Q. Fulvius Flaccus porta a Roma i marmi del Tempio di Hera

Introduzione

Al termine della seconda guerra punica (202 a.C.), nel 194 a.C. a Crotone vi fu dedotta una colonia romana.

Il pretore Quinto Fulvio Flacco durante le sue imprese nella conquista romana in Spagna Citeriore contro i Celtiberi (Liv. 40,10, 44,9), in una fase di grande difficoltà aveva promesso, per la salvezza sua e dei suoi in questo frangente, di indire giochi in onore di Giove e di costruire un tempio alla Fortuna Equestre, quindi tornò a Roma. Nel 180 a.c., al suo ritorno, gli fu concesso il trionfo, e nominato intanto console, marciò contro i Liguri, li sconfisse di nuovo e conquistò il loro campo, tanto che, al suo ritorno a Roma, gli fu concesso un secondo trionfo. Nel 174 a.c. fu impegnato nella costruzione del tempio promesso in Spagna1.

Per abbellire l’erigendo Tempio di Fortuna Equestre a Roma il console Quinto Fulvio Flacco fece smontare il tetto marmoreo del Tempio di Hera Lacinia e quindi lo fece trasportato nella capitale. L’operazione sollevò aspre polemiche; anche se è probabile che il santuario magno-greco fosse ormai in rovina, l’opinione pubblica fu indignata perché il materiale era stato sottratto non in un bellum iustum, ma profittando dei poteri magistratuali.

La “distruzione dei templi degli dei immortali” era ritenuta infatti un’operazione indegna: non si poteva pensare di costruire templi con il bottino di altri templi di popolazione conquistate, facendoli rovinare, come se gli dei immortali non fossero gli stessi ovunque!

Il Senato, dopo averlo giudicato, ordina la restituzione dei marmi ai Crotoniati e di compiere sacrifici riparatori da offrire a Giunone (Hera). Ma a Kroton non si trova più nessun artigiano in grado di rimontarli correttamente.

Il tempio venne poi completato e dedicato alla Dea alla fine del mandato di Flacco come censore il 13 agosto del 173 a.C. (Livy 42.10.5, Degrassi, Inscr. Ital. 13.2, 494-95). Dopo la censura Flacco divenne pontefice, ma dette segni precisi di disturbi mentali e i romani ritenevano fosse la punizione di Giunone per il sacrilegio. Quando poi gli giunse notizia che dei suoi due figli, che combattevano in Illiria, uno fosse morto e l’altro gravemente malato, si impiccò nella sua camera da letto (173 a.c.).

Ma anche il tempio della Fortunae Equestris, non ebbe buona sorte. Era stato edificato nella zona del Campo Marzio, e nel 55 a.C. gli venne costruito vicino il teatro di Pompeo. Il tempio scompare prima del 22 d.C.: probabilmente fu distrutto durante l’incendio del teatro di Pompeo del 21 d.C., non ne esistono resti archeologici e la sua posizione esatta è una questione piuttosto dibattuta ancora oggi2.


