Vincenzo Fabiani
Aleia, Dalia e le altre della scuola di danza “Olimpia”, erano insoddisfatte della loro esibizione presso il Camping “Capo Colonna”.
Il duro pavimento di cemento dello improvvisato palcoscenico aveva per giunta rovinato le loro scarpette e indolenzito i loro piedi. Nonostante gli applausi del non numeroso pubblico, quel senso di insoddisfazione serpeggiava nei loro commenti. Le ragazze, ancora in costume, tolte le scarpette di danza e calzati i più comodi sandali, dopo avere consumato i dolcetti loro offerti, fanno capannello. Una di esse, al centro, parla animatamente.

del Tempio di Hera Lacinia
Ed ecco che da più voci, si leva l’incitamento: andiamo! andiamo!
Ai loro occhi, sotto la luna che illumina l’area archeologica, si staglia la sagoma della colonna, al disopra del suo possente basamento. Molte di esse la vedono per la prima volta in quella luce notturna.
E’ uno spettacolo che incanta coloro che colgono l’opportunità di osservarlo: il sostare ai piedi della colonna di Hera, nelle notti di luna piena, infonde un senso di serenità e di pace.
Lo stuolo delle danzatrici (circa una ventina), con alla testa Aleia e Dalia, si affretta verso l’uscita del Campeggio e si avvia di corsa lungo la strada che conduce alla vicina area archeologica.
Le fanciulle raggiungono il sentiero che conduce alla Colonna superstite del Tempio di Hera Lacinia… qui i loro passi si fanno più lenti.
Vi è anche un forte richiamo al passato per chi ha la capacità di evocare col pensiero immagini, suoni, parole di epoche perdute e sa lasciarsi andare, rapito dall’incantesimo delle cose.
Non vi sono altre persone intorno nell’area. Solo un arcano silenzio.
Come obbedendo ad un comando, le danzatrici della scuola Olimpia, leggere nelle loro vesti bianche, si suddividono in due schiere, con alla testa la bionda Aleia e la bruna Dalia. Salendo sul basamento, si dispongono su due lati della colonna e danno inizio con lievi passi di danza alle prime evoluzioni. Sembra loro di sentire un suono di cetre e di cimbali che le guida nei loro movimenti.
Si prendono per mano ed in semicerchio si muovono ora in un senso ora nell’altro intorno alla colonna. Si sciolgono e le loro evoluzioni divengono più aeree, simili al sollevarsi di un volo di libellule. La colonna oscilla pure, impercettibilmente, come mossa dal vento.
Essa conserva, nelle porosità della pietra, quasi cellule di una presenza plurimillenaria, memorie che nessun altro testimone potrebbe raccontare. Ed ecco che le fanciulle con movenze più lente rallentano la loro danza e adagiano i loro corpi leggeri, sedendo sulla nuda pietra intorno alla colonna, sotto la luce diffusa che la luna fa piovere dall’alto del cielo.
Esse sono pervase da strane sensazioni: vedono la colonna assumere quasi forma umana e avvertono l’eco lontana di una voce che accarezza le loro orecchie e penetra le loro menti:

Io ero Kore, la fanciulla, e portavo i doni alla Dea.
Fui principessa Enotria e mi appartenne il pendaglio che voi simulate sulle vostre vesti. Correvo libera nel bosco sacro, cogliendo fiori e intrecciando corone.
Nuotavo con i delfini, sacri al dio Apollo; giocavo con loro, immergendomi e riemergendo dalle onde.
Sedevo sulla roccia, che poi divenne colonna, e guardavo lontano, al di là del mare.
Vedevo navi e marinai sbarcare sulle rive, dissetarsi alla sorgente, avvicinarsi poi alla grande ara per deporvi le offerte e invocare una navigazione tranquilla.
Vidi le opere degli uomini e la costruzione del grande Tempio, splendente di bianchi marmi, nella cui cella sedetti sovrana.
I popoli, uomini donne fanciulli, portavano doni alla mia divinità. Si celebravano i riti sacri sul piazzale delle feste. Venivano immolate le vittime sacrificali, che i sacerdoti bene auguranti offrivano in comunione ai pellegrini. Bruciavano sul grande altare aromi e incensi e i frutti della terra.
Una fiamma perenne ardeva nella mia cella.
Qui il pittore Zeusi dipinse le scene e il quadro di Elena divina, avendo preso come modelle dieci fanciulle di voi. In sogno minacciai il superbo Annibale, che ebbe timore e non commise il sacrilegio.
Sopportai gli assalti dei pirati, che depredarono e spogliarono il tempio dalle offerte dei fedeli.
Ma quando il “romano barbaro” scoperchiò il tetto del Tempio e commise il sacrilegio, non ebbi più fiducia negli uomini e mi rifugiai in questa colonna rivolta verso il nascere del sole, che sola per me sopravvisse alle continue distruzioni. Da allora rimasi prigioniera nella colonna primigenia e ne esco nelle notti di luna.
Queste ed altre storie narrava la “dea” e le fanciulle, prese da un dolce torpore, si sdraiarono sulla pietra, col capo poggiato l’una sul fianco dell’altra, assopendosi sotto la vigile colonna, fino all’alba.
Quando di primo mattino avvenne il risveglio, esse, rivolto lo sguardo verso il mare, videro stagliarsi contro il cielo rosato dell’Aurora, un branco di delfini danzanti sull’onda. Si ricordarono allora della Dea, che nuotava e giocava con i delfini; ma credettero di avere fatto un bel sogno.
