Strongoli / Mausoleo romano detto “Pietra del Tesauro” o “del Tesoro”

A sud della Marina di Strongoli, in località Pizzuta di Giunti, a pochi metri dalla strada provinciale e non molto distante dal fiume Neto troviamo la Pietra del Tesauro, un mausoleo di età romana a forma di parallelepipedo in mattoni rossi; la camera è interrata e della porta d’ingresso non restano tracce.

Descrizione

E’ un sepolcro naomorfo (monumento funerario a forma di tempio) con nucleo interno in opus caementicium, cortina in opera laterizia, copertura a due falde spioventi e probabile inquadramento architettonico dorico. Una semplice cornicetta in aggetto foderata da laterizi segue le linee di gronda. Sul lato corto meridionale è posto l’ingresso attraverso il quale si accede ad una camera sepolcrale, con volta a botte a tutto sesto, attualmente quasi del tutto interrata.

Ha caratteristiche strutturali simili ad un coevo monumento funerario di Scolacium.

Epoca realizzazione

In assenza di indicazioni stratigrafìche il mausoleo è da datarsi intorno alla prima metà del II sec. d.C. 1, quindi durante l’alto impero romano, sotto la dinastia degli imperatori Antonini nel cosiddetto “secolo d’oro”. All’epoca della costruzione del mausoleo, Petelia era già, da più di un secolo, municipio romano.

Il mausoleo si ritiene sia una pertinenza della vicina villa romana di Santi Quaranta 2. La villa si trova immediatamente sopra il Mausoleo; sono stati rinvenuti i ruderi di una grande villa romana. La villa, posta a Sud di Petelia su di un pianoro sommitale, dominava la confluenza del Neto e del Vitravo. L’edificazione della villa è del I° sec. a.C. , e raggiunse il suo apogeo tra il I° ed il II° sec. d.C. 3. La datazione delle sue strutture, sconvolte dagli scavi clandestini, dovrebbe essere contemporanea a quella del mausoleo, come viene dimostrato dai pochi materiali raccolti, tra cui un capitello dorico in cotto. GIi scavi in tale località vennero condotti nel 1878, dall’Ispettore alle Antichità Nicola Volame.

Ancora evidenti, oltre al mausoleo, tracce di centuriazione4, una strada romana di accesso al centro urbano e, non lontani, laterizi di strutture pertinenti a una villa. È stata individuata, inoltre, una vasta area di dispersione di fìttili: una gran quantità di materiale edilizio (regole, laterizi e diversi rocchi circolari in cotto, forse di suspensurae) e numerosi frammenti ceramici.

La Pietra del Tesauro è uno dei pochi mausolei romani presenti in Calabria((Gli altri mausolei in Calabria sono:
-Il mausoleo di Treodoliche, a Cirella nel cosentino, non accessibile
-il mausoleo di Pergolo, a Tortora Marina nel cosentino, visitabile
-il mausoleo a Capo Suvero, nel catanzarese, raso al suolo
-un mausoleo in prossimità del parco archeologico di Scolacium, a Roccelletta di Borgia nel catanzarese, in una proprietà privata
(informazioni raccolte da Giuliano Guido) )), ed è ancora conservato discretamente, anche se rimane abbandonato a se stesso, senza un cartello che lo indichi o un’insegna che ne ricordi il periodo e la storia; solo di recente è stato ripulito ad opera di volontari di Strongoli dalla vegetazione infestante e da un albero che lo stava distruggendo((Rif. “Archeologia: Pro Loco di Strongoli tutela la Tomba del console Marcello” in cntv24.it del 06-05-2018)). Questa piccola costruzione, sventrata, nei suoi rossi mattoni, resiste nel suo statuario silenzio, alla pioggia, al vento, ai terremoti, alle piene del fiume, ai cercatori di tesori, agli sguardi distratti e per ultimo all’incuria dell’uomo.

