Introduzione
Si tratta di un particolare esemplare di lucerna fittile sorretta da figure femminili – con funzionalità di cariatide, ma nello stesso tempo di manico della lucerna – che si stringono i seni e che presenta lungo il bordo delle teste sporgenti.
Il nome degli esemplari venne attribuito perché alcuni di essi furono rinvenuti all’Heraion alla foce del fiume Sele, ma recentemente si è avanzata l’ipotesi che fossero una produzione originale della polis achea Crotone.
Le officine artigianali di Crotone producono, infatti, una notevole varietà di manufatti fittili che vengono esportate prevalentemente nell’ambito delle pòleis achee e nei loro territori, quali arnie, loutèria (braciere), lucerne del tipo della c.d. “lampada del Sele”, ecc. Nel corso del VI sec. e poi per tutta l’età classica, le tipologie elaborate nelle officine crotoniati riflettono una omogeneità peculiare di tutta l’area achea dell’Italia meridionale1.
L’iconografia della donna che sorregge i seni con entrambe le mani
L’iconografia della figura femminile che sorregge o stringe i seni (holding their breasts, Astarte gesture), con varianti come una mano al seno e l’altra al pube, è inizialmente diffusa in molte culture mediterranee antiche, inclusa l’Africa, e risalgono a periodi che vanno dal Paleolitico superiore al neolitico; si tratta di un tipo diverso dalle rappresentazioni della Dea madre o della Potnia Theron, in quanto si privilegia l’idea della fecondità che si concretizza in una dea della fertilità. Queste rappresentazioni sono considerate eredi dirette degli idoli neolitici e delle Ur-Ishtar dell’arte quaternaria2, influenzate da credenze magiche e apotropaiche3. Questa figura femminile, per lo più nuda, iconograficamente dipende totalmente dalle figure simili e più antiche della Mesopotamia e da influssi egiziani, e non ha quindi nulla che la possa individuare specificamente come Astarte4.
Proviene dalla Siria un calco datato al secondo millennio a.C. di tre dee nude che si tengono il seno5. I diversi elementi iconografici sembrano indichino le tre figlie o mogli del dio della tempesta Baal, mentre la presa o l’offerta dei seni da parte delle dee nude ha interpretazioni diverse: come un gesto materno e di nutrimento, come segno di fertilità, o di attrazione erotica 6.

Le rappresentazioni di una dea femminile nuda (nackte Göttin) che sorregge i suoi seni sono un tema iconografico significativo nell’archeologia di Cipro attestato fin dal periodo calcolitico (circa 3900-2500 a.C.). Queste figurine, spesso realizzate in terracotta o pietra, non solo riflettono la cultura e le credenze religiose dell’epoca, ma evidenziano anche l’importanza della fertilità e della maternità nella società cipriota. Queste rappresentazioni di dee nude, in particolare quelle che enfatizzano il seno e la fertilità, possono essere interpretate come simboli di vita e abbondanza, probabilmente utilizzate in contesti rituali per invocare la fertilità della terra e delle donne, sottolineando il ruolo centrale della donna nella società agricola dell’epoca. Pur con degli adattamenti alla cultura cipriota, è un’iconografia facilmente assimilabile alle rappresentazioni orientali della divinità riconosciuta in senso ampio come Inanna-Ishtar e, più precisamente, alle trasposizioni levantine di Anat ed Astarte del pantheon ugariticoi7.
A differenza del Vicino Oriente, tuttavia, le rappresentazioni di divinità nude e (pseudo)vestite che sostenevano i loro seni scomparvero completamente nell’iconografia cipriota alla fine dell’Età del Bronzo, quando fu introdotta la “dea con le braccia sollevate”, che divenne presto l’unica rappresentazione della dea nella scultura votiva cipriota nei santuari di tutta l’isola fino all’ottavo secolo a.C.8.
