Navicella nuragica del VII sec. a.C. presso il Museo di Archeologico di Crotone

Premessa

Nel 1987 a Capo Colonna presso Crotone, nel santuario di Hera Lacinia, all’interno dell’edificio B, tra i doni votivi viene alla luce una navicella bronzea nuragica, priva della protome1 sulla prua che era solitamente presente (n. cat. 86 – n. inv. 59366.)2.

La navicella faceva parte dell’insieme di oggetti votivi e doni sacri portati dai pellegrini al Santuario di Hera Lacinia, il cosiddetto “Tesoro di Hera” e che proviene in gran parte dagli scavi condotti sul Parco Archeologico di Capo Colonna. E’ uno tra i reperti più interessanti e misteriosi del Tesoro di Hera, in cui spicca anche il famoso Diadema Aureo. La barchetta in bronzo è in chiaro stile nuragico, cioè riprende lo stile seriale dei navicelle in bronzo opera della civiltà nuragica, ha avuto il suo sviluppo autoctono in Sardegna tra il secondo ed il primo millennio a.C., fino all’occupazione (parziale) dei cartaginesi nel 510 a.C. e poi dei romani nel 238 a.C.

L’importanza e la particolarità del reperto

La particolarità della barchetta Nuragica del Lacinio, sta nel fatto di essere l’unica del suo genere rinvenuta negli scavi archeologici del meridione d’Italia. Infatti oltre che in Sardegna, questo tipo di produzioni bronzee, ottenute quasi certamente con la tecnica della cera persa, erano molto frequenti fra i corredi funerari delle necropoli etrusche del VIII-VI secolo a.C. e localizzate nel centro Italia. Nessun altro ritrovamento di produzione sarda nella Calabria ionica è inquadrabile nel periodo di produzione di questa navicella: ma non così a Lipari e nella Sicilia orientale3.

L’altra particolarità è che la navicella votiva sarda è ben più antica del contesto che lo comprende, ossia il tempio di Hera Lacinia((Spadea 1994, pp. 22-24 n. 33)).

Per la Direzione del Museo Archeologico Nazionale di Crotone, “il reperto rappresenta un unicum, non soltanto per la sua valenza simbolica, ma per il carattere atipico del luogo di ritrovamento. Nell’edificio infatti venivano custoditi gli ex-voto più significativi del santuario Lacinio. Per questo la presenza di tale oggetto deve riferirsi ad un contatto avvenuto tra due mondi, quello sardo e quello della Magna Grecia, che evidentemente a quei tempi non trovavano nel mare un ostacolo o una barriera ma, al contrario, un fondamentale veicolo di comunicazione“. “L’importanza della barchetta del Lacinio – conclude la nota – deriva quindi dall’esplicito richiamo al mare che ne fa testimone essenziale del collegamento tra il culto alla dea crotoniate e la navigazione4

Descrizione della Navicella

Navicella bronzea a scafo fusiforme. Scafo fusiforme con estremità a profilo arrotondato. Fiancate verticali e curvilinee senza soluzione di continuità con il fondo; margine ispessito ad alto listello di sezione rettangolare, sporgente e appiattito alla sommità sopra cui si eleva un alto bordo traforato da una serie di elementi quadrangolari affiancati, terminante in un orlo pronunciato a tesa.
Sull’orlo si imposta un ponte a listelli rettilinei, orizzontali, uniti al centro in corrispondenza di un foro circolare, corrispondente al punto di inserzione dell’albero (mancante).

Rivolte verso l’estremità posteriore dell’oggetto, cioè verso la poppa della navicella, vi sono due coppie – una per parte – di buoi aggiogati trainanti un carro con ruote piene sul quale poggia un carico costituito da un elemento cilindrico di difficile interpretazione (betilo?, tronco d’albero?). Dietro ciascun carro era rappresentato un altro elemento (colonnina?) andato perduto, spezzato alla base. Verso l’estremità anteriore, vi sono due colonnine cilindriche poggianti sul margine a listello, sormontate da una sorta di capitello a gola su cui sono due volatili stilizzati – con capo di piccole dimensioni e lunga coda orizzontale – rivolti verso l’estremità posteriore dello scafo.

