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Abari (Αβαρις) è ricordato come un Iperboreo da Pindaro (fr. 270) e da Erodoto (IV, 36); in séguito da numerosi altri scrittori che gli attribuiscono guarigioni miracolose di pestilenze, operate in Grecia, oracoli, e portenti vari. Così la sua leggenda si accrebbe di numerosi elementi, finché i neo-pitagorici dell’epoca imperiale Giamblico e Porfirio, nelle loro Vite di Pitagora, ne fecero un precursore di questo. Parallelamente a questa, si nota anche la tendenza a collocarne la vita in un’antichità sempre più remota. La figura di Abari ci appare quindi, come quella, p. es., di Zamolxis, collegata intimamente con quella fioritura di sètte mistiche, dionisiache, che è una delle caratteristiche più importanti della vita greca nel sec. VI a. C. (da Enciclopedia Treccani).

Gli Iperborei (Ὑπερβόρεoι o Ὑπερβόρειoι, “coloro [che vivono] oltre βορέας”), secondo le fonti letterarie antiche (Ecateo di Mileto, Ecateo di Abdera, Esiodo, Pindaro), erano un popolo che viveva in una terra lontanissima, l’Iperborea, situata a nord della Grecia. Questa regione era un paese perfetto, illuminato dal sole splendente per sei mesi all’anno. Dovunque fosse collocata per i Greci, questa terra simboleggiava, come Atlantide, le Amazzoni e i Centauri, una civiltà misteriosa e sconosciuta situata all’estremità del mondo conosciuto.

Gli Iperborei erano considerati un popolo privilegiato, caro ad Apollo che, subito dopo la nascita, si sarebbe recato presso di loro sopra un carro tirato da cigni1. In un’ode Olimpica (n. 3) Pindaro racconta della visita di Ercole agli Iperborei dopo l’inseguimento di una cerva attraverso il Danubio. Ercole da lì riportò gli ulivi che piantò nel sito di Olimpia, in preparazione dei primi Giochi Olimpici2.

Secondo la leggenda, Abari, per aver esaltato in versi il viaggio di Apollo agli Iperborei, fu fatto primo sacerdote di Apollo Iperboreo e avrebbe ricevuto dal dio il dono dello spirito profetico e una freccia d’oro che si portava sempre dietro. Secondo alcune tradizioni anteriori la freccia gli permetteva di volare e grazie ad essa girava per tutta la Grecia guarendo ammalati senza mai toccare cibo.

Abari e Pitagora

Vari aneddoti su questo personaggio sono citati nella Vita Pitagorica di Giamblico, dove si narra che Abari debellò la peste in molte città, fra cui Sparta e Cnosso (VP 92-93). Abari compare in una scena accanto a Pitagora alla corte del tiranno siciliano Falaride. I due saggi discutono su argomenti divini e sollecitano l’ostinato tiranno a seguire la virtù (ibid. 215-221).

Sempre secondo Giamblico fra i due saggi vi fu uno scambio di doni: Abari donò la sua freccia d’oro a Pitagora, che in cambio gli mostrò la sua coscia d’oro. Alcuni studiosi tendono a credere che la freccia rappresenti una bussola e la coscia d’oro non sia altro che il rapporto aureo.

Giamblico – Summa Pitagorica (Bompiani), v. 90-91

Abari infatti giunse dagli Iperborei, dove era sacerdote di Apollo, quando era già di età avanzata e sapientissimo in campo religioso, di ritorno dalla Grecia verso il suo paese, per depositare nel tempio degli Iperborei l’oro che aveva raccolto per il suo dio.
Egli allora, passando per l’Italia e vedendo Pitagora e credendo che somigliasse moltissimo al dio di cui egli era sacerdote, e convinto che non era altro che lo stesso dio, e quindi neppure un uomo simile a quello, ma realmente il dio Apollo, e partendo da certi indizi che vedeva in lui e che erano quei venerabilissimi segni che egli, in quanto sacerdote, riconosceva, consegnò a Pitagora una freccia che egli aveva preso dal tempio quando era partito, perché gli sarebbe potuta servire in occasione di situazioni difficili che avrebbe potuto incontrare durante un cosi lungo pellegrinaggio.

Questo passaggio di Giamblico suggerisce che: “Pitagora sarebbe dunque stato salutato dai Krotoniati quale Apollo Pizio ovvero Iperboreo. La tradizione successiva non contraddice e chiarisce che siamo di fronte all’attestazione di una vera e propria credenza circa una peculiare natura di Pitagora“, pone una serie di domande senza una risposta sicura: “sistevano già in ambiente acheo, al momento dell’arrivo di Pitagora, aspetti di apollinismo iperboreo, mediati forse dai contatti del mondo magno-greco con gli ambienti milesi e le esperienze pontiche e scitiche di questi? Oppure tali aspetti facevano parte del personale patrimonio culturale di Pitagora stesso? In che modo l’apollinismo krotoniate, venne in qualche modo a saldarsi con l’apollinismo pitico? 3.

Intorno al VI sec. a.C. città costiere come Mileto, Efeso, e isole come Samo presentano un panorama culturale articolato e centri di intenso scambio con l’Egitto. In queste zone si situa l’emergere di fenomeni estatici legati alla sfera dell’Apollo « iperboreo », nella quale poi si inquadra anche Pitagora4.

  1. Iperborei in Enciclopedia Treccani []
  2. Mark Cartwright, “Iperborea” in Word Hystory Enciclopedia []
  3. Maurizio Giangiulio – Ricerche su Kroton arcaica (1989), p. 86-91 []
  4. M. Laura Gemelli Marciano – Oriente e Occidente, Utet 2012 []