La Morte del Console Marco Claudio Marcello

Secondo una leggenda locale – ma nata dall’interpretazione dell’Ispettore alle Antichità Nicola Volante a seguito degli scavi da lui condotti nel 1878 – il mausoleo avrebbe ospitato le spoglie del console romano Marco Marcello; questi però era caduto nel 208 a.C. durante gli scontri contro Annibale, in Basilicata (Livio, 27.27.1-7; Plutarco, Marc. , 29) – circa 300 anni circa prima dell’epoca di realizzazione del mausoleo. L’ipotesi ad oggi non sembra verosimile perché rialzerebbe di molto la cronologia5.

Marco Claudio Marcello è’ stato un politico e militare romano, console per cinque volte, vincitore dei Galli insubri (si dice abbia ucciso di sua mano Viridomaro); militò durante la Seconda guerra punica, dirigendo la ripresa di Roma dopo la disfatta di Canne. Soprannominato la “spada di Roma”, fu il conquistatore di Siracusa (durante l’assalto alla città perì lo scienziato Archimede), guadagnando ai romani il possesso della Sicilia.

Nel 209 a.c. a Marcello venne prorogato il comando come proconsole (governatore di provincia). Egli attaccò Annibale nelle campagne di Strapellum (Rapolla) vicino a Venusia (Venosa) ma dopo una battaglia disperata si ritirò nella città. Nonostante le tante vittorie venne accusato di comando carente e dovette lasciare l’esercito per essere processato a Roma. Venne però assolto tanto che l’anno dopo venne eletto ancora console.

Nel 208 a.c., mentre era in ricognizione con il suo collega Tito Quinzio Peno Capitolino Crispino nei pressi di Venusia6, precisamente tra Bantia e Venusia,7, i Romani furono attaccati di sorpresa e Marcello rimase ucciso dalla cavalleria cartaginese. Annibale, che aveva avuto sempre una grande ammirazione per Marcello, fece cremare il suo corpo, depose le ceneri in un’urna d’argento e le restituì al figlio, Marco Claudio Marcello, poi console nel 109 a.c..

Polibio, storico greco antico ( 206 a.C. circa, 118 a.C.), utlizzato come fonte anche da Tito Livio, criticò fortemente l’imprudente comportamento dell’anziano console Marcello in occasione della sua morte, con la rabbia e il dispiacere per una perdita così importante, di un uomo che aveva sempre associato il coraggio alla strategia e alla prudenza.

