La stele di Annibale al Lacinio

Abstract

Il promontorio di Capo Lacinio ed il Santuario di Hera a Crotone, sono stati luoghi di grande importanza storica, religiosa e strategica. Durante la Seconda Guerra Punica, il generale cartaginese Annibale eresse una stele autocelebrativa presso il tempio di Hera Lacinia, che era un santuario di primaria importanza nella Magna Grecia. Questa stele, ricordata da fonti storiche come Polibio e Livio, era un’iscrizione celebrativa in lingua punica e greca che evidenziava le imprese militari di Annibale. Il tempio del Lacinio ritorna più volte nell’opera di Tito Livio, “Ab Urbe Condita”, come elementi di una complessa narrazione che riflette le tensioni politiche, morali e culturali del suo tempo, nonché le istanze di continuità ideologica del progetto augusteo. Il tempio, da centro religioso e culturale diventa teatro di scontri e simboli del potere, e si rivela un nodo centrale nella complessa rappresentazione della storia romana.

Introduzione

La seconda guerra punica è stata, dal punto di vista storico, non tanto come uno scontro tra due città, ma come uno scontro tra due uomini, i due protagonisti: Annibale e P. Cornelio Scipione.

Le notizie sul primo sono, ovviamente, molto parziali e molto di parte; i racconti storici in lingua greca di parte punica, come l’opera degli storici Sileno e Sosilo, che probabilmente erano al seguito dell’esercito cartaginese, come scrive Cornelio Nepote (Corn. Nep., Hann., 13, 4), sono andati persi1. Non rimane altro, quindi, che il quadro che gli storici di parte romana fanno di Annibale.

Ma non è della figura di Annibale che vogliamo parlare adesso, nè dei diversi episodi attinenti Crotone in relazione alla seconda guerra punica, di cui si parla in diversi articoli ed in diverse pubblicazioni, di questo sito. Qui ci vuole affrontare la questione della stele che, secondo le fonti antiche Annibale avrebbe fatto erigere presso il santuario del capo Lacinio.

Si tratterebbe del punto finale di un percorso che Livio indica come utrum Hannibal hic sit aemulus itinerum Herculis, ut ipse fert? (Liv, XXI, 41,7), cioè sarebbe lo stesso Annibale che pretenderebbe di essere un emulo di Heracles, in particolare del suo mitologico viaggio dalla Spagna all’Italia nell’ambito della decima fatica.
Livio presenta Annibale non solo come un eroe che affronta sfide titaniche, simili a quelle di Heracles, compie un’impresa ardua attraversando le Alpi, vince battaglie con i nemici, ma anche la resistenza delle popolazioni locali. Ma è anche un “eroe culturale, che lascia i suoi segni sul territorio. Insomma, un personaggio eroico, un nemico che viene mitizzato, nell’ottica della retorica romana, allo scopo di esaltare indirettamente la grandezza di Roma vittoriosa contro di lui.

Questo per molti spiega la scelta di Annibale di collocarsi al Lacinio nella fase finale della sua avventura in Italia, poichè qui, secondo una certa tradizione il semidio ne avrebbe fondato il tempio di Hera 2 e predetto la fondazione di Crotone. Così in;

(Eneide III, 552) … attollit se quia adpropinquantibus aut recedere montes videntur, aut surgere diva
lacinia contra Iunonis Laciniae templum, secundum quosdam a rege conditore dictum, secundum alios a latrone Lacino, quem illic Hercules occidit, et loco expiato Iunoni templum constituit. alii a promontorio Lacinio, quod Iunoni Thetis dono dederat, †quod ante Troicum bellum conlaticia pecunia reges populique fecerunt. quidam dicunt templum hoc Iunonis a Lacinio rege appellatum, cui dabat superbiam mater Cyrene et Hercules fugatus; namque eum post Geryonem extinctum de Hispania revertentem hospitio dicitur recipere noluisse, et in titulum repulsionis eius templum Iunoni tamquam novercae, cuius odio Hercules laborabat, condidisse. in hoc temploilludmiraculifuissedicitur, ut si quis ferro in tegula templi ipsius nomen incideret, tamdiu illa scriptura maneret, quamdiuis homo viveret, qui illud scripsisset.

La stessa tradizione è riportata anche da altri autori. Diodoro Siculo (IV 24, 7), Giamblico (VP, 50) e Ovidio (Met., XV 12-40) 3

D’altra parte Crotone, era a poca distanza ed era occupata dagli alleati Brettiii dopo l’abbandono dall’aristocrazia greca – che si erano in gran parte trasferiti a Locri – e impianto portuale gli avrebbe permesso di imbarcarsi quando avesse voluto.

