La decima fatica di Herakles, ed i suoi personaggi

Il racconto della decima fatica di Herakles, con il suo viaggio prima verso l’Iberia e poi di ritorno verso l’Italia, si è arricchito, già nell’età antica, di estensioni locali, in particolare nell’area meridionale, in connessione alla colonizzazione greca dell’occidente ed ai rapporti tra Italici e Greci.

Riporteremo dapprima la versione più nota del mito, ovvero quella narrata da Apollodoro di Atene – o meglio dallo Pseudo-Apollodoro – nella Biblioteca” (Βιβλιοθήκη) II, 5, 10, del II secolo d.C. circa – un antico manuale di mitografia, suddiviso in tre libri, che contiene un’ampia raccolta di leggende tradizionali appartenenti alla mitologia greca e all’epica eroica. Rilevante è anche la versione di Diodoro Siculo, che ripropone una versione più articolata, in cui Herakles viene proposto come “eroe civilizzatore”.

La figura di Herakles assume diverse valenze nelle comunità coloniali, tra le quali:

  • rende praticabile e intellegibile lo spazio ignoto ed accompagna l’elaborazione della minaccia di un pericolo estremo
  • è un modello di comportamenti virtuosi
  • costituisce un raccordo delle nuove comunità elleniche coloniale all’identità culturale del più vasto “mondo greco”
  • da un lato simboleggia lo scontro dei coloni con le comunità locali italiche, ma, una volta superato il conflitto, la relazione privilegiata dell’eroe con le comunità coinvolte a dare fornisce a queste comunità prestigio e successo

Seguono una serie di approfondimenti sul viaggio di Herakles e sull’evoluzione del mito di Gerione.

Introduzione

Il racconto mitologico, che nel tempo è stato classificato come la decima fatica di Herakles, e man mano espanso nella letturatura antica, ben si presta con la sua struttura narrativa in forma itineraria e diegetica, ad essere utilizzato dalle tradizioni posteriori con l’aggiunta di elaborazioni successive e connessioni secondarie e collaterali, di ambito locale. In particolare, nell’Italia meridionale l’impresa di Eracle presenta estensioni nell’area campana, o più precisamente Cuma; poi nelle sedi siceliote e a Rhegion, con vicende che si inquadrano l’estrema punta meridionale della Calabria e l’area dello Stretto di Messina; infine un ultimo cluster delle vicende mitiche di Herakles si raccoglie nell’area ionica della Calabria, trovando in Locri e soprattutto in Crotone e nel suo territorio interno i nodi principali, cui si giustappongono altre tappe (Eraclea, Metaponto)1. Questo almeno nella versione di Apollodoro, poichè nella versione di Diodoro siculo, le estensioni sono ben più articolate.

Proprio in questo circuito di poleis della Magna Grecia vi è una significativa elaborazione della figura di Herakles, in termini strettamente correlati alla costruzione identitaria degli insediamenti e ai rapporti inter-poleici – evidenziato dal linguaggio della comunicazione istituzionale, e segnatamente nella scelta dei tipi monetali. In queste tradizioni locali da un lato è presente il conflitto violento fra l’eroe e una serie di avversari aggressivi e anomici, dall’altro emerge una forte valenza eziologica esplicitamente connessa alla fondazione di culti, ovvero alla legittimazione di una relazione privilegiata dell’eroe con le comunità coinvolte2.

Spiccano le tradizioni relative a Crotone, ove il passaggio di Herakles definisce il personaggio epicorio che definisce il nome della città, ma non il suo ecista, che rimane Miscello, come ampiamente dettagliato nell’articolo “Ercole, Miscello, Apollo Pizio e la fondazione di Crotone“. In sintesi, dopo che Herakles è stato costretto a deviare in Sicilia, nel suo viaggio di ritorno dalle terre dell’Iberia verso la Grecia, ritorna sul continente con le sue vacche e prosegue lungo la paralìa dell’Italìa. Fermatosi presso il promontorio che sarà detto “Lacinio”, deve sventare un ennesimo tentativo di sottrazione degli armenti e in un tale frangente uccide involontariamente Crotone, di cui era ospite. Come compensazione del destino infelice del suo giusto amico, Herakles ne cura un rituale funebre μεγαλοπρεπῶς sancendone la dimensione eroica con la profezia che in futuro su queste stesse terre sorgerà una città che ne porterà il nome.

Diodoro Siculo IV, 24, 7. Traduzione da P. Attianese, Kroton le monete in Bronzo

Herakles, passato con i buoi in Italia, procedeva lungo il litorale (Παραλία) ed
eliminò Lacinio (Λακίνιον) che gli aveva rubato alcuni capi di bestiame; avendo uc-
ciso involontariamente Kroton (κροτών), lo seppellì con tutti gli onori dopo avergli allestito una magnifica tomba (μεγαλοπρεπῶς τάφον).
Predisse quindi agli abitanti del luogo che nei tempi a venire sarebbe sorta un’importante città (πόλις ἐπίσημος) con lo stesso nome di colui che era morto (τετελευτηκότι).