Tuttavia dal IX secolo a.C., il motivo dell’Astarte gesture ritorna popolare a Cipro, dopo che i Fenici si stabilirono a Kition, e ricostruirono i santuari dell’Antica Età del Bronzo, dedicandoli alla loro dea Astarte, che a partire dal I° millennio a.C. nel Vicino Oriente era divenuta la dea per eccellenza ed aveva assorbito tutte le altre divinità femminili. Dunque, i contatti con i Fenici e l’iconografia di Astarte contribuì a modificare l’immagine della dea cipriota, che fu nuovamente rappresentata nuda e in atteggiamenti caratteristici delle divinità della fertilità. Astarte, identificata qualche secolo dopo con la greca Afrodite, divenne una figura centrale nel pantheon cipriota. Ma dall’VIII secolo la forte influenza orientale sulla religione cipriota stava per essere di lì a poco neutralizzata dalla nuova mentalità che cominciò a diffondersi sull’isola attraverso i contatti con i Greci. I Ciprioti abbandonarono definitivamente le fattezze orientali della nuda Astar te e preferirono una dea dall’aspetto più solenne, una dea vestita che continuava, completamente dipinte, con vesti rosse bordate da bande nere. 9
Dal X/IX secolo a.C. iniziano i contatti commerciali tra la Grecia ed il Vicino Oriente, grazie all’attività marittima dei fenici e degli euboici. Durante questo tempo, i fenici stabilirono rotte commerciali che collegavano le loro colonie a Cipro e Creta con la Grecia continentale. La presenza di oggetti orientali in siti greci, come attestato dalle scoperte archeologiche, suggerisce un flusso costante di beni e culture tra queste regioni. Dalla metà dell’VIII secolo a.C. i contatti aumentano significativamente; questo periodo è caratterizzato da una maggiore interazione commerciale che non si limitava ai beni materiali, ma includeva anche lo scambio di tecniche artistiche e abilità artigianali.
Gli artigiani orientali portarono con sé know-how che influenzò profondamente l’arte greca, portando a un’imitazione di motivi orientali, inclusa l’iconografia religiosa. Un esempio emblematico di questa influenza è la rappresentazione di Ishtar-Astarte, una dea nuda in piedi eretta, spesso con entrame le mani che sorreggono i seni in una posa significativa. L’iconografia della donna che si stringe il seno è dunque assimilata nel mondo greco in questa fase, ma lo stile è subdedalico10 11, per cui si protende per una datazione ai primi decenni del VI secolo 12.


Il gruppo di immagini in alto è tratto da:
Momolina Marconi “Riflessi mediterranei della più antica religione laziale”, Milano ‑ Messina, Principato, 1937, Pubblicazione della R. Università di Milano. Facoltà di Lettere e Filosofia – Link originale – Copia
Le lampade del Sele in Magna Grecia
Il gruppo dei reperti classificato “lampade del Sele” è rinvenuti in diversi siti dell’Italia meridionale: Il primo esemplare, proveniente da Poseidonia, è stato segnalato e studiato da P. Zancani Montuoro; molti esemplari provengono da Crotone e dalla sua Chora (ma non a Taranto)13 e sono realizzati con ogni probabilità in epoca all’inizio del VI° sec. a.C., e come detto sembrano essere stati ispirati da alcuni modelli appartenenti a diverse tradizioni del Mediterraneo orientale.
L’immagine associata a lampade fittile con questa iconografia rinvenute nei templi della Magna Grecia sembra potersi associare a riti propiziatori di abbondanza e fecondità, per la fertilità della terra o delle donne.
Invece, laddove rinvenute in contesti funerari, queste le lampade sono simbolo di luce e vita eterna, rappresentando la presenza continua del defunto nel mondo spirituale. Le immagini femminili nelle tombe e nei rituali funerari spesso includevano simboli di fertilità, sottolineando il legame tra vita, morte e rinascita; queste rappresentazioni riflettevano quindi una visione del mondo in cui il ciclo naturale della vita era profondamente rispettato e celebrato attraverso pratiche rituali.