Fondo indistinto, appiattito. Una piastra di forma triangolare ad estradosso piatto, costituisce la base per il collo della protome, lievemente ricurvo, a sezione circolare, lacunoso nella sommità.

DIMENSIONI:
cm 26 (lunghezza); cm 25,4 (lunghezza scafo); cm 10,9 (larghezza scafo).

DATAZIONE:
E’ stata proposta una datazione – sulla base del contesto – alla seconda metà del VII sec. a. C.5

BIBLIOGRAFIA:
LATTANZI 1992, pp. 651-652;
SPADEA 1994,R. Spadea, Il Tesoro di Hera, in Bollettino d’Arte, 88, Roma, pp. 22-24;
SPADEA 1996, pp. 56-58;
LILLIU 2000a; LILLIU 2000b.

((Il testo è estratto da Anna Depalmas, Le navicelle di bronzo della Sardegna nuragica, Ettore Gasperini Editore, 2005, p. 98-99.))

Interpretazione

La navicella presenta “analogie più o meno evidenti con gli esemplari di Meana Sardo (Nuoro), rinvenuti nel 1875, attribuiti alla stessa bottega da cui è uscita la navicella della tomba del Duce di Vetulonia, e la barchetta di provenienza ignota, sempre nel Museo Sanna di Sassari, denominata “barchetta di re Sole”6.
(Rif. Lattanzi 1991)

Questo esemplare di Crotone porta a 14 il numero delle navicelle esportate dalla Sardegna nella Penisola italiana, per lo più deposte come corredo nelle tombe: una nelle Puglie e dodici fra Toscana e Lazio. Probabilmente, il potere magico degli animali raffigurati sulle navicelle favoriva il buon esito della navigazione del defunto verso l’aldilà ma, nel nostro caso specifico, l’attenzione si sposta verso l’oggetto trasportato dai carri.
Cosa rappresentava ? Alcuni studiosi pensano a una botte, altri a un piccolo nuraghe di quelli che si trovano al centro delle capanne delle riunioni. Un’altra ipotesi li lega ai grandi betili trovati negli scavi di Monte Prama, oggi esposti al Museo Archeologico di Cagliari.7.

Se osserviamo tutto l’insieme sono rappresentati gli elementi aria (le colombe), terra (i buoi), l’acqua (la stessa navicella), il fuoco (il supporto mancante al centro del ponte dove c’è una visibile frattura, forse dove veniva bruciato dell’olio o una essenza)8.

La presenza dei buoi, segno di ricchezza terrenza, potrebbe essere significativa di un simbolismo religioso e sociale associato all’espressione dello status del dedicatario o del possessore.

La presenza delle colombe – riportata sulla poppa delle navicelle nuragiche in bronzo – unita alla presenza dei buoi – sarebbero un richiamo alla fertilità (derivata dal culto per la Grande Madre, che accumunava la civiltà nuragica e quella minoica.9.

Un’altra interpretazione collega le colombe all’importante ruolo giocato dagli uccelli nella fasi più antiche della storia della navigazione, quando in un civiltà priva di strumenti di riferimento (bussole, mappe), vi era l’uso generalizzato della pratica di osservazione del volo migratorio ed affidava altresì alla presenza di volatili (colombe, corvi) sulla stessa imbarcazione la possibilità di individuare la vicinanza della terraferma10. In una fase precedente alla navigazione astronomica (ante I millennio a. C.) o in occasione di visibilità ridotta a causa della nebbia o di un temporale, il navigante disorientato poteva, infatti, servirsi di un uccello che, liberato in volo dalla nave, avrebbe cercato di raggiungere la zona di terra più vicina e che, se non avesse trovato la terraferma dove posarsi, sarebbe tornato indietro sull’imbarcazione.

Gli animali colombe e buoi, come in tutte le navicelle nuragiche sono rivolti dalla parte opposte delle protome, cioè verso la poppa; nell’avanzamento della navicella nel mare, essi guardano verso terra.