L’altare in Tito Livio

E’ in questo suo desiderio di emulazione e di rispetto verso i culti di Heraklés e di Hera praticati al Lacinio, anche per quello che rappresentavano per gli alleati greci e brettii, che si collocherebbe il riguardo di Annibale verso il tempio di Hera Lacinia, ove fece incidere su una stele (aram per Livio, στήλη per Polibio) in greco e punico, il racconto delle sue gesta

Così in Tito Livio, Ab urbe condita, 28.46.16:

(LA) «[16] propter Iunonis Laciniae templum aestatem Hannibal egit, ibique aram condidit dedicavitque cum ingenti rerum ab se gestarum titulo, Punicis Graecisque litteris insculpto(IT) «[16] Annibale trascorse l’estate vicino al tempio di Giunone Lacinia, dove eresse e dedicò un altare con un’iscrizione incisa in caratteri punici e greci, che esponeva, in termini pomposi, i risultati che aveva eseguito

Perchè punico ed il greco ? Bè la prima è la sua lingua, mentre per il greco c’è da osservare che Annibale si era nutrito di cultura greca, aveva imparato il greco, fino a parlarlo discretamente, dallo spartano Sosilo che lo aveva poi accompagnato per tutta la guerra e ne avrebbe scritto la storia (Corn. Nep. Hann. 13)4. Ma d’altra parte il greco era la lingua dei greci di Crotone, conosciuta anche dagli alleati Brettii, verso cui era evidentemente diretta la sua strategia comunicativa, un importante impegno propagandistico che si affiancava allo sforzo militare: la “Magna Grecia diventa in questo modo il palcoscenico per la performance (comunicativa) annibalica, che viene portata avanti proprio in funzione dei grecofoni dell’Italia meridionale5.

Ma il fatto che l’iscrizione bilingue, anche in greco, sia dedicata all’interno di un ‘templum augustissimum‘, sembra dimostrare al di là di ogni dubbio che il messaggio di Annibale è rivolto proprio al mondo greco, forse non solo locale. Dobbiamo ricordare infatti l’allenza che Annibale aveva stipulato con Filippo V di Macedonia qualche anno prima, precisamente nel 215 a.C. proprio al Lacinio, quando, dopo la battaglia di Canne, Annibale sembrava sul punto di conquistare Roma, mentre Filippo V di Macedonia, che temendo l’espansione romana verso oriente, sperava di poter sfruttare l’indebolimento della repubblica romana per raggiungere un ruolo dominante tra i regni ellenistici6.

Quello che è sicuramente evidente è la mancanza del latino, un chiaro atteggiamento di netto rifiuto della realtà romana, in favore del suo mondo culturale di provenienza e del mondo greco occidentale.

La stele (o tavoletta) in bronzo in Polibio

Della stele, andata perduta, aveva scritto circa un secolo prima lo storico greco Polibio 7; importante componente della Lega achea, dopo la battaglia di Pidna (168 a.C.) con la quale Roma conquistò il Regno di Macedonia di Perseo, venne inviato nel 166 a.C. a Roma come ostaggio. A Roma però divenne amico degli Scipioni e fece numerosi viaggi in Italia, Gallia, Spagna. 

Durante uno questi viaggi, Polibio probabilmente visitò il santuario di Hera Lacinia e qui lesse l’iscrizione lasciata da Annibale a ricordo delle sue imprese, dalla quale trasse dati e notizie utili per la scrittura della sua Storia romana, tra cui la formazione e l’esatta consistenza dell’esercito del cartaginese 8.

Anche se, in quanto amico degli Scipioni, Polibio non era romano e i suoi scritti erano intesi per lettori greci. Ma Tito Livio lo utilizzò come fonte e le sue Storie ebbero influenza anche su Cicerone.

Nelle Storie, Polibio enumera accuratamente la consistenza delle truppe cartaginesi in campo durante la seconda guerra punica (III, 33, 9-16) e dice che non ci si deve stupire di tale precisione (III, 33, 17) poichè afferma di aver utilizzato le notizie che lo stesso Annibale ha riportato nell’iscrizione:

(Plb. III 33, 17-18)

17. Οὐ χρὴ δὲ θαυμάζειν τὴν ἀκρίβειαν τῆς ἀναγραφῆς, εἰ τοιαύτῃ κεχρήμεθα περὶ τῶν ὑπ’ Ἀννίβου κατ’ Ἰβηρίαν πεπραγμένων οἵᾳ μόλις ἂν χρήσαιτό τις αὐτὸς κεχειρικὼς τὰς κατὰ μέρος πράξεις, οὐδὲ προκαταγινώσκειν, εἰ πεποιήκαμεν παραπλήσιον τοῖς ἀξιοπίστως ψευδομένοις τῶν συγγραφέων.