Tito Livio, Ab Urbe Condita, 42.3

Traduzione libera

[1] Il 174 a.C. il tempio di Giunone (Hera) Lacinia fu spogliato del suo tetto. Quinto Fulvio Flacco, come censore, stava costruendo il tempio di Fortuna Equestris che aveva giurato mentre era pretore in Spagna durante la guerra celtiberica, sforzandosi zelantemente che non ci fosse un tempio a Roma più grande o più splendido.
[2] Considerando che aggiungerebbe grande bellezza al tempio se le tegole fossero di marmo, partì per Bruttium e spogliò il tempio di Giunone Lacinia delle sue piastrelle fino a metà del loro numero, pensando che fossero sufficienti a coprire l’edificio che ora veniva eretto.
[3] Le navi furono preparate per caricarle e trasportarle, impedendo agli abitanti dell’ufficio del censore di proibire il sacrilegio. Quando il censore tornò, le tessere furono scaricate dalle navi e furono portate al tempio.
[4] Anche se non è stato detto nulla sul luogo in cui sono stati ottenuti, tuttavia un tale atto non si poteva nascondere.
[5] Di conseguenza vi fu una protesta nel senato: da tutte le parti fu fatta richiesta ai consoli di porre la questione. Ma quando il censore fu convocato ed entrò in senato si addolorò a morte avendo udito che un figlio era stato ucciso, e tutti lo hanno attaccarono più violentemente:
[6] il santuario più venerabile di quella regione, un santuario che né Pirro né Annibale avevano violato, non solo non gli era bastato di averlo violato, ma ne aveva vergognosamente derubato la sua copertura e quasi distrutta.
[7] La ​​cima, dissero, era stata strappata dal tempio e le inquadrature nude si aprivano per essere marcite dalle piogge. Fu per questo, chiesero, che fu scelto un incensiere per controllare il comportamento? Che il magistrato a cui era stato affidato, alla maniera degli antenati, il compito di imporre la riparazione dei santuari pubblici e di contrarre per la loro manutenzione, stesse egli stesso scorrazzando per le città degli alleati saccheggiando i templi e spogliando i tetti di edifici sacri!
[8] Una cosa, hanno continuato, che potrebbe sembrare indegna se fatta agli edifici privati ​​degli alleati, lo stava facendo quando ha distrutto i templi degli dei immortali e ha portato in capo al
[9] popolo romano la colpa di impietà, costruendo templi con le rovine dei templi, proprio come se gli dei immortali non fossero gli stessi ovunque, ma che alcuni dovessero essere venerati e ornati con il bottino di altri!
[10] Quando fu chiaro, prima che fosse presa la votazione, quale fosse il sentimento dei Padri, quando fu presentata la mozione, tutti all’unanimità decretarono di riportare le tessere al tempio e che dovevano essere offerte espiazioni a Giunone.
[11] Le questioni relative all’espiazione sono state scrupolosamente eseguite; gli appaltatori riferirono che le piastrelle erano state lasciate nella corte del tempio perché nessun operaio poteva escogitare un piano per sostituirle.

Testo originale in latino

[1] Eodem anno aedis Iunonis Laciniae detecta. Q. Fulvius Flaccus censor aedem Fortunae equestris, quam in Hispania praetor bello Celtiberico voverat, faciebat enixo studio, ne ullum Romae amplius aut magnificentius templum esset.
[2] magnum ornatum ei templo ratus adiecturum, si tegulae marmoreae essent, profectus in Bruttios aedem Iunonis Laciniae ad partem dimidiam detegit, id satis fore ratus ad tegendum, quod aedificaretur.
[3] naves paratae fuerunt, quae tollerent atque asportarent, auctoritate censoria sociis deterritis id sacrilegium prohibere.
[4] postquam censor rediit, tegulae expositae de navibus ad templum portabantur.
[5] quamquam, unde essent, silebatur, non tamen celari potuit. fremitus igitur in curia ortus est; ex omnibus partibus postulabatur, ut consules eam rem ad senatum referrent. ut vero accersitus in curiam censor venit, multo infestius singuli universique praesentem lacerare: [6] templum augustissimum regionis eius, quod non Pyrrhus, non Hannibal violassent, violare parum habuisse, nisi detexisset foede ac prope diruisset.
[7] detractum culmen templo, nudatum tectum patere imbribus putrefaciendum. ad id censorem moribus regendis creatum? cui sarta tecta exigere sacris publicis et loca … tuenda more maiorum traditum esset,
[8] eum per sociorum urbes diruentem templa nudantemque tecta aedium sacrarum vagari ! et quod, si in privatis sociorum aedificiis faceret, indignum videri posset, id eum templa deum immortalium demolientem facere,
[9] et obstringere religione populum Romanum, ruinis templorum templa aedificantem, tamquam non iidem ubique di immortales sint, sed spoliis aliorum alii colendi exornandique ! cum,
[10] priusquam referretur, appareret, quid sentirent patres, relatione facta in unam omnes sententiam ierunt, ut eae tegulae reportandae in templum locarentur piaculariaque Iunoni fierent.
[11] quae ad religionem pertinebant, cum cura facta; tegulas relictas in area templi, quia reponendarum nemo artifex inire rationem potuerit, redemptores nuntiarunt

Titi Livi ab urbe condita libri editionem priman curavit Guilelmus Weissenborn editio altera auam curavit Mauritius Mueller Pars IV. Libri XLI-CXLII Fragmenta. Index. Titus Livius. W. Weissenborn. H. J. Müller. Leipzig. Teubner. 1911. 4.

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  1. Rif. Il Tempio della Fortuna Equestre in RomanoImpero.com []
  2. vedere “La localizzazione” nell’articolo Il Tempio della Fortuna Equestre in RomanoImpero.com []