Morte del Console Claudio Marcello, estratta dalle Storie di di Polibio, tradotta in italiano
32
1 I consoli, desiderosi di sorvegliare con precisione il lato della collina che era rivolto verso l’accampamento nemico, ordinarono al resto delle loro forze di rimanere nel campo trincerato, 2 e loro stessi prendendo due truppe di cavalleria e una trentina di veliti insieme alla loro i littori avanzarono per riconquistare il terreno. 3 Alcuni numidi, che avevano l’abitudine di mentire in un’imboscata per gli schermagliatori e in generale per tutti i nemici che uscivano dal loro accampamento, erano nascosti per pericolo ai piedi della collina. 4 Alla loro segnalazione segnalando loro che alcuni nemici erano apparsi sulla cresta della collina appena sopra di loro, si alzarono e marciarono obliquamente sul pendio, interruppero i consoli e impedirono il loro ritorno al loro accampamento.
5 Marcello e alcuni altri con lui furono abbattuti alla prima insorgenza e gli altri furono feriti e costretti a prendere il volo lungo le rocce in diverse direzioni.
6 I romani nel campo, sebbene fossero spettatori di ciò che stava accadendo, non avevano alcun mezzo per venire in aiuto dei loro compagni che erano in pericolo. Perché mentre stavano ancora urlando in uno stato di grande costernazione, alcuni di loro imbracciavano i loro cavalli e altri indossavano la loro armatura, l’intera faccenda era finita. Il figlio di Marcello fu ferito e con grande difficoltà e oltre ogni aspettativa fuggì.
7 Marcello, si deve confessare, portò questa sventura a se stesso comportandosi non tanto come un generale quanto come un sempliciotto. 8 Durante questo lavoro sono spesso costretto a richiamare l’attenzione dei miei lettori su tali eventi, poiché osservo che i generali sono più propensi a fare errori in questa materia che in qualsiasi altra parte del loro dovere di comandanti, sebbene l’errore sia tale ovvio. 9 A che serve un generale o un comandante che non comprende che deve tenersi il più lontano possibile da tutti gli incontri parziali in cui il destino dell’intero esercito non è coinvolto?
10 A che serve se non sa che, se le circostanze a volte costringono i comandanti a intraprendere di persona tali incontri parziali, devono sacrificare molti dei loro uomini prima che si verifichi il pericolo di avvicinarsi al comandante supremo del tutto? 11 Lascia che il rischio sia per il Carian (ndr uno schiavo di modesto valore), come ha il proverbio, e non per il generale. 12 E per dire “Non avrei mai dovuto pensarlo” o “Chi si sarebbe aspettato che accadesse?” che in generale è il segno più evidente di incompetenza e ottusità.
33
1 Per questo motivo, mentre consideriamo Annibale come un buon generale in molti modi, dovremmo porre particolare enfasi sul fatto che dopo aver trascorso molti anni in un paese ostile e aver incontrato una grande varietà di fortuna, frequentemente con la sua intelligenza pettinata il nemico in scontri parziali, mentre non ha mai incontrato disastri per se stesso nonostante le numerose e gravi battaglie in cui si è impegnato, 3 la cura che ha preso per la propria sicurezza è stata così grande.
4 E anche molto correttamente; perché quando il comandante è sano e salvo, anche se si verifica una sconfitta totale, la fortuna fornisce molti mezzi per recuperare la perdita, 5 ma se cade, proprio come nel caso del pilota di una nave, anche se la fortuna dà vittoria a i soldati, non serve loro, poiché tutte le loro speranze dipendono dai loro capi.
6 Tanto per coloro che cadono in tali errori dall’ostentazione e dalla vanità infantile o dall’inesperienza o dal disprezzo del nemico.
7 Uno o l’altro di questi è sempre la causa di tali incidenti. . . .

Un racconto più approfondito della vicenda viene fatto da Plutarco (48 d.C. circa 127 d.C.circa), nella sua opera più famosa “Vite parallele, biografie”.