La presenza presso il Lacinio

Come è arrivata la navicella a Crotone?

Si tratta certamente di oggetti caricati di un valore simbolico e sacrale molto elevato: lo dimostra la loro esclusiva presenza, in Sardegna, in contesti santuariali, pozzi sacri e templi. In prevalenza, gli esemplari rinvenuti in Etruria provengono invece da corredi tombali, a testimoniare ancora una volta come le forme di tesaurizzazione fino alla piena età Orientalizzante fossero esclusivamente di tipo privatistico.

Fa eccezione l’esemplare da Tarquinia (VT), dal santuario-emporio presso il porto di Gravisca, presso l’edificio Alpha dell’VIII sec. a.c. da porre forse in connessione con il culto di Hera, attestato da tante iscrizioni in greco; il santuario con tutta probabilità era stato concesso dalla comunità locale ai commercianti greci: le divinità ivi venerate erano infatti greche (con i loro corrispettivi etruschi), e sotto l’egida di queste dovevano svolgersi fiorenti commerci. In un vano è stato trovato, tra quelli di produzione sarda, una navicella bronzea all’interno di un piccolo sacello dedicato al culto di Hera; le altre offerte votive, nello specifico vasellame di provenienza greco-orientale e buccheri sono di provenienza ionica e attica, e coprono un arco cronologico che va dal 580 al 480 a.C., e in virtù di ciò la navicella potrebbe essere arrivata in questo luogo di culto proprio all’inizio del VI secolo. Lilliu propone anche una data per la produzione della navicella (con tutta probabilità avvenuta in Sardegna), ovvero alla metà del VII secolo11

In quest’ottica, l’esemplare di Gravisca((Antico porto di Tarquinia, a circa 7 km dal sito della città etrusca e romana, nel luogo dell’abitato medievale e moderno di Porto Clementino. Rif. Gravisca in Enciclopedia Treccani)) fa il paio con quello rinvenuto, anch’esso di valenza votiva, nell’Heraion di Capo Colonna a Crotone. Sono due esemplari i quali, a differenza di quelli provenienti da Vetulonia, non provengono da contesti funerari. Si sottolinea che per l’esemplare proveniente da Crotone la navicella è stata trovata in un contesto secondario, associata a materiali di un range temporale ben definito, il che rende difficoltosa una datazione alta della navicella.

Come e perchè la navicella è arrivata a Crotone. Il contesto santuariale suggerisce una prima ipotesi di una donazione effettuati da navigatori di religiosità greca che hanno consacrato l’oggetto alla dea venerata a Capocolonna che aveva, nella sua qualità di Hera Limenia12, una competenza sulle sorti della navigazione; il dono è un prezioso oggetto legato all’ambiente marino e al tempo stesso esotico, evocatore dei commerci di lunga distanza, nei quali il donatore era impegnato13.

D’altra parte la rotta privilegiata dei nuragici verso le popolazioni a oriente era verso le popolazioni etrusche del Tirreno, una destinazione che dalle coste orientali della Sardegna, con condizioni di tempo favorevoli, potevano essere agevolmente raggiunta in pochi giorni. Ma venivano anche percorse rotte verso la costa orientale della Sicilia dove, peraltro, vi sono numerose attestazioni di rapporti con le popolazioni nuragiche14.
Dallo stretto di Messina i nuragici avrebbero potuto risalire lungo la costa ionica della Calabria fino a Crotone. Da qui l’ipotesi che un commerciante greco porta le navicelle al Tempio di Hera Lacinia da un punto di scambio in Sicilia.

Per Roberto Spadea vi è anche la possibilità che “pur presentandosi come oggetto di particolare pregio, potrebbe costituire un fatto casuale (ad es. un bene di prestigio proveniente da un bottino) e rientrare in quegli episodi di tesaurizzazione più tarda attestati per tali esemplari15.