18. ἡμεῖς γὰρ εὑρόντες ἐπὶ Λακινίῳ τὴν γραφὴν ταύτην ἐν χαλκώματι κατατεταγμένην ὑπ’ Ἀννίβου, καθ’ οὓς καιροὺς ἐν τοῖς κατὰ τὴν Ἰταλίαν τόποις ἀνεστρέφετο, πάντως ἐνομίσαμεν αὐτὴν περί γε τῶν τοιούτων ἀξιόπιστον εἶναι· διὸ καὶ κατακολουθεῖν εἱλόμεθα τῇ γραφῇ ταύτῃ.

(Plb. III 33, 17-18)9

17. Non bisogna meravigliarsi se ci siamo impegnati in una descrizione così dettagliata delle azioni compiute da Annibale in Iberia, una descrizione che a stento avrebbe potuto fare uno che avesse messo mano personalmente fin nei particolari a ciascuna di quelle azioni; né bisogna condannarci in anticipo, se abbiamo agito in modo simile a quegli storici che dicono menzogne dandogli parvenza di attendibilità.

18. Infatti, avendo trovato al capo Lacinio questa iscrizione redatta da Annibale su una tavoletta di bronzo (ἐν χαλκώματι), iscrizione risalente a quel periodo in cui Annibale soggiornò in questi luoghi dell’Italia, abbiamo ritenuto che su tali fatti questa fosse pienamente attendibile; pertanto abbiamo deciso di prestare fede a questa iscrizione”.

La scelta di “seguire” (κατακολουθεῖν) il contenuto dell’iscrizione riflette il metodo storiografico di Polibio, basato sulla verifica diretta delle fonti. Egli ritiene che i documenti materiali siano strumenti validi per la comprensione degli eventi storici, integrandoli nella sua narrazione come prove concrete. Polibio, cioè, usa questo riferimento epigrafico per rafforzare la credibilità della sua esposizione storica, mostrando attenzione critica verso le fonti e preferendo dati concreti rispetto a narrazioni indirette. Inoltre è l’uso del verbo εὑρόντες (“avendo trovato”) suggerisce effettivamente che Polibio o le sue fonti dirette abbiano avuto accesso materiale all’iscrizione presso il santuario di Era Lacinia. Questo verbo implica un’esperienza diretta o, quantomeno, la consultazione di una testimonianza visiva concreta.

Inoltre, dopo aver dato conto della consistenza dell’esercito annibalico, scrive Polibio (III 56, 4): ὡς α ὐτὸς ἐν τ ῇστήλ ῃτῇπερ ὶτοῦπλήθους ἐχούσ ῃτὴν ἐπιγραφ ὴν ἐπὶ Λακινίῳ διασαφεῖ. “Come precisa egli stesso nella stele che si trova presso Capo Lacinio contenente l’iscrizione con l’ammontare dell’esercito”.

Non si può non notare che Annibale sceglie di scrivere sul bronzo, ἐν χαλκώματι, una parola che compare poche volte in Polibio10; forse Polibio precisa il tipo di materiale del supporto iscritto per evidenziarne l’intenzione di Annibale di farne un messaggio di carattere pubblico e celebrativo, su un supporto che ne esprimesse la stessa importanza; le iscrizioni su bronzo infatti, erano più costose rispetto ad altri materiali usati in età antica (legno, pietra) e spesso utilizzate per documenti importanti, leggi o decreti. Collocare un documento ufficiale in un luogo sacro come il santuario di Hera Lacinia aveva un chiaro valore propagandistico: Annibale cercava probabilmente di legittimare la sua presenza e ottenere il favore delle popolazioni locali, sfruttando il prestigio del santuario.

L’ultimo atto di un’autocelebrazione storiografica.

ll santuario di Hera Lacinia nell’opera di Livio

Tito Livio, attivo tra il 59 a.C. e il 17 d.C., si trovò a vivere e scrivere in un momento di profonda trasformazione della società romana, un’epoca di transizione tra la fine della Repubblica e l’avvento del Principato augusteo. Questa realtà storica e culturale influenzò in modo determinante la sua opera, “Ab Urbe Condita”, è un’ambiziosa narrazione della storia di Roma dalle sue origini leggendarie fino al suo tempo. In questo scenario, il tempio di Hera Lacinia, situato a Capo Lacinio presso Crotone, ritorna in diversi punti, assumendo un significato ricco e stratificato, diventando qualcosa di più di un semplice sfondo per gli eventi.