Caratteri Kourotrophos – Εἰλείϑυια di Hera

Le rappresentazione di figure femminili sorreggenti i seni quando presente nelle figurine ritrovate negli Heraia, viene associata ad carattere kourotrophos (protettrice di bambini) della dea. Le immagini fornite dalla coroplastica attribuibili a questa particolare funzione della dea sono principalmente di due tipi, attestati sia in Grecia che in Magna Grecia dalla fine del VII secolo a.C. almeno fino al V secolo a.C.14.
In alcune, il soggetto femminile è mostrato, nudo o vestito, con entrambe le mani appoggiate sul seno; altre raffigurano una donna che tiene un bambino tra le braccia. Da un lato, gli studiosi sono giustamente riluttanti ad attribuire un’identità definitiva ai soggetti raffigurati dalle coroplastiche (se si tratti della stessa Hera o di un’offerente); dall’altro, la loro presenza in tutti i principali Heraia (Perachora, Argo, Samo e Tirinto) conferma l’aspetto kourotrophico della dea. Esempi di statuette di questo sono stati trovati anche al Santuario di Hera della foce del Sele15, ma non ci sono evidenze di questa specifica iconografia al Santuario di Capo Lacinio e a Metaponto nello stesso periodo.
Laddove invece, il soggetto femminile è rappresentato nell’atto di portare le mani al seno, si tratta di un simbolo di fertilità assimilato dal vicino Oriente, e dalle rapprsentazioni di Astarte (anche se, per i Greci, Astarte poteva essere assimilata ad Afrodite). Ma il gesto poteva avere altri significati: come suggerito da Böhm, nei contesti votivi degli Heraia, non implica un concetto di abbondanza, ma allude invece alla pratica dell’allattamento al seno. Anche un busto in terracotta da Perachora può alludere a quest’ultimo; il seno è prominente e deliberatamente enfatizzato perché, forse gonfio di latte, può rappresentare una madre che sta per allattare il suo bambino.
Nel caso delle terrecotte di donne che tengono un neonato, la loro presenza è piuttosto un riferimento all’incarnazione del desiderio di prole legittima per il quale Hera, garantendo in alcuni casi nutrimento, in altri protezione, assicura la crescita e quindi la perpetuazione della società. È possibile collegare alcuni esempi di faience di Iside seduta che allatta il piccolo Horus, dai santuari di Perachora e Samo, a questa iconografia. Questi manufatti, prodotti a Rodi e in Egitto e databili al VII secolo a.C., costituiscono “una dedica appropriata a Hera non solo per la scena dell’allattamento in sé, ma anche perché, come Era a Perachora e in altri santuari, anche Iside era considerata responsabile delle madri e dei bambini”.
Le lampade del Sele del Santuario di S.Anna di Cutro
Lampade del Sele sono state rinvenute sia all’Heraion del Lacinio che al Santuario della divinità feminile presso S.Anna di Cutro. La lampada sembra fare riferimento ad un carattere curotrofico (kourotrophos), cioè di una dea dedita alla protezione dei ragazzi16. Però secondo P. Zancani Montuoro17, le lampade votive del Sele venivano alimentate dalle donne allo scopo “di rendere il loro grembo fecondo o di facilitare la nascita del figlio gia atteso“18.
Se per il Santuario di Capocolonna la curotrofia sarebbe uno dei caratteri di Hera Lacinia, che assume in sè anche alcuni degli elementi dei culti protostorici di ishtar-Astarte, per il Santuario di S. Anna a Cutro, questo carattere non è derimente per identificare la dea venerata, poichè numerose divinità femminili hanno questo l’epiteto, tra cui anche Atena, Ecate, Afrodite, Artemide , Eileithyia, Demetra, Gaia19.
Seguendo però l’indicazione della Zancani Montuoro, le lampade del Sele avrebbero una funzione Εἰλείϑυια (Eilèithyia, Ilizia), ovvero di protettrice delle partorienti, un epiteto con cui in effetti Hera era adorata ad Argo20 21, e richiamato nell’Iliade in 19.114 e 19.57, ed anche in Pausania II 22. 6. Questo istinto protettivo verso le partorienti però, nella tradizione mitologica di Hera, non corrisponde ad un istinto materno nella cura dei figli, come dimostrerebbero i rapporti con i figli Ares e Efesto, e soprattutto le azioni di Hera contro il figliastro Heracles, che portano ad una visione popolare di Hera non come una protettrice dei giovani ma come un loro aguzzino.
