mortale …”

G. Pugliese Carratelli ricollega agli ambienti pitagorici l’importanza di Mnemosyne nelle tavolette, e ricorda il frammento del pitagorico Alcmeone (24 B 2 DK) secondo cui «per questo muoiono gli uomini, perché non possono ricongiungere il principio con la fine».

Zuntz insisteva sull’importanza della dottrina pitagorica, e cercava (vanamente) di eliminare ogni riferimento dionisiaco dalla religiosità delle lamelle. Kingsley e Edmonds hanno recentemente discusso altri particolari della concezione pitagorica in relazione con le lamine, sottolineando alcuni collegamenti e alcune differenze.

La dottrina delle metempsicosi (μετεμψύχωσιν) – di cui per primo parla Diodoro Siculo (X,6,l) 48, comune anche all’orfismo sembra richiamarsi nella formula «volai via dal cerchio che dà affanno e pesante dolore» in una delle lamine provenienti dal «Timpone piccolo» di Thurii 49, è noto che Pitagora è il primo greco ad aver insegnato la metempsicosi.

Tuttavia, Burkert evidenzia che nel periodo in cui furono scritte le lamine d’oro in Magna Grecia il Pitagorismo era “un fenomeno marginale, una corrente sotterranea che si manifestava in forme mutevoli” (i Pitagorici furono cacciati da Crotone nel V secolo a.C. in circostanze alquanto drammatiche); in particolare, per Thurii, sembra difficile immaginare che i suoi abitanti abbiano scelto di onorare i morti con tombe a tumulo sotto la diretta azione di una comunità pitagorica, ovvero è più probabile che la comunità misterica di Thurii sia stata ispirata anche dalle dottrine dei Pitagorici, ma che traesse le proprie convinzioni da altri correnti religiose-filosofiche orfico-dionisiache presenti nell’area della Magna Grecia 50.

A proposito del materiale delle lamine, A.Mele sottolinea aspetti estetici, caratterizzanti l’abbigliamento di Pitagora, evidenziando il rapporto tra materiale aureo, abbigliamento e simbologie evocanti l’armonia cosmica, ravvisando una componente purificatoria dell’oro nel suo impiego da parte dei Pitagorici51.

Un altro aspetto è dato dai possibili legami con l’Egitto. E’ ben noto che le lamine orfiche hanno paralleli importanti nel Libro dei morti egiziano risalente al periodo del Nuovo Regno (1570-1085 a. C.) 52. Diodoro Siculo offre una lunga lista di personaggi che giunsero in Egitto, e ne acquisirono gli elementi culturali, importandoli in Grecia; tra questi personaggi spicca il ruolo di Orfeo; lo storico scorge ed enumera una folta schiera di analogie tra l’ “oltremondo” orfico e i riti funerari egizi53. D’altra parte, è opinione diffusa che la sapienza di Pitagora derivasse dall’Egitto, come ricordano Erodoto ed Isocrate in passi famosi.
Anche Harrison54 ipotizzando che tutti i misteri greci avessero avuto origine dall’Egitto attraverso Creta, suppone che anche Pitagora avesse adattato alcuni di questi di Creta durante il suo soggiorno nell’isola, prima di recarsi in Italia meridionale. A Crotone istituì i misteri pitagorici le cui dottrine, sosteneva Harrison, si riflettono (anche) nelle tavolette d’oro trovate nelle “tombe dei discepoli di Pitagora”55.

In conclusione, sembra chiaro che gli autori delle lamine auree, nel presentare la geografia dell’aldilà, si avvalgono di schemi di pensiero attestati in alcuni pensatori presocratici, in particolare i pitagorici.

Conclusioni

Questo articolo non è un saggio esaustivo sull’argomento, ma vuole offrire elementi diversi che rappresentano i diversi spunti di analisi di questo importante reperto proveniente dal territorio di Petelia.