L’Influenza del Principato Augusteo. La storiografia di Livio si inserisce nel contesto della restaurazione dell’ordine e della tradizione romana promossa da Augusto. Dopo decenni di guerre civili, il nuovo regime cercava di legittimarsi attraverso il recupero dei mos maiorum, i valori tradizionali, e la celebrazione della grandezza di Roma. In quest’ottica, l’opera di Livio non si limita a una cronaca di eventi, ma si propone come uno strumento di educazione morale e patriottica, celebrando quelle virtù che avevano condotto Roma alla supremazia. Il racconto delle guerre puniche, in particolare, assume un ruolo centrale, evidenziando il confronto tra Roma e Cartagine, visto come uno scontro tra civiltà diverse e un monito sulla necessità di mantenere la virtù e la pietas.

Il Tempio di Era Lacinia: Valori Religiosi e Strategici. Il tempio di Hera Lacinia, uno dei più importanti luoghi di culto della Magna Grecia, non è una presenza casuale nell’opera di Livio. La sua menzione, soprattutto nel contesto della Seconda Guerra Punica, è significativa per diverse ragioni:

  • Valore Religioso e Tradizionale: Il richiamo al tempio di Hera Lacinia sottolinea il legame tra Roma e i culti tradizionali italici e greci. Livio enfatizza il rispetto per i luoghi sacri, un tema ricorrente in tutto il suo racconto, e pone l’accento sulla pietas come elemento fondamentale della cultura romana. Anche personaggi come Annibale, nonostante la loro ostilità nei confronti di Roma, vengono talvolta descritti come rispettosi nei confronti dei luoghi sacri, evidenziando l’importanza dei valori religiosi per tutte le civiltà antiche.
  • Simbolo di Continuità e Resilienza: Il tempio di Hera Lacinia diventa un simbolo di continuità culturale e religiosa, rappresentando la resilienza delle istituzioni sacre di fronte alle minacce esterne. Questa prospettiva si allinea con il progetto augusteo di restaurazione della pietas e dei culti tradizionali, che mirava a sanare le ferite della guerra civile attraverso il recupero di antichi valori. Livio, per mezzo della sua narrazione, pone quindi l’accento sulla capacità di Roma di conservare e valorizzare le proprie tradizioni, anche in tempi di conflitto.
  • Monito Morale e Politico: Il tempio funge anche da monito sulla necessità di rispettare i valori sacri e le istituzioni religiose per garantire la prosperità dello Stato. Livio usa questi richiami per promuovere una riflessione morale nei suoi lettori, esortandoli a conservare la virtus e la pietas che avevano reso Roma grande. Allo stesso modo, le vicende legate al sacrilegio di Fulvio Flacco, che pur di costruire un tempio più grande a Roma, profana il tempio di Era Lacinia, evidenziano i pericoli dell’ambizione personale e la necessità di rispettare il sacro.
  • Integrazione Culturale e Politica: Nel contesto dell’espansione romana, la valorizzazione dei templi come quello di Hera Lacinia diventava parte di un processo di integrazione culturale e politica. Non era solo un modo per affermare il dominio romano sul territorio, ma anche un mezzo per dimostrare la capacità di Roma di accogliere e preservare le tradizioni delle civiltà conquistate. Questo processo faceva parte della strategia di Augusto per la costruzione di un impero unificato e armonioso.

In sintesi, l’analisi del tempio di Era Lacinia nell’opera di Livio non può prescindere dal contesto storico e culturale in cui visse e scrisse. Il tempio diventa non solo un elemento narrativo e simbolico, ma anche uno strumento per trasmettere valori morali e politici, nonché per legittimare il potere romano nel contesto del principato augusteo.

In Livio dunque questo luogo non è solamente una costruzione fisica, testimonianza di un passato materiale, ma si rivela, piuttosto, un vero e proprio fulcro narrativo e simbolico11.

