“L’Egitto di Provincia”: seminario al Museo Archeologico Nazionale e il Museo Archeologico di Capo Colonna (18-06-2016). I reperti egizi ed egittizzanti nei Musei crotonesi.

Parte del testo è estratto dal Blog di Egittologia “DJED MEDU

Sabato 18 giugno 2016 a Crotone si è tenuto un incontro per parlare dei reperti egizi ed egittizzanti conservati nel Museo Archeologico Nazionale e nel Museo di Capo Colonna. Oltre ai pezzi derivanti dal mercato antiquario, la città calabrese ha restituito diversi oggetti che attestano un rapporto costante con la cultura nilotica, dal Periodo Orientalizzante (VIII-VI sec. a.C.) fino all’età romana. Tra questi, spicca sicuramente la “Stele di Horo sui coccodrilli”, tornata a ‘casa’ dopo essere finita illegalmente al Museo Egizio di Milano.

L’incontro si è tenuto dalle ore 18:00, presso la chiesa sconsacrata di Santa Veneranda, con gli interventi del dott. Gregorio Aversa, direttore del Museo Nazionale, e della dott.ssa Margherita Corrado, archeologa, referente del Gruppo FAI di Crotone nonché organizzatrice dell’evento. Al termine della conferenza, è seguita visita guidata per osservare da vicino i reperti descritti.

I reperti egizi ed egittizzanti nei Musei crotonesi

Vari sono i reperti in scavi nell’area del crotonese e riferibili dal Periodo orientalizzante (VIII-VI sec. a.C.) fino all’epoca romana.

La maggior parte proviene dal Tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna, uno dei più importanti santuari della Magna Grecia dall’età arcaica fino a quella ellenistica. In particolare, nel cosiddetto Edificio B, sono stati ritrovati diversi scarabei e una statuina di ariete utilizzati come ex voto alla dea.

Tra questi, il più interessante è senza dubbio uno scarabeo in faience (particolare tipo di maiolica) che presenta un crittogramma acrofonico (si assegna a ogni geroglifico il valore del suo primo fonema), che riporta il nome di Amon. Si tratta di un piccolo amuleto che riproducente l’immagine del venerato coleottero Scarabaeus sacer L., lo scarabeo sacro o Khepri, considerato protettore della riproduzione umana ovvero della trasformazione che l’uomo subisce nella morte e nella successiva rinascita.

Altre offerte egizie o egittizzanti individuate nel tempio, anche per epoche successive, sono conservate nel Museo Archeologico di Capocolonna: è il caso di una statuina in faience di leone, uno scarabeo e un piede di braciere che rappresenta Bes-Sileno.

Bes-Sileno

Bes-Sileno, periodo ellenistico (Santuario di Hera Lacinia – Capo Colonna) — presso Museo Archeologico Di Capo Colonna.(Fonte: https://www.facebook.com/DjedMedu)

Bes è una divinità egizia appartenente alla religione dell’antico Egitto, veniva rappresentato nano, spesso vecchio, con gambe arcuate, ornato di piume di struzzo e con la coda, spesso compare anche come musicante di vari strumenti tra cui il doppio-flauto. Sileno è un personaggio della mitologia greca e corrisponde al vecchio dio rustico della vinificazione e dell’ubriachezza antecedente a Dioniso. Sileno è sovente raffigurato come musicante nell’orgiasmo dionisiaco : il suo strumento tipico è il flauto doppio. Si ritiene che i Sileni siano stati inventati dagli artisti ateniesi intono agli inizi del VI sec. a.C. recependo proprio l’immagine del Dio egizio Bes, in un momento privilegiato tra la cultura greca e quella egizia che favorì la nascita di fenomeni sincretistici1. Ancora più significativa per rafforzare il legame tra Bes e il mondo simposiaco greco sarebbe la diffusione in area egea di particolari forme ceramiche utili per conservare o versare liquidi, designate col termine Bησιακον in alcuni testi letterari 2.

La coroplastica dell’Italia meridionale documenta particolari iconografie di Bes. Da Locri Epizefiri, Crotone e Caulonia sono attestate diverse lastre fittili di incerta funzione, forse pertinenti a dei sostegni in terracotta: questi manufatti presentano il tipo di Bes dal volto anziano e barbato, con i tratti silenoidi che ricordano gli esemplari fittili sicelioti, il ventre obeso e la posizione accovacciata con le gambe fortemente divaricate, talvolta mostrando il fallo eretto 3.

Frammenti che rappresentano testine di satiro-sileno sono stati trovati a Crotone in Area Gravina e a Fondo Gesù 4.

La Stele di Horus sui coccodrilli

Il reperto egizio più importante del Museo di Crotone è la Stele di Horus sui coccodrilli, trovata casualmente in un cantiere nei pressi dell’ospedale civile e finita, attraverso il mercato nero, alla Civica Raccolta Egizia del Castello Sforzesco di Milano5. Solo grazie al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, la stele è tornata a ‘casa sua’ nel 2012 e da sabato, proprio in occasione della conferenza, è esposta nel Museo Nazionale.