In breve:

  1. Il reperto proviene certamente dal territorio di Strongoli; il contesto di rinvenimento non è del tutto noto, ma d’altra parte siamo agli albori degli scavi archeologici. Dal 1843 si trova a Londra.
  2. Le analisi filologiche, filosofiche sul testo hanno raggiunto un notevole approfondimenti solo negli ultimi 40 anni, grazie anche ad una lettura comparata delle lamine provenienti da diverse località del Mediterraneo.
  3. Il contenuto dela lamina offre numerosi spunti per la conoscenza della cultura religiosa del mondo antico greco precristiano
  4. Le interpretazioni degli studiosi sembrano tutt’altro che definitive
  5. Appare evidente il legame con il pensiero pitagorico
  6. La laminetta attesta che nella prima metà del IV secolo a.C. a Petelia c’è la presenza di una comunità evoluta ed aperta a correnti filosofiche e religiose assai avanzate.
  7. La laminetta attesta la profonda ellenizzazione dell’abitato brettio di Petelia.

Non abbiamo riportato, per brevità ulteriori elementi provenienti da altre pubblicazioni, molto complesse e specialistiche, difficili da esporre in un costesto divulgativo.

Per approfondire:

Note

  1. Cecilia De Martino, Tesi “Ai confini del mondo, Topografie infere nell’immaginario greco”, 2020, pp. 4-11; consulta in Academia.edu o in B.D. del GAK[]
  2. Maurizio Bonanno, La Laminetta Orfica di Hipponion e la definitiva rivelazione dei Rituali Orfici, 2017 in ArteFair.it.[]
  3. “Le tracie donne, che a vendetta mosse da’ suoi rifiuti, e da furor sospinte In mezzo a i sagrificii a le notturne Orgie di Bacco il trucidar, spargendo pei vasti campi i lacerati membri”. Virgilio, Georgiche, Libro IV, v. 781-785. “Seguendo il lor sacrilego costume, le donne incrudelite, e furibonde, mandato il corpo del poeta in quarti, Sparser le varie membra in varie parti.” Ovidio, Metamorfosi, Libro XI[]
  4. Virgilio nelle Georgiche, Ovidio nelle Metamorfosi, Robert Graves, vedere i dettagli in Niccolò Renzi, “Orfeo, Euridice e le Menadi”, in Storie parallele.it []
  5. Giovanni Pugliese Carrateli, “Orfeo e orfismo in Magna Grecia”, in Miti Greci, Archeologia e pittura dalla Magna Grecia al collezionismo a cura di G.Sena Chiesa e Ermanno A. Arslan, 2004, pp. 251[]
  6. Guido Calogero “Orfismo” in Treccani Enciclopedia Italiana, 1935[][]
  7. Totenpass è un termine tedesco che può essere inteso come “passaporto per l’aldilà”; da https://en.wikipedia.org/wiki/Totenpass[]
  8. precisamente a Thurii in due grandi sepolcreti a tumulo denominati “Timpone grande” e “Timpone piccolo”[]
  9. “Un sepolcro di Hipponion e un nuovo testo orfico”, Parola del passato 29, 1974, pp. 108-126.[]
  10. R. Merkelbach, ‘Ein neues orphisches Goldblattchen’, Zeitschr. f. Pap. u, Epigr. 25, 1977, p. 276[]
  11. Orfismo” in Dizionario di filosofia Treccani, 2009[]
  12. Da “I Misteri orfici”(perfettaletizia.it) []
  13. Orfismo” in Dizionario di filosofia Treccani, 2009[]
  14. Ana Isabel Jiménez San Cristóbal, “Usi dell’oro e del piombo nei testi religiosi greci”, in “Funzioni e simbologie dell’oro nelle culture del Mediterraneo antico”, Napoli 2014, pp. 233-247. Consulta in Academia.Edu o in Biblioteca Digitale[]
  15. Marisa Tortorella Ghidini, “Aurum, Tra parola e cosa”, in “Funzioni e simbologie dell’oro nelle culture del Mediterraneo antico”, Napoli 2014, pp. 7-10. Consulta in Biblioteca Digitale[]
  16. https://it.wikipedia.org/wiki/Lamine_orfiche[]