Le lampade del Sele a Kroton
Il primo reperto noto di questo tipo è quello che proviene da Capocolonna, dallo scavo del 1911 di Paolo Orsi22: si trattava di una statuetta femminile in terracotta che apparteneva alla decorazione di un bacino (perirrhanterion), relativa ad una figura femminili stante nel tipico gesto delle mani portate al seno, che in seguito Paola Zancani Montuori riconobbe simili ad altri reperti attestati anche all’Heraion del Sele e a Locri23.
Altri frammenti di figure femminili stanti, nel gesto delle mani portate a sorreggere i seni, già numerosi a Crotone e territorio, si sono arricchiti con i frammenti dell’edificio B dell’Heraion del Lacinio.
Le testine b e c sono arricchite dalla vivace policromia dei capelli dipinti di bruno scuro. Il volto, allungato, con il mento dal profilo rotondo, è inquadrato dai capelli interamente conservati nel frammento b. Il tipo a è acefalo. In evidenza braccia ed avambracci ripiegati verso l’alto con le mani dalle palme aperte a sostenere i seni. La superficie per il resto è liscia ed un’ampia svasatura nella statuetta in basso mette in evidenza il punto di attacco di questa sulla” lampada “. Claudio Sabbione attribuisce tali produzioni, in cui sono evidenti gli influssi della piccola plastica tarantina, all’area acheo-crotoniate24.
Altri frammenti ne sono stati rinvenuti a Crotone nella necropoli di Contrada Carrara e nella chora meridionale. Un frammento di busto recuperato sporadicamente nel 1967 dall’area urbana, vari frammenti di busti e teste 57 (tav. XLI ,l) recuperate dal santuario di S. Anna di Cutro in anni precedenti allo scavo effettuato nel 1981 da R. Spadea, il quale rinvenne una statuetta completa, una testina applicata alla vasca e altri frammenti.

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Le lampade del Sele nella relazione di Claudio Sabbione “L’artigianato artistico” (a Crotone)
(Estratto da Atti XXIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia dedicato a Crotone. Taranto 7-10 Ottobre 1983)
Oltre ai reperti dall’Heraion del Lacinio, altri frammenti ne sono stati rinvenuti nella Crotoniatide. Un frammento di busto recuperato sporadicamente nel 1967 dall’area urbana, vari frammenti di busti e teste 57 (tav. XLI ,l) recuperate dal santuario di S. Anna di Cutro in anni precedenti allo scavo effettuato nel 1981 da R. Spadea, il quale rinvenne una statuetta completa, una testina applicata alla vasca e altri frammenti.

Non si può escludere che i frammenti da Capocolonna appartenessero a un unico esemplare, ma a S. Anna di Cutro queste «lampade» erano sicuramente parecchie: Crotone presenta quindi una concentrazione nettamente superiore a quella degli altri centri (nei quali è generalmente noto finora solo un esemplare).
Rientra inoltre in questa classe un esemplare mancante della vasca, rinvenuto nell’area urbana e pertinente alla variante con larga sporgenza a disco profilato trasversale allo stelo e senza figure, già nota da un esemplare completo proveniente da Francavilla Marittima; la pasta chiara, ben depurata e levigata, è in tutto analoga a quella delle «lampade» con figure.
Inoltre, nell’area della necropoli in contrada Carrara si è rinvenuto sporadicamente un frammento comprendente lo stelo (del consueto tipo con modanatura bassa) e parte della base con attacchi per le statuette; l’aspetto della pasta internamente grigia sembra dovuto a cottura difettosa piuttosto che all’esposizione dell’oggetto al fuoco di una cremazione: ciò indicherebbe la presumibile produzione locale di questo esemplare, postulando forse un’origine crotoniate per l’intera classe. Richiama tuttavia alla prudenza la considerazione che l’esemplare della Carrara sebbene difettoso fu presumibilmente usato per un corredo funerario e non può essere assimilato a un vero e proprio scarto di fornace; rimane quindi ancora aperto, in attesa di reali elementi di certezza ricavabili da analisi fisiche e chimiche, il complesso problema della determinazione del luogo d’origine di questa classe.

