Sono ripartiti i lavori nell’area del Parco archeologico di Capocolonna e questa volta ad essere interessato è il mosaico dell’edificio di epoca romana cosiddetto “Mosaico di Paolo Orsi” poiché fu proprio l’archeologo di Rovereto a scoprirlo per la prima volta nel 1910.

I lavori sono già iniziati ed il mosaico con i delfini di fatto è stato già riportato alla luce. Infatti, la sabbia che lo copriva e lo proteggeva dalle intemperie è stata rimossa ed il mosaico coperto con un telo. Sul cartello dei lavori è scritto che la ditta che li eseguirà è la Riccardi di Francavilla Marittima, in provincia di Cosenza, mentre il committente è il Mibac – segretariato regionale Mibac Calabria e il progettista e direttore dei lavori l’architetto Vincenzo Ammendolia. È previsto l’impiego di tre lavoratori. Intanto sono stati avviati anche i lavori di potatura degli alberi e pulizia del “Bosco sacro di Hera” che precede la zona archeologica che porta fino alla colonna.

Cos’è l’edificio romano col mosaico dei delfini?

“Nel settore settentrionale del promontorio sull’estremità nord del temenos, è stato messo in evidenza un piccolo centro romano. L’abitato, la cui prima fase si data alla metà del II secolo a.C., si stanzia nelle terre libere del santuario e si articola su due strade principali larghe 8,50 m. parallele alla via sacra quindi orientate nord-est sud-ovest, intersecate a vie minori larghe 2,50 m.. Le unità abitative presentano un modulo base rettangolare di 7,50×3,80 m. Nell’abitato è stato riconosciuto un ambiente a carattere sacro da cui proviene un busto fittile femminile e due thymiateria di calcare. L’edificio a carattere pubblico più importante fino ad ora messo in luce è il complesso del balneum (18x22m.), già indagato dagli scavi Orsi, ma di cui s’erano perse le tracce per volontà della famiglia Berlingeri, proprietaria del fondo, che aveva ricoperto i saggi.

Da uno degli ambienti è riapparso un mosaico già noto nei disegni del Ricca, decorato con una fascia esterna a meandro che cinge una seconda bianca con iscrizione di dedica dei duoviri Lucilius Macer e Annaeus Traso, che edificarono il complesso. Due fasce nere con fascia mediana decorata a cirri, incorniciano l’émblema con rombo centrale, decorato a scacchiera, inscritto in un quadrato, con quattro delfini negli spazi angolari superstiti.

La prima fase del complesso, datata alla metà circa del II secolo a.C. è in opera quadrata, realizzata con blocchi più antichi recuperati dalle altre strutture del santuario. Per questa prima fase la destinazione d’uso non è dimostrata. La fase che conferisce al complesso destinazione termale è quella dei censori sopra citati, che, tra l’80 e il 70 a.C., vollero la ristrutturazione e la destinazione del complesso”.

Fonte del testo: Crotone News del 06-03-2017

Per altre informazioni sulla ritrovamenti di età romana al Lacinio vedere l’articolo:
La colonia romana di Croto e la statio di Lacenium


Poco dopo qualche settimana, Mimmo Stirparo segnala su Il Cirotano del 23-03-2017

A Capocolonna si restaura il mosaico di Paolo Orsi ma si rinterra

Che strano destino insegue i ruderi del parco archeologico di Crotone – Capocolonna! Si scava continuamente, si restaura e si conserva interrato. Come dire che si sprecano notevoli risorse pubbliche per nulla. Tutto torna sottoterra. Nessuna fruizione per studiosi, curiosi e turisti. È quel che sta accadendo ancora una volta sul promontorio Lacinio.. Era già successo nel 2003.

Stiamo parlando del famoso “mosaico” scoperto nel 1910 dall’archeologo Paolo Orsi e giustamente reinterrato per proteggerlo dalle intemperie naturali e dalle orde vandaliche. Riportato alla luce, per la seconda volta, nei giorni scorsi, per verificarne lo stato di salute e curarlo per essere nuovamente interrato.