Βιβλιοθήκη IV, 24, 7 – Testo estratto dalla Perseus Digital Library

[7] ὁ δ᾽ Ἡρακλῆς μετὰ τῶν βοῶν περαιωθεὶς εἰς τὴν Ἰταλίαν προῆγε διὰ τῆς παραλίας, καὶ Λακίνιον μὲν κλέπτοντα τῶν βοῶν ἀνεῖλε, Κρότωνα δὲ ἀκουσίως ἀποκτείνας ἔθαψε μεγαλοπρεπῶς καὶ τάφον αὐτοῦ κατεσκεύασε: προεῖπε δὲ καὶ τοῖς ἐγχωρίοις ὅτι καὶ κατὰ τοὺς ὕστερον χρόνους ἔσται πόλις ἐπίσημος ὁμώνυμος τῷ τετελευτηκότι.

Questo è riportato nella versione di Diodoro Siculo della decima fatica; in D.S. la sottrazione di armenti ad Herakles – durante il suo viaggio di ritorno dall’Iberia verso la Tracia – appare essere un motivo ricorrente nei rapporti con le popolazioni locali: Herakles sconfigge ed uccide “una serie di personaggi ‘occidentali’, di natura ‘gerionica’, caratterizzati dai medesimi tratti brigantesco-pastorali e da tipici aspetti catactonì: sono figure quali i liguri Ialebion e Derkynos, il laziale Cacus, l’anonimo ladro di buoi di Capua, ο il crotoniate Lakinios, ed in Sicilia Eryx”3.

Le fonti: Pseudo-Apollodoro

Il grande viaggio di Eracle compiuto nella X fatica, che sembra un vero e proprio periplo del Mediterra-
neo, è quello che egli compie per portare ad Euristeo, re di Micene e di Tirinto, “le vacche di Gerione, che si trovavano a pascolare in Iberia nelle parti volte verso l’Oceano”((Su Euristeo vedere la sezione “La nascita e le imprese di Eracle bambino nel mito” dell’articolo “Crotone. La museruola di bronzo di Vigna Nuova e il tema iconografico di Heracles strangolante i serpenti“.)), ed è impresa molto nota già a partire dalla Teogonia di Esiodo (vv. 287-94, composta intorno al 700 a.C.):
Ed a Gerione tolse la vita la gran possa di Eracle, presso i buoi dal passo ondeggiante, in Eritia circondata di flutti, quel giorno quando egli spinse i buoi dalla larga fronte verso la sacra Tirinto, dopo aver attraversato le correnti dell’Oceano, e dopo aver ucciso Orto ed il pastore dei buoi Eurizione nel loro stabbio coperto di bruma, al di là dell’inclito Oceano4 (vedere anche vv. 979-83), per passare a Pindaro (fr. 169 S-M), ad Erodoto (IV, 8), a Platone (Gorg. 484b, ove cita Pindaro), per finire con Pausania (III, 18,13 e IV, 36,3).

Pseudo-Apollodoro – Biblioteca II, 5, 10

Come decima fatica gli fu imposto di catturare i buoi di Gerione (Γηρυόνης) nell’isola Erizia (Ἐρυθείας). Questa si trova vicina alla corrente d’Oceano, e il suo nome attuale è Gadira. L’isola era abitata da Gerione, figlio di Crisaore e di Calliroe, a sua volta figlia di Oceano. li suo corpo era come quello di tre uomini cresciuti insieme, unito in uno all’altezza della vita, ma poi separato in tre dai fianchi e dalle cosce in su. Aveva dei buoi fulvi, il cui mandriano era Euritione: e il custode era Ortro, il cane a due teste nato da Echidna e Tifone.

Attraversando l’Europa per catturare i buoi di Gerione, Eracle uccise molte bestie feroci; passò dalla Libia e arrivò a Tartesso5: qui, come segno del suo passaggio, eresse due colonne (στήλας), una di fronte all’altra, a confine tra l’Europa e la Libia. Poiché, durante il suo tragitto,il dio Elios (Ἡλίου) lo bruciava, Eracle minacciò il Dio con il suo arco: ed Elios, pieno d’ammirazione per il coraggio di quell’uomo, gli diede la sua coppa d’oro (χρύσεον δέπας) per attraversare l’Oceano.

Giunto a Erizia, Eracle salì sul monte Abante (Ἄβαντι). Ma il cane (Ortro), accortosi della sua presenza, si precipitò su di lui: Eracle allora lo colpì con la sua clava, e poi uccise anche il mandriano Euritione, accorso in aiuto del cane.

Menete, che pascolava lì vicino le mandrie di Ade, riferì a Gerione l’accaduto: e Gerione si scontrò con Eracle presso il fiume Antemunte (Ἀνθεμοῦντα), mentre l’eroe già stava portando via il bestiame. Vennero a battaglia, ma Gerione fu colpito e morì. Eracle imbarcò il bestiame nella coppa di Elios, e arrivò a Tartesso, dove la riconsegnò al Dio.

Dopo esser passato dal territorio di Abdera (Ἀβδηρίαν)((E’ da intendersi come una colonia focese della Spagna meridionale, da non confondersi con la più celebre città omonima situata nella costa Tracia dell’Egeo settentrionale. Rif. PoesiaLatina.it)), Eracle giunse in Liguria (Λιγυστίνην), dove Ialebione e Dercino, due figli di Poseidone, cercarono di rubargli il bestiame; ma l’eroe li uccise, poi scese lungo la costa tirrenica (Τυρρηνίας).