Ancora per Roberto Spadea potrebbe trattarsi di una riproduzione non originale dei bronzetti nuragici: “basti pensare alle particolarità della lavorazione che la inquadrano al di fuori dei tipi sinora conosciuti. Mentre lo scafo si inserisce nella tipologia delle forme semilunate e convesse, il cui elemento di maggior spicco è rappresentato dalla c.d. “Navicella del Sole”, non trovano riscontro, tra le navicelle finora conosciute, il ponte appiattito e le finestrelle quadrate lungo le murate, così come del tutto inconsueti sono i carri dalle ruote a disco pieno che trasportano un tronco, ο comunque un oggetto di forma allungata“. Da considerare poi il pendaglio tipo “Alianello”, che con il pendente “a ruota” e la fibula a navicella tipo “Sala Consilina III A” riflette bene, a mio avviso, la “facies” enotria cui senza dubbio dovevano appartenere gli indigeni che i Greci di Rhype (guidati da Miscello) trovarono al momento della ktisis della colonia. Si tratta certo (almeno per ora) di pochi documenti, pur nondimeno essi devono ritenersi significativi e preme far rilevare come appartengano tutti alla sfera femminile (Spadea 1997).

Navicella nuragica trovata dal tempio di Hera Lacinia.
Fonte: R. Spadea 1997.
Fig. 15 – Barchetta nuragica.
a: prospetto; b: prospetto, restituzione grafica; c: vista dall’alto; d: vista dall’alto, restituzione grafica; e: sezione.

Caratteri generali delle Navicelle nuragiche

Datazione

È piuttosto noto che la cronologia di questi oggetti è ancora incerta e fluttuante, anche se una recente tendenza di studio (Gras-Bartoloni-Delpino) vorrebbe concentrarne la produzione in appena poco più di un secolo, dalla fine del IX a tutto l’VIII sec. a.C.16); secondo il Lilliu le navicelle di gusto orientalizzante sarebbero scaglionate per tutto il VII sec. a.C.17. Per Fulvia Lo Schiavo non è possibile, allo stato attuale, avanzare ipotesi sulla località di fabbricazione, né sulla cronologia, senza uno studio più approfondito su tutti gli elementi di confronto (Rif. Lattanzi 1991).

Le navicelle nei luoghi di culto nuragici

Sono stati ritrovati circa 250 esemplari di navicelle nuragiche nei nuraghi sparsi in tutta la Sardegna, una piccola percentuale di queste è stata ritrovata in siti funerari. Alcuni studiosi ritengono  questi oggetti delle lampade votive o ex-voto, offerti alla divinità per grazia ricevuta, altri pensano che potessero essere dei contenitori di oli rituali o profumati. L’unica cosa certa è che questi oggetti avevano un grande valore simbolico per il popolo nuragico. Sicuramente chi realizzava queste splendide sculture conosceva bene l’arte della costruzione delle imbarcazioni e della navigazione, questo perché le navicelle, come detto, mantengono le proporzioni  e hanno tutti quegli elementi propri delle navi in grandezza naturale.

Una ricerca del 2003 di Paolo Melis del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari) evidenza che le navicelle in bronzo si rinvengono nei luoghi di culto nuragici in una percentuale decisamente irrisoria, costituendo quasi un vero e proprio status symbol: la sua donazione doveva costituire un autentico evento per il santuario; non è da escludere che, al pari di altri oggetti votivi di particolare complessità, l’oggetto poteva essere una donazione collettiva da parte di un gruppo o di un intero lignaggio.

L’83% degli oggetti votivi rinvenuti nei luoghi di culto nuragici sono associati alla presenza di pozzi o fonti, e ciò sottolinea l’importanza del culto dell’acqua. Le navicelle, sono ben diffuse nei pozzi sacri (56%, ma nessuna nelle fonti), e registrano la loro massima concentrazione proprio nelle “rotonde”.

La distribuzione delle navicelle, relativamente ai santuari dedicati al culto delle acque, privilegia la fascia centrale dell’Isola e la Nurra, non disdegnando le aree prossime alla costa; la maggior concentrazione si riscontra, infatti, in un sito (Sa Sedda ‘e Sos Carros) relativamente vicino al mare.

