Fonte: La Provincia KR

Sulle raffigurazione di una sola moneta è adombrata quasi l’intera storia della fondazione della colonia.

Durante la bella ed estesa monetazione d’argento, la città di Kroton, ubicata nell’antico Bruttium, qualche decennio dopo aver abbandonato la coniazione a tecnica incusa, emise un’interessante serie, di cui sono noti ben pochi esemplari.
Tali pregevolissime monete, mirabili per esecuzione e composizione artistica, presentano al diritto ed al rovescio un’eloquente attestazione di storia e mitologia che vale la pena qui ricordare, soprattutto in considerazione del fatto che gli studiosi di numismatica non sembrano aver prestato la dovuta attenzione per un documento, all’opposto, così interessante, per quel che, mi auguro, riuscirò a dimostrare.

Scheda della Moneta

Statere d’argento (gr. 7,55), diametro mm. 20 – (foto ingrandita di almeno 5 volte in più del naturale). (L’esemplare è tratto dal testo di G.K. Jenkins, “Ancient Greek Coins“, Edizioni Seaby, Londra 1990).

  • D/ Herakles nudo, in sembianze giovanili, con tenia tra i capelli, seduto a sinistra su una roccia coperta dalla pelle leonina; nella mano destra agita un ramoscello di lauro, nella sinistra regge la clava, alla quale si appoggia; davanti, sulla sinistra, c’è un’ara sul quale arde la fiamma; dietro, in basso sulla destra, arco e faretra; in alto a destra legenda OIKISTAS, in esergo due pesci affrontati.
  • R/ Tripode delfico, a sinistra Apollo nudo con clamide intorno alla gamba sinistra, armato d’arco, scaglia frecce contro il serpente Pitone, collocato alla destra del tripode, raccolto in minacciose spire. Dal tripode pendono infule sacre e lemnischi. Fa da podion a tutta la scena, una doppia linea che serve altresì a delimitare l’esergo, dove si ha la legenda KPOTON.

Il Gardner, “Types of Greek Coins”, Cambridge 1883, aveva osservato che il diritto raffigura Herakles, ecista della città, mentre compie i riti lustrali di purificazione per l’omicidio, sia pure involontario, di Kroton, patriarca indigeno, figlio d’Eaco e fratello d’Alcinoo. Le lettere della scritta OIKISTAS, in effetti, sono di disegno più antico di quanto non comporti la data d’emissione della moneta. In ogni caso la scena ci fa capire assai chiaramente che i Crotoniati consideravano Herakles il fondatore mitico della Polis. Secondo una leggenda, peraltro accreditata da numerosi autori, aveva elevato alla memoria di Kroton, suo ospite ed amico, una magnifica tomba. Era accaduto, racconta Diodoro Siculo d’Agyrion (lib. (IV, 27,7) che l’Alcide aveva ricevuto da Kroton, personaggio autoctono di gran prestigio presso le popolazioni locali, benevola e cordiale ospitalità, allorché era di ritorno dall’Iberia, passando per il litorale ionico, conducendo il bestiame sottratto a Gerione per ordine d’Euristeo, cugino dell’Anfitrionide al quale l’eroe, figlio di Zeus, si era dovuto sottomettere per espiare le colpe della sua follia.

Il suocero di Kroton, Lakinios, rubò nottetempo alcuni capi degli armenti. Della cosa si avvide subito Herakles il quale s’azzuffò col ladrone e, sempre secondo Diodoro, stava per essere sopraffatto. Il povero e malcapitato Kroton, ligio ai più sacri ed antichi doveri d’ospitalità, accorse in aiuto del figlio di Zeus, purtroppo accadde che l’Alcmenide, roteando furiosamente la terribile clava, uccise sia il ladrone e sia l’incolpevole Kroton. Piangente e molto amareggiato, Herakles allestì una tomba monumentale in onore dello sfortunato amico e, riuniti gli abitanti del luogo, predisse loro che su quella stessa località sarebbe di lì a poco sorta una potente città col medesimo nome del defunto: Kroton. In effetti, il fondatore storico di Crotone, Miscello di Ripe, figlio d’Alemone, ebbe l’ordine da Herakles, in sogno, di recarsi a fondare la città di Kroton, sulla riva del fiume Aisaros.

Ovidio, nelle Metamorfosi, lib. XV, versi 12-59, racconta l’episodio. Le leggi della città di Ripe impedivano a Miscello d’emigrare così lontano, pena la morte. Il povero ecista crotoniate fu sottoposto a giudizio e venne assolto solo per un “prodigium” di Herakles: le pietruzze per la votazione nell’urna risultarono tutte bianche, da nere che erano e ciò permise all’incerto Miscello la partenza alla volta dell’Italia.
Da quanto esposto, si evidenzia abbastanza chiaramente la mescolanza di mito e storia. In effetti, i dati corrispondono; il nome Miscello, della stirpe degli Eraclidi, non può essere frutto d’invenzione poiché si trova attestato in numerosissime fonti greco-latine. Il culto di Herakles è abbastanza documentato nelle nostre contrade e non solo per Crotone, la cui fondazione va collocata, alla luce delle ultime risultanze archeologiche, verso il 733 a.C.