A Reggio (Ῥηγίου), un toro si staccò dalla mandria, corse a gettarsi in mare e nuotò fino in Sicilia (Σικελίαν); attraversò quella regione, e giunse infine nel regno di Erice, il sovrano degli Elimi, figlio di Poseidone, che unì il toro alle sue mandrie. Eracle affidò il bestiame a Efesto, si lanciò alla ricerca del toro, e lo trovò in mezzo alle mandrie di Erice. Il re disse che gliel’avrebbe restituito solo se Eracle fosse riuscito a vincerlo in un combattimento di pugilato: l’eroe vinse tre riprese, uccise Erice in combattimento, recuperò il toro e si rimise in viaggio con la mandria verso lo Ionio (Ἰόνιον).

Ma quando arrivarono alle insenature del mare, Hera mandò un tafano a tormentare le vacche, e quelle si dispersero verso i monti della Tracia. Eracle le inseguì, riuscì a radunarne la maggior parte, e le guidò verso l’Ellesponto; quelle che non poté trovare, invece, tornarono allo stato selvaggio. Con la sua mandria così faticosamente riunita, Eracle si trovò di fronte il fiume Strimone, e ne fu contrariato: allora riempì di massi la sua corrente, e da navigabile che era la rese non più navigabile. Infine portò i buoi a Euristeo, e questi li sacrificò a Hera.

Βιβλιοθήκη II, 5, 10 – Testo estratto dalla Perseus Digital Library

δέκατον ἐπετάγη ἆθλον τὰς Γηρυόνου βόας ἐξ Ἐρυθείας κομίζειν. Ἐρύθεια δὲ ἦν Ὠκεανοῦ πλησίον κειμένη νῆσος, ἣ νῦν Γάδειρα καλεῖται. ταύτην κατῴκει Γηρυόνης Χρυσάορος καὶ Καλλιρρόης τῆς Ὠκεανοῦ, τριῶν ἔχων ἀνδρῶν συμφυὲς σῶμα, συνηγμένον εἰς ἓν κατὰ τὴν γαστέρα, ἐσχισμένον δὲ εἰς τρεῖς ἀπὸ λαγόνων τε καὶ μηρῶν. εἶχε δὲ φοινικᾶς βόας, ὧν ἦν βουκόλος Εὐρυτίων, φύλαξ δὲ Ὄρθος ὁ κύων δικέφαλος ἐξ Ἐχίδνης καὶ Τυφῶνος γεγεννημένος. πορευόμενος οὖν ἐπὶ τὰς Γηρυόνου βόας διὰ τῆς Εὐρώπης, ἄγρια πολλὰ ζῷα ἀνελὼν Λιβύης ἐπέβαινε, καὶ παρελθὼν Ταρτησσὸν ἔστησε σημεῖα τῆς πορείας ἐπὶ τῶν ὅρων Εὐρώπης καὶ Λιβύης ἀντιστοίχους δύο στήλας. θερόμενος δὲ ὑπὸ Ἡλίου κατὰ τὴν πορείαν, τὸ τόξον ἐπὶ τὸν θεὸν ἐνέτεινεν: ὁ δὲ τὴν ἀνδρείαν αὐτοῦ θαυμάσας χρύσεον ἔδωκε δέπας, ἐν ᾧ τὸν Ὠκεανὸν διεπέρασε. καὶ παραγενόμενος εἰς Ἐρύθειαν ἐν ὄρει Ἄβαντι αὐλίζεται. αἰσθόμενος δὲ ὁ κύων ἐπ᾽ αὐτὸν ὥρμα: ὁ δὲ καὶ τοῦτον τῷ ῥοπάλῳ παίει, καὶ τὸν βουκόλον Εὐρυτίωνα τῷ κυνὶ βοηθοῦντα ἀπέκτεινε. Μενοίτης δὲ ἐκεῖ τὰς Ἅιδου βόας βόσκων Γηρυόνῃ τὸ γεγονὸς ἀπήγγειλεν. ὁ δὲ καταλαβὼν Ἡρακλέα παρὰ ποταμὸν Ἀνθεμοῦντα τὰς βόας ἀπάγοντα, συστησάμενος μάχην τοξευθεὶς ἀπέθανεν. Ἡρακλῆς δὲ ἐνθέμενος τὰς βόας εἰς τὸ δέπας καὶ διαπλεύσας εἰς Ταρτησσὸν Ἡλίῳ πάλιν ἀπέδωκε τὸ δέπας.
διελθὼν δὲ Ἀβδηρίαν εἰς Λιγυστίνην ἦλθεν, ἐν ᾗ τὰς βόας ἀφῃροῦντο Ἰαλεβίων τε καὶ Δέρκυνος οἱ Ποσειδῶνος υἱοί, οὓς κτείνας διὰ Τυρρηνίας ᾔει.
ἀπὸ Ῥηγίου δὲ εἷς ἀπορρήγνυσι ταῦρος, καὶ ταχέως εἰς τὴν θάλασσαν ἐμπεσὼν καὶ διανηξάμενος εἰς Σικελίαν, καὶ τὴν πλησίον χώραν διελθὼν τὴν ἀπ᾽ ἐκείνου κληθεῖσαν Ἰταλίαν (Τυρρηνοὶ γὰρ ἰταλὸν τὸν ταῦρον ἐκάλεσαν), ἦλθεν εἰς πεδίον Ἔρυκος, ὃς ἐβασίλευεν Ἐλύμων. Ἔρυξ δὲ ἦν Ποσειδῶνος παῖς, ὃς τὸν ταῦρον ταῖς ἰδίαις συγκατέμιξεν ἀγέλαις. παραθέμενος οὖν τὰς βόας Ἡρακλῆς Ἡφαίστῳ ἐπὶ τὴν αὐτοῦ ζήτησιν ἠπείγετο: εὑρὼν δὲ ἐν ταῖς τοῦ Ἔρυκος ἀγέλαις, λέγοντος οὐ δώσειν ἂν μὴ παλαίσας αὐτοῦ περιγένηται, τρὶς περιγενόμενος κατὰ τὴν πάλην ἀπέκτεινε, καὶ τὸν ταῦρον λαβὼν μετὰ τῶν ἄλλων ἐπὶ τὸν Ἰόνιον ἤλαυνε πόντον. ὡς δὲ ἦλθεν ἐπὶ τοὺς μυχοὺς τοῦ πόντου, ταῖς βουσὶν οἶστρον ἐνέβαλεν ἡ Ἥρα, καὶ σχίζονται κατὰ τὰς τῆς Θράκης ὑπωρείας: ὁ δὲ διώξας τὰς μὲν συλλαβὼν ἐπὶ τὸν Ἑλλήσποντον ἤγαγεν, αἱ δὲ ἀπολειφθεῖσαι τὸ λοιπὸν ἦσαν ἄγριαι. μόλις δὲ τῶν βοῶν συνελθουσῶν Στρυμόνα μεμψάμενος τὸν ποταμόν, πάλαι τὸ ῥεῖθρον πλωτὸν ὂν ἐμπλήσας πέτραις ἄπλωτον ἐποίησε, καὶ τὰς βόας Εὐρυσθεῖ κομίσας δέδωκεν. ὁ δὲ αὐτὰς κατέθυσεν Ἥρᾳ.
Héraklès et le triple Géryon
Anfora a figure nere realizzata ad Atene intorno al 540 a.C., ritrovata a Vulci, Collezione del Louvre, Département des Antiquités grecques, étrusques et romaines, MN 40
“Ercole ed il bestiame di Gerione”,
Bottega di Lucas Cranach il Vecchio (1472–1553) – Fonte: Wikimedia