Quanto sopra evidenzia che la presenza delle navicelle che compaiono nei corredi tombali, hanno lo scopo dell’accentuazione sul valore celebrativo del titolare della sepoltura, mentre per i pochi esemplari dedicati nei santuari marittimi della penisola (Gravisca, Ostia, Crotone), le navicelle sembrano riacquistare a pieno titolo il loro valore di oggetti sacri, anche se il significato che viene adesso loro attribuito, è certamente molto diverso da quello che avevano nei santuari della madrepatria18

Video Divulgativo

Pubblicato nel Canale Youtube Musei Calabria

Seminario del MAN KR del 19-04-2024 “Le navicelle nuragiche – espressione del culto e arte della navigazione” con l’archeologa Viviana Pinna.

Note

  1. PROTOME (προτομή). – È vocabolo che significa “la parte anteriore – collo + testa – di un animale”, eccezionalmente anche dell’uomo. Costituisce una entità artistica a sé, in quanto spesso l’artefice, per ragioni principalmente religiose e specialmente nella rappresentazione degli animali, disegna o scolpisce soltanto la p. senza il resto del corpo, volendo con ciò significare che il valore semantico espresso dal documento artistico si conclude, sufficientemente circostanziato, nella sola parte anteriore del corpo. (Da S. Ferri in Enciclopedia dell’ Arte Antica Treccani (1965) []
  2. LATTANZI 1992, pp. 651-652. []
  3. P.G. Guzzo – Indigeni in Calabria settentrionale nell’VIII secolo (2012), p. 447 []
  4. Ag. Ansa del 26-02-2016 “Barchetta nuragica torna al Museo Crotone, reduce da esposizioni Sardegna, Roma e Milano“” []
  5. LATTANZI 1992, pp. 651-652; SPADEA 1996, p. 56. []
  6. (Nota 11 da Lattanzi 1991) Sulle citate navicelle nuragiche si veda F. Lo Schiavo, L’età dei nuraghi, in Il Museo Sanna in Sassari, Sassari, 1986, pp. 63-110, figg. 137-138; su tutta la problematica ID., La Sardegna e il Mediterraneo allo scorcio del II millennio, in Atti del 2° Convegno Studi “Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo”, Selargius- Cagliari 1986, p. 392 con bibliografia prec. []
  7. Rif. Pierluigi Montalbano, La navicella nuragica del tempio di Hera Lacinia. Cosa trasportava? []
  8. Rif. Nota in Pierluigi Montalbano, La navicella nuragica del tempio di Hera Lacinia. Cosa trasportava? []
  9. Rif: Wikipedia: Civiltà nuragica []
  10. Anna Depalmas, Le navicelle di bronzo della Sardegna nuragica, Ettore Gasperini Editore, 2005, p. 214 []
  11. Davide Schirru, Tesi di Laurea, Civiltà nuragica e mondo mediterraneo nel corso dell’Età del Ferro: contesti, materiali, problematiche, 2011, p. 107-109 []
  12. uno degli epiteti di Hera come venerata al Santuario di Perachora []
  13. Navi in Bronzo dai Santuari Nuragici ai tumuli Etruschi di Vetulonia, Carlo Delfino Editore, 2012, p. 28 []
  14. Anna Depalmas, Le navicelle di bronzo della Sardegna nuragica, Ettore Gasperini Editore, 2005, p. 218-219 []
  15. Spadea 1997 []
  16. (Nota 12 da Lattanzi 1991) M. Gras, L’Etruria villanoviana e la Sardegna settentrionale, in Atti XXII Riunione scientifica 1978 (Firenze 1980 []
  17. (Nota 13 da Lattanzi 1991) G. Lilliu, Bronzetti e statuaria nella civiltà nuragica, in Ichnussa, Milano 1981, pp. 179-251, con tutta la ricca bibliografia prec. []
  18. Simona Rafanelli, Tra Etruria e Sardegna. La prospettiva etrusca, in Navi di Bronzo, dai santuari nuragici ai Tumuli etruschi di Vetulonia, 2012, p. 29-31 []