  • Centro Narrativo: In Livio, il tempio di Giunone non è un semplice sfondo per gli eventi storici, ma un elemento attivo che modella la narrazione. Esso compare ripetutamente, come un personaggio che riemerge in momenti cruciali della storia. La sua presenza non è mai casuale: segna transizioni, introduce conflitti e incarna temi centrali. Ad esempio, la sua apparizione all’inizio della campagna italiana di Annibale, il suo ruolo nella vicenda del sacrilegio di Flacco, e la sua trasformazione nel contesto dei combattimenti finali tra romani e cartaginesi, dimostrano come il tempio sia integrato nella trama come un filo conduttore. Livio utilizza questo spazio per creare un’eco narrativa, un luogo di ritorni e di connessioni tematiche che arricchiscono il suo racconto.
  • Simbolo di Transizione e Trasformazione: Il tempio di Giunone è un simbolo potente di transizione e trasformazione. La sua posizione geografica, ai margini della penisola italiana, lo rende un luogo di frontiera, sia fisica che culturale. Rappresenta il confine tra il mondo romano e il mondo esterno, tra la sfera di influenza di Cartagine e quella di Roma. In questo senso, il tempio è un punto di passaggio che riflette il mutamento degli equilibri di potere e l’espansione dell’influenza romana. Il suo passaggio da luogo sacro, di rispetto e di inviolabilità a teatro di atti sacrileghi e di violenza è simbolico della corruzione e della decadenza che Livio attribuisce anche alla società romana.
  • Incrocio di Prospettive e Interpretazioni: L’importanza simbolica del tempio deriva anche dalla sua capacità di essere interpretato da diverse prospettive. Per i romani, poteva rappresentare sia un punto di riferimento strategico che un simbolo di sacralità violata. Per Annibale, era un luogo dove poter lasciare un segno della propria presenza ma anche teatro della sua sconfitta, un sito da proteggere ma allo stesso tempo da distruggere. L’analisi del tempio come spazio in cui si intersecano e scontrano differenti prospettive permette di comprendere la complessità della costruzione narrativa di Livio.
  • Riflesso delle Tensioni Politiche e Morali: Come centro narrativo e simbolico, il tempio di Giunone riflette anche le tensioni politiche e morali che animano la storia di Livio. Il suo uso da parte di personaggi come Flacco, che lo profanano per scopi personali, dimostra come il sacro possa essere strumentalizzato per interessi politici e come la corruzione morale possa infiltrarsi anche nel cuore della repubblica romana. Analogamente, gli atti di violenza e sacrilegio che hanno luogo nel tempio rappresentano una critica alle azioni dei romani, al loro declino rispetto alla virtù.
  • Strumento di Integrazione e Controllo: Nella narrazione di Livio, la presenza romana nel tempio e nell’area circostante, come illustrata dalle azioni di generali come Livio Salinatore, segna anche un tentativo di integrare questo territorio e le sue popolazioni nella sfera d’influenza di Roma. La sacralità del luogo e il suo utilizzo strategico diventano parte del processo di romanizzazione e di controllo politico del territorio. La “romanizzazione” non si limita all’assimilazione politica ma include anche una “ri-definizione” della sacralità degli spazi, incorporandoli in un nuovo sistema di valori.

Note

  1. Alessandro Campus, Annibale e Scipione. Riflessioni storico-religiose sulla seconda guerra punica, in Rendiconti della Accademia dei Lincei, ser. IX, XIX (2008), pp. 121-182, link[]
  2. Claudia Santi – Gli dei di Annibale, in Polygraphia 2019, n.1[]
  3. 1 Sul rapporto tra il Lacinio e Herakles vedere in A. Mele, I culti di Crotone, in E. Lattanzi et al. (a cura di), Santuari della Magna Grecia in Calabria (Napoli, 1996), pp. 236-237.[]
  4. Giovanna De Sensi – Annibale, il Lacinio e l’ultima trincea sull’Istmo (2017), p. 171[]
  5. Su questi aspetti il lungo approfondimento di Alessandro Campus “3. Annibale come comunicatore” nell’articolo “Iscrizioni che non ci sono (più)“, in Aristonothos n. 17, 2021, pp. 287 e successive[]
  6. G. Brizzi, Ancora su Annibale e l’Ellenismo: la fondazione di Artaxata e l’iscrizione di Era Lacinia, in Atti del 1 Congresso internazionale di studi fenici e
    punici, cit., 1, p. 246[]
  7. Polibio è vissuto dal 206 circa al 124 a.C.; Tito Livio dal 59 a.C. al 17 d.C.[]
  8. Cesare Zizza, Le iscrizioni nelle Storie di Polibio: teoria e prassi dell’uso di materiale epigrafico per (ri-)scrivere la storia (2017), in Historikà[]
  9. Traduzione da: Alessandro Campus – “Iscrizioni che non ci sono (più)“, in Aristonothos n. 17, 2021, pp. 282-283[]
  10. Alessandro Campus, op. cit., 2021[]
  11. Mary Jaeger – Livy, Hannibal’s Monument, and the Temple of Juno at Croton, 2006[]