Herakles, l’eroe civilizzatore

La peregrinazione di Herakles in Occidente segue molteplici direttrici di spostamento, via mare e via terra,con delle sovrapposizioni tra personaggi e vicende. La caratteristica che emerge nella versione di Diodoro Siculo, e che in questo perigrinare Herakles diventa un “eroe civilizzatore”, portatore della civiltà greca.

Una elemento comune nel libro IV di Diodoro siculo, in cui tratta dalla decima fatica, e che molti dei personaggi locali che combattono contro Herakles e ne vengono sconfitti ed uccisi, diventano poi oggetti di culto locale. Questo avviene non solo a Crotone, ma ma anche in Sicilia, ove vi è il particolare caso del culto di Gerione, l’avversario ‘cosmico’ di Eracle, il mostruoso rappresentante delle potenze catactonie, che ad Agirio riceve onori eroici istituiti nel mito di fondazione del culto medesimo, voluto da Herakles . Tutti elementi qualificanti della colonizzazione greca di cui Herakles è espressione come l’eroe civilizzatore6.

Paolo Scarpi in Apollodoro, i miti greci, 1996, sintetizza mirabilmente così le fatiche: “le «fatiche» di Eracle, che la Biblioteca tende a tenere separate da altre imprese, sembrano definire contemporaneamente gli spazi geografici e culturali entro i quali deve operare la dimensione umana. Le sue avventure contro il leone Nemeo (§§ 74-5), l’idra di Lerna (§§ 77-80), il cinghiale dell’Erimanto (§§ 83-7), gli ucccelli Stinfalidi (§§ 91-3), così come la pulizia delle stalle di Augia (§§ 88-9), sono da ascrivere a un’opera di disinfestazione del territorio che permetta rinsediamento umano.
Queste imprese incrociano lo spazio cultuale del sacrificio già nella vicenda del leone Nemeo (§§ 74-$), dove sembrano stabilirsi per la prima volta i termini del sacrificio olimpico (θύειν) ed eroico (έναγίζειν), e successivamente nello scontro con il toro di Creta (§ 94). Essi intersecano la dimensione religiosa della natura selvaggia nell’episodio della cerva dalle corna d’oro (§§ 81-1), dove Artemide è inequivocabilmente la πότνια Θηρών, «Signora delle belve» (IL XXI 470), ovvero la Signora degli animali della letteratura etno-antropologica.
Infine vengono stabiliti i confini geografici del mondo conosciuto attraverso il lungo itinerario che conduce Eracle sia alla conquista delle vacche di Gerione, nel corso del quale fissa i confini occidentali del mondo collocando le due colonne (§ 107), sia al giardino delle Esperidi (§§ 113-2.1).
Non è perciò casuale che lo scontro con Cerbero (§§ 112.-6) si configuri quale ultima fatica; quest’ultima impresa, infatti, rispondendo alla logica sistematrice che informa la Biblioteca, definisce i termini dell’estremo confine indispensabile all’individuazione dell’esistenza umana: la separazione tra «questo mondo» e l’«altro mondo», tra la vita e la morte, un limite che solo un essere eccezionale come Eracle può varcare senza danno“.