Il fatto di sangue tra Herakles e Kroton adombra sicuramente le lotte che i primi coloni, provenienti dalla madrepatria, ebbero a sostenere con gli autoctoni, i quali non gradivano, com’è naturale, la presenza d’estranei sul loro suolo. Credo che il fatto vada, però, inquadrato in una fase di un’ormai certa precolonizzazione micenea, anche se non ampiamente attestata.
Per quanto riguarda il rovescio, siamo di fronte ad una scena ancor più complicata ed intrecciata di quella del diritto. Nelle fonti degli antichi storiografi si ricava, infatti, che Crotone è un'”Apoikìa” d’origine delfica. La città, in altri termini, sarebbe stata fondata per volere d’Apollo delfico, il quale, per tramite della Pizia, ordinò a Miscello di andare ad edificare Kroton tra la sacra Krimisa (=attuale Cirò Marina), il fiume Esaro ed il promontorio Lacinio. Tant’è vero che il tipo primario impresso sulla quasi totalità delle emissioni monetali crotoniati è il tripode delfico.

Lo storico Hyppis di Rhegium parla dell’arrivo di Miscello a Crotone. Zenobio, in un frammento, narra che Miscello avrebbe preferito colonizzare Sibari (già fondata, però, secondo quanto tramanda Strabone d’Amasia), anziché Crotone. L’ecista, addirittura, contravvenendo al decreto divino, tornò indietro a Delfi per chiedere se la cosa fosse possibile. Tremendo e minacciose furono le parole del Dio, per bocca della Pizia, riferite da Antioco e confermate da Strabone: “Miscello dal dorso corto (Miscello, per caso, era leggermente gobbo) agendo contro il volere degli dèi raccoglierai altri guai; accetta, dunque, e di buon grado, il dono che ti viene dato”.

Una tale irata risposta valse a dissipare ogni ulteriore dubbio dalla mente del titubante Miscello, archegeta crotoniate, il quale dopo aver scelto la salute per la città che si accingeva a fondare, ripartì alla volta del luogo, dove sorse Crotone, accompagnandosi con Archia, il fondatore di Siracusa, che, a sua volta, navigava verso la Sicilia.

Volendo spiegare l’iconografia del rovescio si vede ben chiaramente il dio Apollo, figlio di Zeus e di Latona, mentre scaglia frecce dal suo arco d’argento contro il mostruoso ed immane serpente (nato dal fango della Terra dopo il diluvio di Deucalione) che l’implacabile gelosia della furente Hera aveva suscitato contro la madre d’Apollo ed Artemide, allorché era venuta a sapere l’ennesima infedeltà del marito Zeus, impenitente puttaniere.
Il serpente non concedeva mai tregua a Latona, né riposo, inseguendola nella sua fuga disperata sulla Terra. Quest’ultima, per ordine di Hera, si rifiutava di concederle ospitalità, finché Latona cercò rifugio nell’isola ondeggiante ed instabile d’Ortigia (in seguito ribattezzata col nome di Delos), che poi Poseidon, mosso a compassione della dea, rese salda e ferma.
Dopo che Latona partorì Apollo ed Artemide, il dio con una delle sue infallibile frecce uccise Pitone e con la pelle di questo ricoprì il tripode sul quale la Pizia dava i responsi nell’oracolo di Delfi. Si narra che il dio della luce, dopo aver abbattuto il serpente, ne bruciò la carogna, rinchiudendone le ceneri in un sarcofago che sotterrò nella parte centrale del tempio a Delfi e, per placare la collera del mostro ucciso, istituì in suo onore i giochi funebri denominati Pitici.

Detto per inciso e volendo ancora una volta trovare riscontri ben precisi tra mito e storia, qualche tempo prima dell’emissione della quale mi sto occupando, il grande atleta crotoniate Milone, figliolo di Diòtimos, aveva riportato per ben sei volte in Olimpia la palma del vincitore e per altre sette volte era stato dominatore incontrastato nei giochi Pitici e ben nove furono le vittorie conseguite nelle Nemee. La maggior parte degli antichi scrittori tramandarono che in trentadue occasioni, le più belle ragazze di Crotone avevano tagliato con il falcetto d’oro, secondo un rituale del tempo, l’ulivo sacro per fare la sua corona di gloria.

La rappresentazione del rovescio, secondo alcune fonti del passato, fu tratta da una scultura di Pitagora reggino, uno dei più accreditati artefici dei bronzi di Riace. L’opera sarebbe stata ubicata nel tempio d’Apollo Aleo, sul promontorio di Krimisa, l’odierna punta Alice in Calabria. L’ignoto cesellatore del conio ha dimostrato particolare abilità nel ritrarre, in un ridotto tondello monetale, lo slancio plastico dell’erma originaria. Quest’ultima, purtroppo, non si è conservata fino ai nostri giorni. Il dio Apollo, dunque, ha avuto fondamentale importanza nella storia crotoniate ed in quel serpente è possibile scorgere una chiara allusione ai numerosi nemici della potente polis magno-greca, che, con l’aiuto e la protezione del possente Dio, vennero superati.

Altra spiegazione plausibile dell’iconografia impressa sul rovescio dello statere, potrebbe essere la vittoria della luce sulle tenebre e la predominanza del bene sul male.
Unica stranezza nella coniazione di questa serie monetale è la mancanza di firma da parte dell’incisore, perlomeno sugli esemplari finora noti; sarebbe interessante poter avere maggiori ragguagli su un così valido maestro, anche se rimane mia modesta convinzione che si tratti di maestranze italiote e non provenienti dalla madrepatria.
Ma questo, sugli incisori della zecca crotoniate, in ogni caso, è un discorso che deve essere ancora affrontato su basi più sicure e certe, principalmente perché i dati oggettivi e le fonti sono, allo stato, a dir poco insufficienti.