Vita di Marcello, estratta dalle S Vite parallele, biografie di Plutarco, tradotta in italiano
Questo era ciò che (Marcello) sognava di notte: questo era il solo affare intorno a cui consultava cogli amici e colleghi suoi: ed era questo il solo voto, ch’ei faceva agli Dei: di poter battersi con Annibale in una battaglia campale. …omissis …
Ed io son di parere che con esso lui molto volentieri venuto sarebbe alle mani, stando chiusi ambedue gli eserciti entro un qualche muro o steccato; e se non fosse stato egli così colmo di glorie e d’onori e se non avesse date assai prove di solidezza e di prudenza al pari di qualunque altro capitano, io direi che certamente che si fosse lasciato prendere da passion giovanile e ambiziosa, più che non si conveniva a personaggio cotanto provetto, tanto che quando fu nominato console per la quinta volta aveva già passato i 60 anni.
Nonostante ciò, compiuti i sacrifizi e le purificazioni, ordinate dagli indovini, uscì fuori alla guerra insieme col suo collega, e accampandosi tra Banzia e Venosa, andava spesso provocando Annibale, il quale però non discendeva a battaglia.
Annibale, sentendo che i Romani avevano inviato una parte della milizia a contro Locri Epizefiri, ordinò un agguato sotto il colle di Petelia, e ne uccise 2.500.
Ciò irritò maggiormente Marcello, e lo stimolò alla battaglia. onde, levando il campo, si portò più vicino ad Annibale.
Fra l’uno e l’altro esercito c’era un poggio assai forte, tutto selvoso, con vette inclinate all’una parte e dall’altra, e con sorgenti d’acqua, che giù discorreva.
Ai Romani il posto sembrava opportino per i loro fini, ma ad Annibale sembrava invece buono non per accamparsi, ma per organizzare agguati. Per questo riempì la scarpata di arcieri e di soldati armati di aste.
….
Parve adunque bene a Marcello di dover andarsene insieme con parecchi cavalli per osservare il luogo; .. poi sacrificò, …. con felici presagi. Ma come dice Pindaro: ciò che è prescritto dal destino, nè fuoco, nè parete di ferro, ad impedir vale.
Marcello portato con se il collega Crispino ed íl proprio figliolo, ch’era tribuno dei soldati, uscì fuori deg1i alloggiamenti con 250 cavalli …
Easendo quel poggio così selvoso ed opaco, vi stava in cima uno vedetta dei Cartaginesi, che non poteva essere vista dai Romani, ma avvistava tutto il campo dei Romani. La vedetta avvertì i compagni di ciò che facevano i nemici; essi, lasciato avvicinare Marcello, improvvisameote si alzarono, e, circondata la squadra, l’attaccarono.
I Romani fecero resistenza, finchè Crispino venne ferito da 2 frecce, e si allontanò a cavallo; Marcello trafìtto da una lancia che gli passò i fianchi da una parte all’altra cadde morto.
I soldati Romani lasciarono lì il caduto console Marcello e recuperato anche suo figlio che era rimasto ferito, scapparono vero il loro campo.
I morti furono poco più di 40, mentre vennero fatti prigionieri 18 cavalieri e 5 littori.
Il console Crispino sopravvisse per pochi giorni, per poi morire per le ferite riportate.
E questa fu la prima volta che ai Romani accadette di l’infortunio di perdere ambedue i consoli per un solo conflitto.
Annibale teneva in pochissima consideraziooe la morte degli altri, ma quando sentì ch’era caduto morto anche Marcello, si recò di persona sul luogo dell’agguato, e considerata la robustezza del corpo e le sembianze, non espresse alcuna arroganza, nè si mostro contento che un così potente nemico era morto, ma soprendendosi dell’inaspettata morte di un uomo così importante, gli levò dal dito l’anello, e adornatone il corpo in maniera decorosa, lo bruciò.
Poi poste le ceneri in un’urna d’argento e messavi sopra una corona d’oro, le inviò al figliolo dello stesso Marcello.
Ma alcuni Numidi, che avevano incontrato i messaggeri di Annibale, volendo rapinargli l’urna, ecero cadere l’urna, così che le ceneri andarono disperse.
Annibale castigò quei Numidi, ma non si preoccupò ulteriormente di raccogliere le ceneri e di farle portare al figlio, così che Marcello restò morto e insepolto.
Queste vicende sono così raccontate da Cornelio Nepote e da Valerio Massimo.
Invece Livio e Cesare Augusto lasciarono invece scritto che l’urna fu portata al figlio e seppellita
.

Nonostante che i racconti di Livio e di Plutarco non lascino dubbi del fatto che il corpo venne cremato, a Venosa, si crede ancora che il suo corpo sia seppellito in un antico tumulo romano, chiamato appunto, “Tomba di Marcello” (per approfondire histantartsi.eu). Queste notizie traggono fonte da ipotesi degli eruditi lucani del XVIII-XIX secolo che ipotizzano l’esistenza di una seconda Petelia «capitale» dei Lucani, da localizzare in Basilicata, duale rispetto alla Petelia della Magna Grecia, cioè dell’attuale Strongoli.

Una analoga tradizione popolare c’è a Strongoli, e forse per questo il mausoleo non è stato distrutto, come purtroppo è avvenuto per la quasi totalità per delle evidenze antiche di Petelia.