  17. Ana Isabel Jiménez San Cristóbal, 2014, Op. cit, p. 236[]
  18. M.T.Ghidini – Figli della terra e del cielo stellato. Testi orfici con traduzione e commento, 2006, p. 53-54[]
  19. Simona Dri – “Son figlio della terra e del cielo stellato” (2018) [][]
  20. Meilina Runzi, Passports for the Afterlife: Orphic Totenpässe, 2015, p. 12[]
  21. Nuccio DAnna – Da Orfeo a Pitagora. Dalle estasi arcaiche allarmonia cosmica (2010), p. 108-109[]
  22. Nuccio DAnna – Da Orfeo a Pitagora. Dalle estasi arcaiche allarmonia cosmica (2010), p. 116-117[]
  23. Annunziata Rositani – Influenze e analogie tra culti orientali e orfismo in Magna Grecia, 2013[]
  24. Franco Ferrari, La fonte del cipresso bianco, Torino 2007, p. 127[]
  25. Luigi Battezzato – Le vie dell’Hades e le vie di Parmenide. Filologia, filosofia e presenze femminili nelle lamine d’oro “orfiche” (2005); l’autore analizza lungamente queste differenze e ne propone delle spiegazioni[]
  26. Il legno di cipresso è pregiato, di eccellente qualità: forte, durevole, con variazioni dimensionali contenute che lo rendono molto stabile; viene utilizzato per infissi esterni, per costruire mobili, per lavori di artigianato e nelle costruzioni navali, per la sua eccezionale resistenza anche in ambienti umidi o all’esterno. E’ inattaccabile dai tarli e l’odore della sua resina tiene lontano gli insetti, specie le temutissime tarme. Rif. Casini Legnami[]
  27. https://www.monaconatureencyclopedia.com/cupressus-sempervirens/[]
  28. W. Burkert – Le laminette auree: da Orfeo a Lampone, 1975, in Atti CSMG “Orfismo in Magna Grecia”[]
  29. Franco Ferrari, La fonte del cipresso bianco, Torino 2007, pp. 129-130[]
  30. sintetizzate in Cecilia De Martino, 2020, op. cit., pp. 71[]
  31. https://en.wikipedia.org/wiki/Petelia_Gold_Tablet []
  32. Margherita Guarducci – Laminette auree orfiche, alcuni problemi, 1983, pp. 73-74[]
  33. Stian Torjussen – Metamorphoses of Myth. A Study of the Orphic Gold Tablets and the Derveni Papyrus, 2008, rif. i nota n. 90 pp. 26-27. Consulta in Academia.edu o B.D. del GAK[]
  34. rif. anche in M.Guarducci, Laminette auree orfiche, alcuni problemi, 1983, p. 9, nota 9[]
  35. Giulia Colugnati – Il territorio di Filottete (2012) []
  36. rif. anche in M.Guarducci, Laminette auree orfiche, alcuni problemi, 1983, p. 74-75[]
  37. M. Guarducci, Epigraphica XXXV 1974, pp. 15-17[]
  38. Diodoro Siculo, XIV 101-102[]
  39. Giulia Colugnati – Il territorio di Filottete, 2012[]
  40. Meilina Runzi, Passports for the Afterlife: Orphic Totenpässe, 2015, p. 4[]
  41. Edmonds III, Radcliffe G. The ‘Orphic’ Gold Tablets and Greek Religion: Further Along the Path. Cambridge University Press, 2011[]
  42. Edmonds III, Radcliffe G. “A Curious Concoction: Tradition and Innovation in Olympiodorus'” Orphic” Creation of Mankind.” American Journal of Philology 130, no. 4 (2009): 511-532. Secondo il racconto narrato dal poeta Nonno di Panopoli nel libro VI delle Dionisiache, Zagreo era figlio di Persefone e Zeus Katakthonios; per lui Zeus aveva una particolare predilezione e l’aveva destinato a regnare su tutto l’universo. I Titani vennero a sapere delle intenzioni di Zeus ed informarono Hera, che, gelosa, ordinò loro di far sparire il bambino; i Titani lo attirarono con doni (una trottola, un rombo, una palla, uno specchio ed un astragalo), ma Zagreo cercò di fuggire trasformandosi in vari animali, fino a quando, diventato un toro, i Titani lo catturarono, lo fecero a pezzi e lo divorarono. Il cuore di Zagreo è tuttavia salvato da Atena e portato a Zeus; questi lo mangia e poi un nuovo Dioniso e colpisce col fulmine i Titani, dalle cui ceneri nasce il genere umano. Questo mito, contiene “tutti gli elementi fondamentali dell’antico sacrificio dionisiaco” e ha subito nell’orfismo un’elaborazione dottrinale per cui esso divenne il “dogma centrale”. Rif. Treccani[]