Una chiave di lettura che mette in evidenza altri aspetti, è riportata da Corinne Bonnet in “Le tradizioni eraclee nella Calabria tirrenica” – Atti del Convegno (Rende – 23-25 novembre 2000) “La Calabria tirrenica
nell’antichità, Ed. Rubbettino: “La diffusione di Eracle nel Mediterraneo orientale e occidentale risponde a un progetto ideologico e religioso al contempo. Eracle, simbolo di forza, bravura e eroismo, fu in effetti un modello per i detentori del potere, che, presentandosi come suoi discendenti o addirittura identificandosi
con lui, giustificarono la propria autorità e le proprie conquiste. Eracle, poi, nella sua dimensione di eroe culturale, che sconfigge i mostri e la feracità, diventò in contesto coloniale il porta-bandiera, la sentinella dell’ellenismo, l’eroe civilizzatore per eccellenza, malgrado il fatto egli fosse anche un eroe brutale, rozzo, famoso per la ghiottoneria, l’amore del vino e l’appetito sessuale. Non importava in fondo che fosse poco amico delle Muse nella prospettiva ideologica della colonizzazione: serviva un “mito di precedenza”, in virtù del quale i Greci si impadronivano di tutte le terre percorse dall’eroe viaggiatore a scapito degli indigeni, regolarmente presentati come personaggi violenti, empi, incontrollabili (come, ad esempio, nel caso di Lakinios a Capo Colonna). La mitologia eraclea finisce quindi col tracciare la geografia dell’universo greco, dalle Colonne di Ercole al Vicino e Medio Oriente
“.

Sul ruolo di “civilizzatore” di Herakles, si riporta ulteriomente la lucida analisi di G.Marotta, nella Tesi di Dottorato “Commento al IV libro della Biblioteca storica di Diodoro Siculo (Capp. 1-39)“, a.a. 2009/10:
Una corrente critica oggi piuttosto affermata coglie nella leggenda il riflesso di motivi propagandistici legati alla colonizzazione greca in Occidente. I coloni greci sentivano la necessità di legittimare la loro appropriazione di un territorio, attribuendone l’iniziativa a un eroe fondatore. Quale eroe più indicato di Eracle, che diviene così, spesso in contrapposizione al Melqart semitico, l’archegetes che apre la via, rendendo il territorio abitabile e “purificandolo” da ogni minaccia, garantendo la sicurezza di coloro che ne avrebbero preso possesso dopo di lui“.

E sul problema della fase cronologica in cui il racconto avrebbe preso forma: “Vero è che il nucleo narrativo, attestato già in Esiodo, sembra precedente all’espansione greca di matrice focea. … In ogni caso, quand’anche la codificazione di certi elementi della saga risalga addirittura alla seconda metà del secondo millennio, è logico ammettere che aspetti di essa siano stati recuperati, rifunzionalizzati e arricchiti successivamente, una volta ripreso, su presupposti diversi, il flusso verso Occidente“.

La caratterizzazione di Herakles come eroe civilizzatore più che come personaggio epico è particolarmente stringente in Diodoro siculo: “nel corso di questo viaggio, più che in altri momenti della sua carriera eroica, l’Eracle diodoreo trasforma lo spazio marginale, popolato da creature ostili, in uno spazio umano dato all’agricoltura, la natura selvaggia in una natura organizzata in funzione della vita sociale. E’ un Eracle che sistema e migliora il territorio, apre passaggi o vie (19.3 Alpi; 22.2 via Eraclea), rende fiorenti le città (17.5) o ne crea di nuove (18.1 Ecatompilo; 19.1 Alesia), un Eracle ktistes che è anche fondatore di culti (21.1-4 ara Maxima; 23.4 fonte Ciane presso Siracusa; 24.1-6 culti di Agirio). Un eroe che conquista, commettendo anche atti violenti, ma con l’intento giusto di civilizzare“.