La Leggenda del Tesoro

La denominazione di “Pietra del Tesoro” è legata ad una macabra leggenda locale che vorrebbe la presenza di un tesoro nel mausoleo, per venire in possesso del quale sarebbe necessario immolarvi la vita umana di una ragazza vergine. Questa, partendo di corsa dalla sovrastante collina di «Santi Quaranta», dovrebbe andare a cozzare, volutamente, contro di esso, ed in modo così violento, da imbrattarlo tutto con gli schizzi della sua fuoruscita materia cerebrale. Solo allora, dice la leggenda, il Mausoleo si aprirebbe per lasciare scoprire il tesoro che vi si contiene. Il fantasioso racconto voleva, probabilmente, evidenziare la solidità della costruzione, “così fortemente cementata da resistere ad ogni tentativo fatto da ignoti con mazze e picconi“(((Vaccaro 1966) , Vol. 2, p. 119-120)).

La scafa del Neto

Tra i significati di “scafa”, quello in uso nei secoli 17° e 18°, di qualsiasi imbarcazione, mercantile o militare, usata sia per la navigazione marittima sia per quella fluviale (rif. Diz. Treccani), ed in maniera estensiva il servizio di traghettamento per l’attraversamento dei fiumi.

Il servizio della scafa del Neto, che veniva dato in gestione a vassalli del feudatario di Strongoli, e era utilizzato per l’attraversamento del Neto era posizionato, a giudicare dal punto indicato nell’Atlante Rizzi-Zannoni del 1808, a valle della congiunzione del fiume Vitravo con il Neto, non lontano dalla Pietra del Tesauro, in contrada Pizzuti del Giunto, quindi nei pressi dall’antica Statio romana di Meto (Rif. S.Medaglia-2010 pp.186-187), ove probabilmente era svolto un servizio analogo a servizio della viabilità. Su questo argomento si può approfondire attraverso lo studio storico di Andrea Pesavento “il Passo del Neto“, presente in Archivio Storico Crotone.

Posizione della scafa del Neto nell’Atlante Rizzi-Zannoni del 1808 (a sinistra),
riportata nella probabile posizione sulla Carta Tecnica del 1954 (a destra)

Video divulgativo

Galleria Fotografica

Fotografie di Giuseppe Celsi e Giuliano Guido


Bibliografia

(Medaglia 2010) Salvatore Medaglia, Carta archeologica della provincia di Crotone. Paesaggi storici e insediamenti nella Calabria centro-orientale dalla Preistoria all’Altomedioevo, 2013, Università della Calabria.

(Castiglione, 2013) Marianna Castiglione, Le necropoli romane di Petelia: riesame dei dati archeologici e proposte interpretative, Accademia Nazionale dei Lincei, 2013

(Luppino 1980) Silvana Luppino, “Strabone VI l ,3 : I Lucani a Petelia”, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania 1980-81 XLVI.

(Vaccaro 1966) Angelo Vaccaro, Kroton, MIT-Cosenza, 1966

(Plutarco): Plutarco, Le vite degli uomini illustri di Plutarco, tradotta in italiano dal Conte Pompei, Consulta su Google books.

Articoli Correlati

  1. Medaglia 2010 , p.199 []
  2. Medaglia 2010, p.199 []
  3. Castiglione, 2013, p. 114-115 []
  4. la centuriazione (centuriatio o castramentatio) era il sistema con cui i romani organizzavano il territorio agricolo, basato sullo schema che già adottavano nei Castrum e nella fondazione di nuove città. Si caratterizzava per la regolare disposizione, secondo un reticolo ortogonale, di strade, canali e appezzamenti agricoli destinati all’assegnazione a nuovi coloni (spesso legionari a riposo). Per altre informazioni https://it.wikipedia.org/wiki/Centuriazione []
  5. M. De Cesare, Strongoli in Biblliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche, 19, Pisa-Roma-Napoli 2005, pp. 680- 729, p. 696 []
  6. Venosa si trova a nord-est della provincia di Potenza, al confine con la Puglia []
  7. Livio XXVII, 27 []