Sommario
Comunicato Stampa
Il Segretariato Regionale del MiC per la Calabria, ha reso noto, con un comunicato stampa che a Capocolonna è stata messa in atto operazione di salvaguardia dei resti archeologici di epoca romana dal Ministero della Cultura con il supporto dei Carabinieri del Nucleo Sub di Messina e Nucleo Tutela di Cosenza.
I lavori lavori intendevano proteggere dall’erosione la parte del promontorio ove sono posti i resti archeologici di epoca romana presenti sul ciglio della falesia ed del Santuario di S. Maria di Capo Colonna.
A marzo 2021 il Ministero della Cultura aveva disposto, in procedura di somma urgenza, l’esecuzione dei lavori con un intervento necessario e improcrastinabile a causa del violento nubifragio che si è abbattuto sul promontorio nel mese di novembre 2020.
Con il coinvolgimento del personale di tutti gli Uffici territoriali del Ministero della Cultura, il Segretariato Regionale per la Calabria, la Soprintendenza ABAP per le province di Catanzaro e Crotone, la Direzione Regionale Musei per la Calabria e il Nucleo Carabinieri TPC di Cosenza, le operazioni sono state seguite direttamente dal personale del Segretariato Regionale per la Calabria.
Le opere di difesa costiera sono state precedute da mirate prospezioni subacquee di carattere archeologico e naturalistico, nelle aree interessate dalla posa in opera dei massi e dalle lavorazioni ad essa attinenti e, nei giorni 5, 6 e 7 febbraio, dalle operazioni di recupero di parti di strutture murarie e di un blocco rettangolare in calcarenite locale, relativi ad uno dei triclinia della domus CRr databile agli ultimi decenni del I sec. a.C., precipitati al piede della falesia, in ultimo, negli anni ’50 del secolo scorso.
Lavori per la messa in sicurezza del Santuario di Capo Colonna. Recuperati blocchi murari della domus romana
Fonte: EsperiaTV
Lo scorso 11 febbraio si sono conclusi i lavori di somma urgenza a protezione del Santuario di S. Maria di Capo Colonna (KR) e dei resti archeologici di epoca romana posizionati sul ciglio est della falesia. Le opere di difesa costiera sono state precedute da mirate prospezioni subacquee, di carattere archeologico e naturalistico, nelle aree interessate dalla posa in opera dei massi e dalle lavorazioni ad essa attinenti, e, nei giorni 5, 6 e 7 febbraio, dalle operazioni di recupero di parti di strutture murarie e di un blocco rettangolare in calcarenite locale, pertinenti a uno dei triclinia della domus CRr databile agli ultimi decenni del I sec. a.C., precipitati al piede della falesia, in ultimo, negli anni ’50 del secolo scorso. Con il coinvolgimento del personale di tutti gli Uffici territoriali del Ministero della Cultura (Segretariato Regionale per la Calabria, Soprintendenza ABAP per le province di Catanzaro e Crotone, Direzione Regionale Musei per la Calabria e Nucleo Carabinieri TPC di Cosenza) le operazioni sono state seguite direttamente dal personale del Segretariato Regionale per la Calabria, dott. Salvatore Patamia, dal RUP e Funzionario Restauratore Giancarlo Del Sole, dal Funzionario Archeologo dott. Alfredo Ruga e dal Direttore Operativo-Funzionario Archeologo subacqueo Dott.ssa Alessandra Ghelli, che ne ha curato anche la direzione scientifica con il supporto tecnico operativo del Nucleo Carabinieri subacquei di Messina, al comando del Mar. Magg. Domenico De Giorgio, e del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Cosenza, al comando del Ten. Giacomo Geloso.
Una partecipata collaborazione interministeriale ha visto attivamente coinvolti il Comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri, al comando del Col. Gabriele Mambor, e la Capitaneria di Porto-Guardia Costiera di Crotone, al comando del C.V. (CP) Vittorio Aloi. La particolare ubicazione dei setti murari e del blocco rettangolare, disposti irregolarmente su un tratto di scogliera molto accidentato raggiungibile, in sicurezza, solo via mare e sottoposto all’oscillare periodico delle maree, ha determinato, per le operazioni di recupero, il ricorso a personale specializzato dei Carabinieri subacquei e a mezzi e uomini specializzati in opere marittime.
Nello specifico sono stati recuperati 3 setti murari dello spessore di 0.60 m, di dimensione e peso variabili [A: dimensioni max 2.70 x 1.50 m peso 4.860 kg ca; B: dimensioni max 2.60 x 2.20 m peso 6.860 kg ca; C: dimensioni max 1.70 x 1.45 m peso 3.000 kg ca], costituiti da fondazione in conglomerato cementizio e alzato in opera reticolata, e una soglia di accesso delle dimensioni di 0.92 x 0.48 m, spess. 0.20 m, peso 220 kg ca. Il blocco A giaceva in posizione verticale, appoggiato a porzioni distaccate di falesia e al blocco B; il blocco B, con la fondazione lesionata e in parte staccata, giaceva in orizzontale sopra il blocco C, si appoggiava al blocco A e a grosse sezioni di falesia distaccate; il blocco C era in giacitura orizzontale, parzialmente obliterato da B; la soglia in calcarenite locale era incastrata, in giacitura verticale, tra più sezioni distaccate della falesia.