Le tappe di Heracles durante la decima fatica tra l’Africa e l’Europa. Mappa da Antonio Capano – Il mito e il culto di Eracle/Ercole nella Magna Grecia e nella Lucania antica (2013)
L’itinerario interno di Eracle in Italia e Gallia (tracciato schematico in buona parte ricalcante la successiva viabilità romana antica). Elaborazione da www.focus.it/

Ulteriori riflessioni sul viaggio di Herakles

Secondo Apollodoro (II 5, 10), nel viaggio da Tirinto ad Erizia, Herakles passa attraverso l’Europa, fa tappa in Libia e a Tartesso (nell’Iberia meridionale), ponendo le στῆλαι, le due colonne gemelle sulle due rive dello stretto di Gibilterra, stabilendo i confini del mondo conosciuto; quindi prosegue il viaggio in mare dentro la coppa di Elio (cfr. F 11). Dopo aver incontrato e ucciso Gerione (cfr. F 12), carica le vacche sulla coppa, ritorna a Tartesso e la restituisce ad Elio; si dirige verso la Liguria e, passando per tutta la Tirrenia, giunge a Reggio e poi in Sicilia (cfr. F 13) per recuperare un armento perduto. Fa poi ritorno a Tirinto.

Il viaggio che Herakles compie è verso territori sconosciuti, ai confini del tempo e dello spazio cosmico, con un sentimento di meraviglia e timore; questo sembra di intravedere dai suoi “occhi sgranati e guardinghi” in questa kylix in ceramica a figure rosse greca del 480 a.C((Pietro Salemme, Il Sogno: Viaggio nell’Inconscio parte 1, 2021)).

Kýlix attica, da Vulci, Circa 480 a.C., attribuita a Douris (Δοῦρις) , Musei Vaticani, Inv. 16563

Un’altra rappresentazione di “Herakles nella coppa aurea di Helios” è nel tondo interno dello skyphos ARV 118A (525-475 a.C.) presso il Museo di Rodi (vedere foto e scheda dal”Archivio Beazley). Il racconto del viaggio di Herakles nella coppa aurea di Helios è esposto con diversi dettagli e varianti nella letteratura greca7.

La Biblioteca di Apollodoro espone in forma molto sintetica l’itinerario occidentale dell’eroe e soprattutto il suo passaggio in Italia, di cui invece si trova una ampia trattazione in Diodoro Siculo IV 10-4, che un secolo dopo offre un racconto della decima fatica con delle differenza sostanziali. Anzitutto Diodoro espone la vicenda come una spedizione militare in Iberia contro i figli di Crisaore.

Diodoro Siculo, Libro IV Cap. 10, Trad. del Cav. Compagnoni, 1820, p. 192

Scorso avendo Ercole in tal modo gran parte d’ Africa , giunse all’ oceano gaditano; e sulla spiaggia dell’uno e dell’altro continente piantò colonne. Indi passato nella Iveria, ove trovò i figliuoli di Grisaore con grandi eserciti, che erano divisi in tre accampamenti diversi, gli sfidò a duello, e li vinse; così che prese possesso dell’a ‘Iberia, e ne trasse le vacche famose.
Intanto che poi si mise a scorrere il paese, avvenne che un picciol re, pieno di pietà e di giustizia, devotamente l’onorò, quanto le forze sue il permisero, e a questo re lasciò in dono una parte di quelle vacche, le quali tutte però egli consacrò ad Ercole stesso; ed ogni anno gli dedicò un bellissimo toro da immolarglisi. Quelle vacche ben mantenute conservaronsi nella Iberia sino al nostro secolo.

Inoltre Diodoro si dilunga notevolmente nell’esposizione delle numerose tappe che dall’Iberia lo portano in Celtica e poi attraverso tutta l’Italia (Alpi, Liguria, Roma, pianura cumana, Reggio, Locri) e buona parte della Sicilia.

La sequenza Gerione (X fatica), discesa nell’Ade (XI fatica) ed Esperidi (XII fatica), esposta da Diodoro, si contrappone alla narrazione apollodorea in cui la conquista dei pomi diviene prefigurazione della acquisizione dell’immortalità, e della possibilità di ritornare incolume dagli Inferi a seguito dell’esperienza ultraterrena. I ricercatori identificano questa diversità come dovuta allo studio di mitografi diversi da parte di Diodoro e di Apollodoro.

Collegato alle vicende del transito di Herakles in Sicilia è la storia di Cariddi (Χάρυβδις), il mostro marino della mitologia greca – menzionato nelle Argonautiche e nel canto XII dell’Odissea di Omero insieme a Scilla; in principio era una naiade, figlia di Poseidone e Gea, dedita alle rapine e famosa per la sua voracità; un giorno rubò a Herakles i buoi di Gerione e ne mangiò alcuni, tanto che Zeus la fulminò e la fece cadere in mare, dove la mutò in un gigantesco mostro di voracità infinita, che risucchiava l’acqua del mare e la rigettava (fino a tre volte al giorno), creando enormi vortici che affondavano le navi in transito. Alcuni tra i mitologi, raccontano che non fu uccisa da Giove, ma bensi dallo stesso Herakles per punirla del furto, e che suo padre Forco raccoltone il corpo lo lavasse in una caldaia per richiamarla in vita (Lycophrone in Cassandra, Tze-Tze in Lycophr. v. 45 e 218).

Gerione

L’altro personaggio della vicenda mitologica è lo sconfitto Gerione (Γηρυών o Γηρυονεύς, Geryon), figlio di Crisaore e dell’Oceanina Calliroe. Gerione fa parte di una famiglia di mostri mitologici: dal sangue della testa di Medusa recisa da Perseo nacquero Crisaore, Pegaso (il cavallo alato), e i serpenti che ricopersero il suolo della Libia (Ps.Ap.-Bibl. II.4.42). Figli di Crisaore e Calliroe furono non solo Gerione, ma anche Echidna, altro mostro a metà donna e a metà serpente, e la Chimera essa pura mostro a tre teste, l’una di leone, di capra l’altra, e la terza di drago.