Come è noto, esso era stato indicato in Taranto per una certa analogia stilistica delle figure con l’ambiente laconico da cui dovrebbe dipendere strettamente l’arte tarentina.
In effetti, il problema appare alquanto articolato: la plastica di Taranto del VII e del principio del VI sec. a.C. mostra contatti e assonanze non solo con Sparta, ma con altri centri tra cui soprattutto Corinto, mentre d’altro canto vengono in evidenza rapporti fra Sparta e altre poleis magnogreche, da Metaponto a Locri, che non sembrano riconducibili a una mediazione di Taranto.
Le figurine delle «lampade del Sele » trovano limitati riscontri fra la coroplastica tarentina finora nota, mentre offre un buon confronto il volto della figura sul manico dell’hydria bronzea da Grachwil25, generalmente attribuita appunto a Taranto per le analogie con opere laconiche. Qualche affinità, ad esempio nel taglio degli occhi e delle sopracciglia, può cogliersi con la grande testa fittile da Crotone esaminata poco fa: tuttavia l’evidente divario di dimensione, funzione e impegno rispetto alle figure delle «lampade del Sele » limita il significato del confronto a un generico riferimento cronologico.
L’argilla delle <<lampade del Sele» presenta caratteristiche esteriori alquanto omogenee e riconoscibili, ma che non facilitano la localizzazione del centro di origine; esse infatti appaiono diverse rispetto alle argille comunemente usate per le coeve statuette di Taranto (generalmente chiare, ma non così depurate, levigate e compatte come nelle «lampade»), come pure da quelle consuete nella coroplastica di Metaponto, Paestum o della stessa Crotone. Sembra invece di cogliere qualche analogia esteriore con il citato frammento di figura femminile nuda dall’area urbana di Crotone, di cui si è già ricordata la particolare argilla chiara, liscia e dura. Solo un’analisi dell’argilla potrebbe confermare un’eventuale parentela tra queste opere, dando un diverso significato ai legami che esse sembrano avere con la Laconia, a livello stilistico per le lampade del Sele, a livello tipologico per la figura nuda di Crotone.
L’area di distribuzione delle «lampade del Sele» e la stessa analogia con altri tipi di perirrhanteria o thymiateria su stelo modanato, in miniatura come quelli ben noti da S. Biagio di Metaponto oppure di grandi dimensioni come quelli decorati a registri di Crotone, conferma come questa classe sia profondamente legata alle tradizioni figurative delle poleis magnogreche disposte lungo lo Jonio tra Crotone e Taranto.
In tale area, la produzione coroplastica meglio nota e pubblicata è quella di Metaponto; i riferimenti ad essa divengono particolarmente puntuali per un gruppo di figure da S. Anna di Cutro, per alcune delle quali fin dal 1974 si era messa in risalto la coincidenza con i noti tipi di volto dal taglio triangolare allungato, con mento appuntito e con ciocche di capelli più corte al centro della fronte; volti analoghi sono presenti, ad esempio, a S. Biagio di Metaponto con molti esemplari recentemente studiati da G. Olbrich. Un frammento di torso purtroppo acefalo, relativamente grande, forse destinato a essere completato con la parte inferiore del corpo di forma tubolare allungata, mostra i tronconi delle caratteristiche grandi ali falcate e, al centro del torso, il segno evidente del distacco di un supporto che sporgeva in avanti per sostenere un attributo, probabilmente un animale: è il noto tipo attestato a Sibari e a S. Biagio, ove pare caratterizzare il culto di una divinità femminile della natura, di cui si è proposta l’identificazione con Artemide.