Si tratta di un piccolo amuleto (ha un’altezza di cm. 8,7 ed una larghezza di cm 5,1) in basalto scuro, databile tra la fine della XXX dinastia e l’inizio del periodo tolemaico (seconda metà del IV sec., 378 a. C. circa), completamente ricoperto di figure tutelari e di testi magici che servivano a proteggersi dagli animali velenosi e pericolosi che, come si vede in primo piano, Horus stringe tra le mani.

Sulla faccia anteriore c’è una rappresentazione del Dio Horus bambino o Arpocrate, una divinità egizia appartenente alla religione dell’antico Egitto, corrispondente all’antichissimo dio Hor pa khred, ossia Horo il fanciullo, figlio di Iside ed Osiride. Horus (in italiano anche Oro o Horo), è tra le divinità egizie più antiche e significative. Il suo culto nella Valle del Nilo si estese cronologicamente dalla tarda Preistoria fino all’epoca tolemaica e alla dominazione romana dell’Egitto. Nel corso dei millenni, fu venerato sotto molteplici forme, analizzate distintamente dagli egittologi; questi aspetti eterogenei del dio derivarono probabilmente da differenti percezioni della stessa divinità. Era assiduamente rappresentato come un falco — falco lanario o pellegrino — o come uomo dalla testa di falco (ieracocefalo) con la Doppia Corona dell’Alto e del Basso Egitto.

Nella stele di Crotone, Arpocrate è mostrato in una delle sue rappresentazioni più tipiche, con la testa completamente rasata, ad eccezione di una treccia che gli ricadeva sul suo lato destro. Il viso è lievemente rovinato. Sulla fronte restano tracce dell’ureo. Gli occhi e le orecchie sono grandi.

Nella mano destra, Horus impugna due serpenti, uno scorpione e un orice, nella mano sinistra invece impugna due serpenti, uno scorpione ed un leone.

La parte posteriore della stele è piatta e reca, sulla sommità, una scena in cui alcune divinità adorano una forma composita del sole nascente. Il dio solare è rappresentato come un fanciullo seduto con due teste di ariete, sormontate dalla corona Atef. Al di sotto della scena si trovano quattordici linee di testo geroglifico, orientato da destra a sinistra.

Si ritiene che si tratti di un un portafortuna che forniva protezione da serpenti, coccodrilli e scorpioni, e potrebbe essere arrivato a Crotone con un viaggiatore che passò per l’antica Kroton, forse un sacerdote Isiaco. Ma non è da escludere di una presenza meno occasionale legata all’influenza culturale egizia nella Calabria Antica, a Crotone in particolare, ove la cultura dei Pitagorici appare permeata di radici egizie.

Di questa categoria di manufatti sono stati trovati in Italia solo altri altri due esemplari, entrambi a Roma: di essi l’unico databile apparteneva ad un ambiente domestico dell’Età di Costantino6.

Proviene invece dal Tempio di Apollo Aleo a Cirò Marina, invece, proviene una testa di una statua marmorea che potrebbe appartenere ad Arpocrate, ovvero Horus bambino. Tuttavia, la frammentarietà del pezzo e le somiglianze con Eros ne rendono poco sicura l’identificazione.

Influenza egizie nella Crotoniatide

Per un maggiore dettaglio si rinvia alla pubblicazione di Fulvio De Salva in “Calabria antica ed Egitto: lineamenti d’una storia poco nota“; di cui richiamiamo alcuni argomenti sviluppati nel testo:

  • Piccoli amuleti e talismani di tipo egizio – accomunati dall’odierno appellativo di Aegyptiaca – (reperti egizi autentici, oppure imitazioni egittizzanti fabbricate fuori dell’Egitto) – arrivano in Calabria già nella cosiddetta “Fase Semitica” (fine sec. X-fine sec. VI a.C.), terminante alla fine dell’epoca arcaica, che fu caratterizzata dall’interpretatio phoenicia della civiltà faraonica, ovvero da una trasmissione in Occidente, ad opera di genti del ceto mercantile-marinaro fenicio e cipriota, di credenze popolari magico-religiose dell’area del Delta orientale (Menfi, Bubasti, Tanis). Tra questi la maggoranza dei reperti sono di faïence egizia (o maiolica) oppure di pasta vetrosa, ed effigiavano perlopiù divinità egizie antropomorfe e zoomorfe, come lo scarabeo, riproducente l’immagine del venerato coleottero Scarabaeus sacer L., considerato protettore della riproduzione umana.
  • La successiva dell’influenza culturale egizia in Calabria è la cosiddetta “Fase Greca” (sec. V-30 a.C.) si distinse dalla precedente per l’interpretatio graeca della cultura nilotica, favorita da una conoscenza più approfondita della civiltà faraonica da parte dei Greci. Tale fase è a sua volta ripartibile in due grandi periodi: uno “classico” (sec. V-305 a.C.), coevo all’Egitto Persiano e Macedone, ed uno “ellenistico” (305-30 a.C.), corrispondente all’Egitto Tolemaico. Si distinguono in età classica le influenze della religione e cultura egizia sulle dottriche religiose e misteriche della Magna-Grecia quali pitagorismo ed orfismo, che confluiscono nei testi greci incisi su laminette auree sepolte nelle tombe (Hipponion, Thuri, Petelia in tombe) che rivelano sorprendenti analogie col ‘Libro dei Morti’ egizio. Dell’egittofilia esistente nel ceto abbiente italiota fa fede qualche testimonianza letteraria come la Palinodia di Elena dell’imerese, ma di famiglia locrese, Stesicoro (VII-VI sec. a.C.), opera che secondo un’ipotesi sarebbe stata commissionata dai Crotoniati, alleati di Imera, al poeta per ingraziarsi i Dioscuri, alleati dei locresi al tempo della battaglia della Sagra 7.
    Il secondo periodo della “Fase Greca” è caratterizzato, invece, da un apporto di natura religiosa e di livello più elevato, in quanto costituito dall’arrivo dei culti egizio-alessandrini, ovvero di quelli di Serapide, di Iside e degli altri theoi synnaoi (Arpocrate, Anubi etc.). Tale religione, nata ad Alessandria per volere di Tolomeo I Sotere (305-285 a.C.) come astuta operazione politica mirante all’armonia fra i dominatori greci ed i sudditi egizi, si fondò sulla rielaborazione delle figure di importanti dèi indigeni adattate alle esigenze religiose ed alla sensibilità estetica dei Greci. Le nuove divinità soddisfecero le nuove istanze elleniche d’un apporto divino personalizzato e salvifico (Serapide guaritore, Iside Tyche e Madre, Horo/Arpocrate protettore dell’infanzia ed anche del luogo etc.), divenendo assai popolari ad Alessandria, in particolare fra i marinai ed i mercanti, cui assicuravano la loro protezione nella navigazione e nei traffici. L’arrivo nella terra dei Bretti sarebbe confermato dalla dedica votiva greca, di fine III-inizi II sec. a.C., rinvenuta in un Serapeo di Delo: qui un “Agatone, figlio di Numpsios, da Petelia” ([’Αγ]άθων Νυμψίου Πετηλ[ινος]) dona una tettoia al locale tempio di Serapide, Iside ed Anubi. Il dedicante era dunque un italiota di Petelia che nell’isola egea praticava la religione egizio-alessandrina il quale, se tornò in patria, vi continuò a venerare i suoi amati Serapide ed Iside.
    L’evangelizzazione della regione ad opera di marinai isiaci frequentanti i porti calabresi, è evidenziata nel ‘Satyricon’ di Petronio, in cui in i protagonisti si imbarcano su nave, peraltro, affonda proprio nelle acque di Crotone 8.
  • La Fase romana, inizia al tempo dell’annessione dell’Egitto da parte di Ottaviano (30 a.C.), e che consentì ai Romani una più diretta conoscenza del mondo nilotico, come testimoniata da reperti che, seppure di numero esiguo, ci ragguagliano dell’importanza acquisita nella regione da questi culti nilotici, culti che vengono “italicizzati” alla mentalità ed alle istanze locali.

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Correlazioni

Note

  1. Maurizio Sannibale – La raccolta Giacinto Guglielmi, Parte 2, 2008, pp. 183-184[]
  2. Gianfranca Carta, Bes in Sardegna: la documentazione materiale e l’iconografia, 2011, p. 6[]
  3. Gianfranca Carta, op.cit., p. 38[]
  4. Alfredo Ruga, Espressioni di eusèbeia domestica a Crotone, in “Caulonia tra Crotone e Locri, Tomo 1, 2010, p.223[]
  5. Fulvio De Salvia, Calabria antica ed Egitto: lineamenti d’una storia poco nota, in AA.VV. – Calabria Antica ed Egitto (2012), p. 26[]
  6. Fulvio De Salvia, 2012, Op. cit., p. 41 nota 80, per quest’ultimo reperto: Fulvio De Salvia – Horo sui coccodrilli nella Roma costantiniana. 1988[]
  7. Massimiliano Ornaghi, Un poeta senza età. Note di cronografia stesicorea (e alcmanico-saffico-simonidea), 2014[]
  8. l’opera si svolge in un’ambientazione mediterranea, è possibile che la nave di Lica provenga dall’Egitto, che è una delle principali fonti di commercio e di contatti con la cultura romana dell’epoca. Inoltre,il culto della dea egizia Isis è presente nella trama del Satyricon, il che suggerisce che l’Egitto potrebbe essere stato un punto di riferimento per la storia. Tuttavia, non ci sono informazioni specifiche nei risultati della ricerca che confermino l’origine egiziana della nave su cui viaggiano Encolpio e i suoi compagni. Vedere comunque l nota 74 a pag. 39 F.De Salva, op. cit.[]