Gerione è presentato come un gigante con tre corpi uniti in uno nel ventre e separati giù dai fianchi e dalle cosce; era anche tricipite, dotato di sei braccia e quindi di 6 mani8. Possedeva giovenche purpuree, sacre ad Apollo, guidate da Euritione (re dei Centauri, figlio di Ares e dell’esperide Eritea) e sorvegliate dal cane a due teste, Ortro.

Geryon and Orthrus. Side B of an Attic black-figured neck-amphora, ca. 540 BC. From Vulci. Collezione Museo BnF (Wikimedia)

Rispetto a quello che espone lo Pseudo-Apollodoro la figura di Gerione e sicuramente più articolata e la posizione dei luoghi richiamati è più variabile ed articolata.

Originariamente Gerione è una figura del mondo sotterraneo, come rappresentato nella pittura parietale etrusca della Grotta dell’Orco a Tarquinia in cui Gerione si trova accanto al trono di Ade e presso Persefone. Questa tradizione italica, è rievocata da Orazio e Virgilio (nell’Eneide è definito: “forma tricorporis umbrae” – forma del fantasma dai tre corpi).

Nella versione dello pseudo-Apollodoro della X fatica, Gerione abita in Eriteia, un’isola posta vicino all’Oceano (Atlantico), generalmente individuata presso Cadice sulla costa atlantica della Spagna, alla foce del Guadalquivir, che lo stesso autore dice che ai suoi tempi si chiamava Gadira (Γάδειρα). correntemente Gadira viene localizzata con la stessa isola e regione che i Romani denominarono Gadir e Gades, e che oggi, per la pronuncia araba (Qadish), conosciamo come Cadice sulla costa atlantica della Spagna, a circa 100 km nord-est da Gibilterra, ove era posta una delle “colonne d’Ercole”. Ma la ricostruzione degli eruditi dell’Ottocento è sicuramente più articolata e dubbiosa. Le fonti antiche riportano anche che presso Gadira vi era un tempio dedicato al culto di Heracles al quale “concorrono devoti da tutte le parti del mondo9.

In età classica lo storico Ecatéo (di Mileto) sostenne invece che l’avventura gerionea di Herakles è da localizzarsi non in Spagna, ma in Ambracia (capitale del regno d’Epiro in Grecia), nella contrada del mare Acherusio, dove s’immaginava l’ingresso al mondo sotterraneo. Ma, quando i Greci penetrarono nel mare occidentale, Eriteia era localizzata al di là delle colonne di Eracle. Di qui l’espediente della coppa o tazza data a Eracle dal Helios, o, secondo altre fonti, dall’Oceano o da Nereo; è tardiva la leggenda che l’eroe compisse il viaggio in una nave di bronzo. Questo spostamento del luogo dell’avventura di Herakles sembra essere confermato da Erodoto che asserisce che fino alle sponde di Tartesso “niun Greco, mai navigò prima di Coléo da Samo, capitatori per burrasca forse seicento anni dopo Ercole“((Francesco Zanotto, Parnaso Straniero: I Greci, 1841, p. 103)).

La figura di Gerione è centrale in un componimento poetico del VI secolo a.C., di Stesicoro10: la “Gerioneide” (Γηρυονηίς), un canto citarodico (la citarodia era un genere della lirica dell’antica Grecia basato sul canto accompagnato da uno strumento a corde come lira o cetra). Il poema è sopravvissuto all’antichità in maniera estremamente frammentaria. Una ricostruzione completa della trama è impossibile, ma dai frammenti rimasti appare chiaro che il soggetto del poema è proprio la decima fatica di Herakles((https://it.wikipedia.org/wiki/Gerioneide)).

In età romana il racconto mitologico di Gerione si arrichisce di varianti locali, il cui elemento costante è la triplicità delle forme o del corpo e come figura del mondo ctonio, ripresa dalla tradizione italica (nella pittura parietale etrusca della Grotta dell’Orco a Tarquinia, della metà del sec. IV a. C., Gerione si trova accanto al trono di Ade e presso Persefone).