Questo ampio gruppo di statuette rappresenta uno dei momenti più significativi della coroplastica arcaica di Crotone, ove ebbe larga fortuna e diffusione come dimostra la relativa abbondanza di esemplari pervenutici.
Esempi dall’Heraion extraurbano di Poseidonia
Fittili del tipo “lampada del Sele” sono attestati dall’Heraion extraurbano di Poseidonia26; altri rinvenimenti a Locri e nel santuario sul Timpone Motta di Francavilla Marittima27. I reperti si trovano al Museo Archeologico Nazionale di Paestum
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Foto pubblicate da Giuseppe Castellana di una lampada ad olio in terracotta dipinta in bianco e fatta a mano, rinvenuta nel Santuario di Hera alla foce del Sele, datazione 580-570 a.C., Museo Archeologico Nazionale di Paestum (cliccare sulle foto per ingrandire a schermo pieno).
Descrizione di Luigi Sedita: Lampada (o bruciatore di incenso) in terracotta arancio, lavorata a matrice. Coroplastica votiva. – da Heraion del Sele – h 17 cm diam. 17,5 cm – prima metà del VI secolo a.C. – Museo Archeologico Nazionale di Paestum, Capaccio, Campania, IT. Lampada (o bruciatore di incenso) su alto piede sorretta da un fusto cilindrico svasato, cavo all’interno con bordo rialzato, su cui si impostano, in funzione di cariatidi, tre figure femminili con capiglitura a treccia ottenuta ad incisione e mani strette al petto. Altre testine femmnili simili a quelle delle cariatidi sono applicate ai bordi.
Note
- P. D’Amore, A. L. D’Agata, G. Greco, M. J. Strazzulla, B. Genito, C. Lo Muzio, A. A. Di Castro, F. Salviati “Terracotte” in Enciclopedia dell’ Arte Antica, Treccani, 1997[↩]
- “Ur-Ishtar dell’arte quaternaria” è un’espressione che evoca le rappresentazioni più antiche di figure femminili, spesso interpretate come dee madri o simboli di fertilità, risalenti in particolare al Paleolitico (un’epoca del Quaternario) (circa 40.000-10.000 anni fa) fino al Neolitico. Ur-Ishtar: Ishtar era una divinità mesopotamica, dea dell’amore, della fertilità, della guerra e del cielo. Il prefisso “Ur-” suggerisce un archetipo, una forma più antica e basilare di questa figura divina, precedente alle sue manifestazioni più tarde nelle religioni mesopotamiche storiche. Si riferisce quindi a una divinità femminile primigenia, legata alla fertilità e alla potenza generatrice.[↩]
- Momolina Marconi “Riflessi mediterranei della più antica religione laziale”, 1937[↩]
- A. Brelich, S. Donadoni, Astarte in Enciclopedia dell’Arte Antica – Treccani, 1958[↩]
- Oscar W. Muscarella, Ladders to Heaven. Art Treasures from Lands of the Bible, 1981, p. 238[↩]
- Giovanna H. Stuckey, Le grandi dee del Levante, 2002, p. 135. La ricerca esamina tre grandi dee levantine che durante l’età del bronzo, circa dal 3100 al 1200 a.C., veniva adorata nell’area del Levante fino al periodo israelita. Nel tempo, le tre grandi dee levantine si fusero gradualmente l’una nell’altra, ma il loro culto persistette fino al periodo greco-romano, durante il quale continuarono la loro esistenza come la composita “dea siriana” Atargatis.[↩]
- L. Bombardieri. Ritratto di Signora. Figure femminili nell’arte e nella performance rituale preistorica a Cipro. Edizioni Dell’Orso. 2014. pp: 1-26.[↩]
- Anja Ulbrich, “Near Eastern and Egyptian Iconography for the Anthropomorphic Representation of Female Deities in Cypriote Iron Age Sanctuaries” in Proceedings of the 2nd International Congress on the Archaeology of the Ancient Near East, volume 2, 2016[↩]