Si tratta del prezioso pavimento mosaicato con i delfini facente parte di un ampio edificio termale di epoca greco-romana che si trova posizionato davanti alla chiesetta-santuario della Madonna di Capocolonna. Stesso lavoro e sorte interessa anche gli intonaci presenti nell’area termale. Il famoso mosaico, per fortuna, è visibile solo in fotografia tratta da un disegno realizzato, all’epoca, dallo stesso Orsi. Altrimenti buio!

È un pavimento a mosaico policromo così descritto: decorato con una fascia esterna a meandro che cinge una seconda bianca con iscrizione di dedica dei duoviri Lucilius Macer e Anneus Traso, che edificarono il complesso; due fasce nere con fascia mediana decorata a cirri incorniciano l’emblema con rombo centrale, decorato a scacchiera, inscritto in un quadrato con quattro delfini negli spazi angolari.

Continuiamo a sprecare risorse pubbliche senza utilità! Cui prodest?


Infine, un articolo di Crotone News del 02-02-2018 informa che:

Capocolonna: danneggiato il mosaico dei delfini di Paolo Orsi, indaga la Procura

La Procura della Repubblica di Crotone ha un fascicolo aperto sul danneggiamento del mosaico dell’edificio termale di Capocolonna, il famoso “mosaico dei delfini” scoperto nel 1910 dall’archeologo Paolo Orsi.

L’ipotesi di reato su cui sta lavorando la Procura di Crotone è la distruzione di alcuni reperti archeologici tra i quali una parte del mosaico dei delfini. Il danno sarebbe stato provocato nel corso di alcuni lavori di restauro dei mosaici pavimentali. Sarebbero stati rimossi pezzi di cocciopesto romano scambiato per cemento. Secondo uno studio dell’archeologo Alfredo Ruga, infatti, quelle sale del mosaico dei delfini viene defunzionalizzato da vasche con pavimenti mosaicati a vasche per nuotare (natationes).

Nel corso dei lavori di restauro sarebbero intervenuti anche alcuni uomini della Guardia di Finanza e Carabinieri del Comando provinciale di Crotone. Quest’ultimi avrebbero proceduto anche al sequestro di materiale (reperti archeologici) che sarebbe stato rimosso impropriamente e occultato in un’altra stanza delle terme. Si sono attivati anche gli uomini del Nucleo tutela del patrimonio di Cosenza che hanno denunciato la distruzione dei pavimenti e il danneggiamento di intonaci.

Insomma una vicenda che appare alquanto intricata, ma che avrebbe già provocato notevoli danni al patrimonio del “Parco archeologico di Capocolonna” (mai realmente esistito, visto che la maggior parte dei reperti giacciono muto sotto terra). Una vicenda sulla quale vige un inquietante silenzio da parte di associazioni e istituzioni, come se il mosaico (di enorme valore storico e archeologico) fosse il classico “figlio di un dio minore”.

Appare davvero strano agli occhi del semplice cittadino come si possa tacere su una vicenda così grave, mentre si urla e ci si strappa le vesti per altro. Le emergenze archeologiche a Crotone sono tante, diffuse e meriterebbero tutte la stessa attenzione. Del resto questa è la città nella quale per costruire una chiesa è stato demolito parte del Tempio di Hera e decine di palazzi sono stati costruiti su necropoli e reperti archeologici di immenso valore che non potranno mai più essere riportati alla luce. E poi c’è la continua presa in giro dell’Antica Kroton, con la terza o quarta posa della sempre valida “prima pietra” dei lavori.

Qualcuno, non ricordo se un bravo Cetto Laqualunque crotonese, ha detto: “Meno male che c’è lo stadio Ezio Scida a proteggere i reperti archeologici, altrimenti ci avrebbero costruito palazzi di dieci piani sopra e addio reperti”, come avvenuto in tante altre parti della città dove costruttori senza scrupoli e imprese edili complici hanno tombato per sempre quello che greci e romani avevano lasciato come eredità ai crotonesi.


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