  43. Stian Torjussen – Op. cit., 2008, p. 17[]
  44. G. ZUNTZ, Persephone. Three Essays on Religion and Thought in Magna Graecia, Clarendon Press, Oxford, 1971[]
  45. Cecilia De Martino, 2020, op. cit., pp. 60-65[]
  46. https://www.adelphi.it/libro/9788845916632[]
  47. I “versi aurei” costituiscono l’essenza dell’insegnamento Pitagorico; essi non sono direttamente riferibili al filosofo, ma costituiscono una “summa” dei dogmi della “scuola italica”, messa per iscritto dai Pitagorici che seguirono la via del maestro dopo la morte di quest’ultimo, per istruire coloro che sarebbero venuti dopo di loro.[]
  48. Diodoro Siculo X,6,l – Ὅτι Σερούιος Τύλλιος Ταρκυνίου ἐπιθεμένου παραγενηθεὶς εἰς τὸ βουλευτήριον, καὶ θεασάμενος τὴν καθ’ ἑαυτοῦ παρασκευήν, τοσοῦτον μόνον εἶπε, Τίς ἡ τόλμα, Ταρκύνιε; ὁ δὲ ὑπολαβών, Ἡ μὲν οὖν σή, φησί, τίς, ὃς δουλέκδουλος ὢν Ῥωμαίων βασιλεύειν ἐτόλμησας καὶ τῆς τοῦ πατρὸς ἡγεμονίας ἡμῖν προσηκούσης παρὰ νόμους ἀφείλου τὴν οὐδὲ καθ’ ἕνα σοι τρόπον ἐπιβάλλουσαν ἀρχήν; ταῦτα λέγων ἅμα προσέδραμε καὶ δραξάμενος τῆς τοῦ Τυλλίου χειρὸς ἔρριψεν αὐτὸν κατὰ τῆς κρηπῖδος. καὶ διαναστὰς καὶ χωλεύων διὰ τὸ πτῶμα ἐπεχείρησε φυγεῖν, ἀπεκτάνθη δέ. (Exc. Vat. p. 29.)
    (Trad.) “Che Pitagora glorificava la metempsicosi e il mangiare carne come abominevoli, dicendo che le anime di tutti gli animali dopo la morte entravano in altri animali; e che lui stesso era ricordato ai tempi di Troia come Euforbone, figlio di Panto, nato e cresciuto sotto Menelao.” []
  49. Giovanni Casadio, La metempsicosi tra Orfeo e Pitagora, 1991[]
  50. S.Torjussen 2008, op. cit., pp. 54-56[]
  51. Alfonso Mele, “L’oro di Pitagora”, in “Funzioni e simbologie dell’oro nelle culture del Mediterraneo antico”, Napoli 2014, pp. 279-290[]
  52. Le indicazioni delle lamine sembrano culturalmente provenire sia dall’Egitto da dal pitagorismo. Il morto, «inaridito dalla sete», beve «acqua fredda che sbocca dal lago del ricordo»; una formula che da tempo è stata comparata la formula «Che Osiride dia l’acqua fredda» che sta scritta su lapidi della tarda antichità; la distanza cronologica è tuttavia assai grande. Molto più importante è la corrispondenza con certi passi del Libro dei Morti egiziano. Questo non soltanto offre l’esempio evidente di come si dava al morto un viatico scritto che indicasse la via all’aldilà, ma fa pure un riscontro straordinariamente preciso al dialogo coi custodi: «Chi sei? Da dove vieni?» — «Sono un figlio della terra e del cielo stellato» sulle laminette; «Chi sei? Cosa sei? Da dove venisti nell’aldiquà?» —«Sono uno di voi!» nel testo egiziano.[]
  53. Carmine Pisano, “Riformulare la tradizione: un’antropologia oltremondana orfica“, in “Sulle Rive dell’Acheronte, Costruzione e Percezione della Sfera del Post Mortem nel Mediterraneo Antico, Roma, 2014, pp. 99-108[]
  54. Harrison, J. E., Prolegomena to the study of Greek religion. Princeton, N.J., Princeton
    University Press, 1991[]
  55. S.Torjussen 2008, op. cit., p. 54[]