S.Medaglia et Alii – Su un carico romano di Marmor Thasium: il relitto di Cala Cicala-Crotone) (2023)

Scheda Bibliografica

Scheda Bibliografica (BDG-Biblioteca Digitale del GAK)

Titolo Su un carico romano di Marmor Thasium: il relitto di Cala Cicala (Crotone, Italia)
Autore(i)
Data rilascio 08-03-2023
Contenitore, Titolo FOLD&R ITALY
Riferimenti 2023-550
Casa editrice Associazione Internazionale di Archeologia Classica
Tipo Articolo di periodico specializzato
Classificazioni Biblioteca GAK
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Altre Informazioni Biblioteca GAK
ID Archivio: 13579
Data inserimento: 12-03-2023 18:56
Data ultima revisione 08-10-2023 19:21
Permalink: https://www.gruppoarcheologicokr.it/biblioteca/s-medaglia-et-alii-su-un-carico-romano-di-marmor-thasium-il-relitto-di-cala-cicala-crotone-2023/
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PREMESSA. Il relitto di Cala Cicala, ubicato sul versante sud-orientale del promontorio di Capo Colonna alla profondità di circa 5-6 metri,

Le prime notizie sul naufragio di Cala Cicala risalgono ad una lettera del 9 luglio 1929 di Raffaele Lucente, al Direttore-Curatore del Museo Civico di Crotone, al Soprintendente Edoardo Galli circa la consegna di tre capitelli ionici in marmo e cinque basi di colonne in marmo. Questi oggetti facevano parte del primo lotto di materiali donato dal Marchese Filippo Eugenio Albani al Museo. Dall’inventario del museo compilato da Gennaro Pesce nel 1934, si apprende che questi reperti provenivano dalle acque di Cala Cicala, presso il romontorio di Capo Colonna, dove sono stati evidentemente recuperati da pescatori o sommozzatori.

Alla fine degli anni Cinquanta il subacqueo crotonese Domenico Carolei riferisce di “alcune colonne e molti blocchi squadrati di pietra (che) giacevano sommerso nelle acque del promontorio (sct. Capo Colonna), in mezzo a moltissimi frammenti di anfore, per un raggio di centinaia di metri e poco distante dalla roccia su cui poggia la solitaria colonna”. La segnalazione venne raccolta, ma i resti del relitto non sono stati rintracciati.

Il 20 luglio 1983 Luigi Cantafora, altro sommozzatore locale, socio del Gruppo Archeologico Krotoniate, riferì ancora una volta il resti dello stesso naufragio in località Cicala. Nello stesso anno la Soprintendenza ha avviato alcuni rilievi di controllo subacqueo affidati a una società di ricerca esterna, la Aquarius di Milano diretta dalla dott.ssa Alice Freschi, che ha condotto le rilevazioni tra il 13 e il 14 settembre. I risultati di queste brevi indagini, condensati in un lavoro scarno diario, accertò che si trattava di un carico di blocchi parzialmente lavorati e fusti di colonne di marmo bianco. In questa occasione è stata effettuata una rapida ricognizione di una parte del carico e non sono stati rinvenuti resti riconducibili allo scafo della nave
trovato.

Cala Cicala. Pulitura dei blocchi con spazzola elettrica subacquea (foto di F. Bruno).

ABSTRACT. Nel giugno 2017 un gruppo di ricerca multidipartimentale dell’Università della Calabria ha condotto alcune indagini su un carico di marmi presso Cala Cicala, situato a una profondità di circa 6 metri lungo il tratto meridionale del promontorio di Capo Colonna (Crotone). 

Il carico è composto da 36 elementi marmorei di varie dimensioni, per lo più pilastri e blocchi, del peso complessivo di circa 179 tonnellate. Molti dei manufatti in marmo sono parallelepipedi a gradini, mentre i monoliti più grandi superano i 6 metri di lunghezza. 

Durante l’indagine di Cala Cicala, il team ha sperimentato un approccio innovativo per studiare il sito sottomarino utilizzando tecnologie digitali e meccatroniche applicate alla documentazione archeologica convenzionale al fine di pulire, documentare e analizzare i resti archeologici. Le indagini minero-petrografiche, condotto in collaborazione con l’Università IUAV di Venezia, ha permesso di identificare i marmi con quelli estratti ad Aliki ea Capo Vathy nell’isola di Taso (Thasos)((THASOS (Θάσος, Thasus) È una delle isole più settentrionali dell’Egeo e dista solo 6 km dalla costa della Tracia, a cui è geologicamente affine. Ampia circa 393 kmq, è formata da un massiccio cristallino che s’innalza a N-E fino a 1045 m (Monte Ypsarion). Il suo ricco sottosuolo forniva argento, zinco, rame, ferro, oro e anche pietre preziose (ametiste e opali); numerose erano le cave di marmo, bianco a grossi cristalli, soprattutto lungo le coste sud-orientali; le ampie distese boscose fornivano legno di castagno, di platano e di pino, particolarmente usato per la costruzione di navi, e nelle valli e nelle pendici montuose prosperavano le culture della vite e dell’olivo. Fonte: Enc. Arte Antica Treccani))((Il marmo di Thasos è un tipo di marmo pregiato di colore bianco, estratto sull’isola greca di Thasos. E’ noto per la sua purezza e la sua omogeneità di colore, che lo rendono molto apprezzato nell’arte e nell’architettura. E’ stato utilizzato fin dall’antichità per la realizzazione di sculture, monumenti e edifici di pregio. Il marmo di Thasos è ancora oggi utilizzato per la realizzazione di pavimentazioni, rivestimenti e elementi architettonici in tutto il mondo. La sua bellezza, la sua durabilità e la sua resistenza alle intemperie e alla corrosione lo rendono una scelta ideale per gli edifici di pregio e i monumenti storici.)). Dati cronologici più precisi sono forniti da alcuni capitelli ionici e basi marmoree attiche, oggi esposti al Museo Archeologico Nazionale di Capo Colonna, rinvenuti sul luogo del naufragio prima del 1929 (NdR: si riporta che l’analisi del capitelli di Cala Cicala – oggi al Museo di Capo Colonna – presentano riscontri stilistici con analoghi capitelli di epoca augustea).

Le testimonianze rinvenute a Cala Cicala contribuiscono in modo significativo alla nostra conoscenza di molti aspetti dello sfruttamento delle cave dell’isola di Taso e sulle tradizioni manifatturiere dei laboratori di marmo locali. Prima di queste indagini, le uniche testimonianze subacquee conosciute di carichi di marmo Thasiano erano limitate ai relitti pugliesi di San Pietro in Bevagna e Torre Sgarrata che sembrano essere più recenti del relitto di Cala Cicala.

I tre capitelli marmorei ionici attualmente esposti al Museo Archeologico Nazionale di Capo Colonna (foto di S. Medaglia)

ALCUNE CONCLUSIONI. Almeno la frazione calcitica del carico di Cala Cicala era sicuramente destinata ad applicazioni architettoniche, destinati alla trabeazione di edifici monumentali, che caratterizzava una certa architettura per grandi edifici progetti a Roma o in città di provincia.

La nave naufragò lungo la rotta ionica, seguita da navi da trasporto di pietre provenienti dalle isole dell’Egeo e dalle coste dell’Asia Minore per raggiungere il florido mercato del Mediterraneo occidentale. Non a caso tutti e tre i relitti con marmo thasiano finora conosciuti si trovano proprio lungo questa rotta marittima che, navigando lungo la Puglia e la Calabria, puntava a Roma.

Mappa dei relitti attualmente noti come contenenti marmo Thasiano (elaborata da S. Medaglia)

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