  • Orazio lo canta prigioniero di Plutone (Odi II XIV 7-8).
  • Virgilio lo colloca, ma senza nominarlo, tra i mostri custodi dell’Averno, come ” forma tricorporis umbrae” (VI 289). I personaggi minori presenti nella X fatica d’altra parte hanno legami con Ade: Menete, che rivela a Gerione il furto delle vacche fatto da Eracle, è anche il pastore di Ade; Ortro, il cane bicefalo a  guardia del gregge di Gerione, figlio di Tifone ed Echidna, è anche fratello di Cerbero, che è uno dei mostri a guardia dell’ingresso degli Inferi.
  • Svetonio (Tiber., 14) riferisce che Tiberio, recandosi nell’Illirio, interrogava presso Padova l’oracolo di Gerione e che, ammonito da questo, consultava il fonte di Apono. All’iniziale divinizzazione delle acque che si era trasformata nel culto di Apono, dio tutelare delle fonti, si aggiunse l’oracolo di Gerione, capace di interpretare le profezie e conoscere il futuro attraverso le acque termali. L’oracolo di Gerione, ubicato accanto all’odierna borgata di Abano, famosa per le sue terme, presente il carattere peculiare non già d’un mostro che abita lontano dai luoghi dove vivono gli umani, ma di un eroe che dimora presso benefiche e salutari acque termali (le “Aquae Patavinorum”), quasi come protettore e consigliere benevolo. Per alcuni questa tradizione potrebbe provenire dal culto che Gerione ebbe in Agirio in Sicilia; l’origine sarebbe da attribuirsi alla presenza di coloni siciliani ad Adria (nel 385 a.C. Adria è stata fondata come colonia di Siracusa, nel quadro dell’espansione commerciale in Adriatico promossa dal re siceliota Dionisio I), e che poi sarebbero giunti ad Abano (circa 50 km più a nord), e che alla vista dell’oracolo d’un eroe locale, avrebbero fatto credere che si trattassse dell’oracolo di Gerione, il cui culto, come in Sicilia, sarebbe stato stabilito da Herakles reduce dalla spedizione dell’Iberia11.

Un millennio più tardi, Dante, pone Gerione nella Divina Commedia nell’ottavo cerchio dell’inferno, ma si tratta di mostro che condivide con il Gerione greco in pratica il solo nome. Dante e Virgilio incontrano Gerione sul confine del cerchio dei violenti, all’interno di un profondo pozzo, non percorribile a piedi, che divide nettamente in due parti l’Inferno. Gerione è presentato come un «traghettatore» e se ne servono per discendere a volo e accedere ai cerchi estremi della frode.

Il divino poeta lo descrive come un mostro dal corpo chimerico: volto d’uomo; zampe di leone; corpo di serpente con la coda aguzza; ali da demonio; coda di scorpione, una creatura mitologica simili alle tante dei bestiari medievali, ma comunque una descrizione che non sembra avere alcuna relazione con i dannati del suo girone.

La trasformazione dal personaggio classico è notevole; già nella letteratura greca antica Gerione era una figura negativa, ma Dante aggiunge particolari fisici che si riferiscono alla frode e con particolari fantastici, quali ad esempio il dragone dell’Apocalisse e la coda biforcuta e velenosa dello scorpione, alludendo al fatto che chi imbroglia è sempre pronto a colpire le sue vittime. Infine, i nodi e le rotelle dipinte su schiena e petto rimandano probabilmente agli intrecci e ai maneggi dell’inganno12.

Dante Alighieri, Inferno, Canto XVII vv.1-18 / 94-99

Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
Ecco colei che tutto ‘l mondo appuzza!”.

E quella sozza imagine di froda
sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,
ma ’n su la riva non trasse la coda.

Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch’i’ montai
con le braccia m’avvinse e mi sostenne;
e disse: “Gerïon, moviti omai:
le rote larghe, e lo scender sia poco;
pensa la nova soma che tu hai”.
La “fiera” Gerione trasporta Dante e Virgilio
Immagine da cultura.biografieonline.it


Correlazioni

  1. Flavia Frisone – Eracle in Magna Grecia: una porta verso l’eroizzazione? (2010). []
  2. Flavia Frisone, Op. cit. []
  3. Maurizio Giangiulio, “Greci e non-Greci in Sicilia alla luce dei culti e delle leggende di Eracle“. In: Modes de contacts et processus de transformation dans les sociétés anciennes. Actes du colloque de Cortone (24-30 mai 1981) Rome : École Française de Rome, 1983. pp. 785-846. “Tipici aspetti catactonì” si intende aspetti tipici dei personaggi del mondo degli inferi []
  4. Trad. riportata in Federica Cordano, “Un periplo del Mediterraneo con le vacche di Gerione“, in Hesperìa, 2014, pp. 137-145 []
  5. La localizzazione prevalente pone Tartesso (Τaρτησσòς) non lontano da un’antica città-stato protostorica la cui ubicazione è in Andalusia, nell’area del delta del Guadalquivir []
  6. Maurizio Giangiulio, 1983, op. cit. []
  7. vedere in Silvia Cutuli, “Paniassi epico: Testimonianze e Frammenti“, tesi di dottorato, 2019 []
  8. Esiodo, Theog. 187 []
  9. P. Diod. Sic., lib. V, c. 20; e Sil. Ital., lib. III, Strabone, III 5,5 (C 169-71). []
  10. Stesicoro, Σιησίχορος, “ordinatore del coro”, è un poeta lirico siciliano vissuto tra la fine del 7º-prima metà del 6º sec. a. C. – Rif. Enc. Treccani []
  11. Alessandro Olivieri, Gerione in Enciclopedia Italiana,1932 []
  12. Per un commento più articolato, “Inferno, Canto XVII” in divinacommedia.weebly.com, e “La figura di Gerione: nuove prospettive nella critica dantesca“, Tesi di laurea di Margherita Cirulli, a.a. 2014-2015 []