La dimensione dei blocchi, la posizione degli stessi, lo stato di conservazione molto compromesso, il loro peso, l’accidentalità del luogo e le condizioni meteo-marine hanno fortemente condizionato la tempistica delle operazioni e le azioni lavorative con il ricorso, anche, a specifici cuscini di sollevamento per i blocchi orizzontali. Ogni singolo blocco, una volta assicurato a una struttura lignea di supporto, per mezzo di apposite fasce, di diverso tonnellaggio, veniva sollevato dalla gru presente sul moto pontone dove veniva caricato per poi essere trasportato al Porto di Crotone.
Il recupero delle porzioni di strutture murarie, necessario al completamento della somma urgenza per la messa in sicurezza dei resti archeologici presenti sulla sommità, ha evidenziato e, allo stesso tempo, confermato la particolare cura dell’elaborazione planimetrica della domus CRr; uno dei setti recuperati, infatti, conserva in opera la base di un plinto angolare in calcarenite locale.
Le murature e la soglia, recuperate, sono state trasferite al Museo archeologico nazionale di Capo Colonna, temporaneamente disposte nell’aiuola di fronte all’ingresso del Museo nel raggio di azione delle telecamere. Oggetto immediato di sopralluogo tecnico da parte di restauratori specializzati, saranno in tempi celeri sottoposte a interventi di trattamento conservativo.
Sull’argomento anche un breve articolo su Il Crotonese
Conclusa la prima fase dei lavori di messa in sicurezza della falesia.
Critica la posizione di Francesco Pedace su “Il Crotonese“.
E’ un primo intervento verso una soluzione più duratura, in grado di contrastare efficacemente l’azione erosiva del mare, ma che contrasterà con la tutela paesaggistica del promontorio, e con il percorso finora seguito per il “progetto di recupero archeologico e naturalistico dell’area con la creazione del parco e dell’annesso museo”.
“Nei lavori di somma urgenza portati a termine di recente sotto il santuario non ci sono tracce degli interventi prospettati a suo tempo con il progetto del parco. Nello specifico, la prosecuzione della ricarica del piede della falesia (in parte già realizzata) e la creazione di una barriera soffolta a distanza con l’utilizzo di grandi massi naturali di calcarenite a pelo d’acqua in grado di reggere l’urto delle onde”.
“Gli uffici regionali del ministero della Cultura, che nei giorni scorsi hanno annunciato la conclusione della prima parte dei lavori, hanno optato per l’ingrossamento della scogliera esistente con massi di piccola taglia poggiati nei punti di contatto più critici tra il mare e la falesia; massi che per reggere la forza impattante delle onde verrano verosimilmente cementati, nell’ottica di realizzazione della diga della quale si è più volte parlato all’indomani del crollo della scogliera sul lato opposto a quello dove sorge la chiesetta, durante il nubifragio del novembre 2020”.
“Né ricarica del piede della falesia per riempire gli sgrottamenti, né barriera a pelo d’acqua, quindi. I lavori di somma urgenza, finanziati con 300mila euro, sono la prima pietra di un intervento più articolato e complesso che prevede la cinturazione di una parte del promontorio con l’ingrossamento della scogliera naturale fino alla creazione di una barriera sopra il livello del mare, più alta in corrispondenza (sembra oltre i cinque metri) del santuario e più bassa mano mano che si allunga verso la Colonna. Un intervento di sicuro efficace, come dimostra la cementificazione della base della fortezza di Le Castella che da circa quarant’anni tiene a bada il sito aragonese dall’urto delle onde”.
“Ma anche paesaggisticamente grossolano, un controsenso rispetto alla natura del Lacinio, il cui progetto originario di tutela e ricostituzione paesaggistica era basato innanzitutto sul rispetto delle caratteristiche naturali del luogo. Basti pensare agli interventi di consolidamento realizzati a cavallo tra il vecchio ed il nuovo secolo, quando si procedette in una prima fase al ricarico del piede della falesia con blocchi di calcarenite ed alla stabilizzazione della parete con micropali valvolari inseriti in orizzontale fino a sessanta metri e malte cementizie. Successivamente lo stesso sistema venne esteso con il secondo lotto di lavori del parco archeologico ad ulteriori cinquecento metri di scogliera da una parte e dall’altra dal santuario della Vergine. Sistema che ha retto per circa venti anni ed avrebbe dovuto essere completato con la barriera soffolta a distanza”.