- Matilde Civitillo, Cipro. Isola di Afrodite. Catalogo della mostra, Roma, Palazzo del Quirinale 17 ottobre 2012 – 6 gennaio 2013[↩]
- Ovvero è un attardamento dello “stile dedalico”. Per stile dedalico si intende convenzionalmente il linguaggio decorativo che si afferma nei decenni centrali del VII secolo a.C. in Grecia sia nella coroplastica che nella scultura ed in altri generi artistici: l’arte si concentra sulla figura umana abbandonando gli stilemi dell’arte geometrica, che tendeva a raffigurazioni costruite secondo formule astratte e di estrema semplificazione. La liberazione ed il superamento dei limiti intrinseci a quello stile geometrico avviene anche grazie alla conoscenza ed agli influssi dell’arte del Vicino Oriente e dell’Egitto, grazie ai contatti oltremarini, e fu favorita anche da ragioni interne al mondo greco, che maturano nel corso del VII secolo, tra cui la nuova esigenza di avere immagini della divinità. Lo “stile dedàlico” viene datato tra il 670 e il 640 a.C., e prosegue in un cosiddetto “tardo-dedàlico” sino intorno al 620 e in un “post-dedàlico”, che si espande nelle colonie occidentali (“Arte Greca” di R. Bianchi Bandinelli – Enciclopedia dell’ Arte Antica, Treccani,1960).[↩]
- Panayiota Marantidou, The standing draped female figure in the archaic art of Cyprus and Eastern Aegean: a comparative study, 2009, p. 174[↩]
- Rif.: Arche Diem[↩]
- Vedere i riferimenti bibliografici nota N. 164 in Ágnes Bencze. “Chapitre 3. La production de terres cuites votives avant l’apparition des banqueteurs”. in Physionomies d’une cité grecque, Publications du Centre Jean Bérard, 2013[↩]
- Marialucia Giacco – Chiara Maria Marchetti, Hera as protectress of marriage, childbirth, and motherhood in Magna Grecia, 2017[↩]
- M.Giacco – C.M.Marchetti, op. cit., 2017, fig. 5, a p. 345[↩]
- Roberto Spadea, Santuari di Hera a Crotone, 1997, par. 125[↩]
- P. Zancani Montuoro, AMSMG 1960, pp. 69-77, tavv. XVI-XVIII[↩]
- Castellaneta Sabina, Il seno svelato ad misericordiam: Esegesi e fortuna di un`immagine omerica, pp. 27-28.[↩]
- Per i riferimenti bibliografici vedere in https://en.wikipedia.org/wiki/Kourotrophos; Susan Wise, “Childbirth Votives and Rituals in Ancient Greece“, 2007[↩]
- Argive Heraeum in Susan Wise, 2007, op. cit., pp. 59-60[↩]
- M.Giacco – C.M.Marchetti, op. cit., 2017, p. 355[↩]
- P. ORSI, Not. Se. Suppl. 1911, p. 116, fig. 99; P. Zancani Montuoro, AMSMG 1960, pp. 69-77, tavv. XVI-XVIII[↩]
- (R. Spadea, Il tesoro di Hera. in BDA n. 88, 1994; R. Spadea, Il tesoro di Hera. Scoperte nel santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna di Crotone, Milano 1996, p. 120, nn. 79-80;[↩]
- Roberto Spadea – Il Tesoro di Hera (BDA n. 88, 1994, p.10[↩]
- Si tratterebbe di una Signora degli animali(Potnia Theron), forse una versione arcaica di Artemis, che si ritiene di fattura tarantina e datata alla prima metà del VI sec. a.C. – Rif. Grächwil in DSS, Dizionario Storico della Svizzera. Per una immagine di alta qualità considerare invece l’immagine dell’hydria su Wikimedia[↩]
- P. Zancani Montuoro, Lampada arcaica dallo Heraion alla foce del Sele, in AMSMG n.s. III, 1960, pp. 69-77[↩]
- Maria Gentile, M. Tommasa Granese, Silvana Luppino, Priscilla Munzi, Luigina Tomay, Il santuario sul Timpone Motta di Francavilla Marittima (CS): nuove prospettive di ricerca dall’analisi dei vecchi scavi“[↩]